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Scienza e Fede

Max Planck
1930

da una conferenza pubblicata su La conoscenza del mondo fisico

La dimensione spirituale conforta lo scienziato nella sua ricerca, motivando i suoi sforzi. Tale dimensione, senza della quale la scienza stessa non potrebbe sussistere, sostiene il ricercatore nella sua fede in una razionalità del mondo e lo aiuta a dare forma ai fatti scientifici sui quali la scienza è basata, ma che da soli non sarebbero sufficienti a edificare una vera conoscenza sapienziale.

Ogni giorno, anche per gli inauditi progressi dei mezzi di comunicazione e di traffico, nuove impressioni giungono in folla da vicino e da lontano a colpire i nostri sensi. Noi le dimentichiamo il più delle volte con la medesima rapidità con cui sono venute, e di taluna di esse non c’è più traccia il giorno dopo. Ed è bene che sia così. Altrimenti l’uomo moderno soffocherebbe sotto il numero ed il peso delle svariate impressioni che gravano su di lui. Ma d’altra parte chiunque non voglia passare attraverso la sua esistenza come un insetto effimero, di fronte a questa continua successione di immagini mnemoniche, sente tanto più forte, il bisogno di qualcosa di permanente, di un possesso spirituale duraturo che gli offra un saldo appoggio nel mare agitato della vita quotidiana e delle sue molteplici esigenze. Questo desiderio si manifesta negli adolescenti e nei giovani come un’autentica fame di una concezione del mondo possibilmente comprensiva, e si scarica in esplorazioni a tastoni nelle direzioni più disparate, per trovare in qualche luogo pace e refrigerio allo spirito assetato.

La Chiesa, che per prima ha il compito di soddisfare questi bisogni, oggi non può più contare, colla sua esigenza di assoluta dedizione ad una fede, gli animi dubbiosi. Perciò questi ricorrono spesso a surrogati alquanto sospetti e si gettano con entusiasmo in braccio a qualcuno dei numerosi profeti annunciatori di nuovi sicuri messaggi di salvazione. Stupisce il vedere quante persone proprio delle classi colte siano in tal modo capitate nell’orbita di queste nuove religioni, che sfavillano in tutte le sfumature, dalla mistica più astrusa fino alla più crassa superstizione.

L’ovvia idea di tentare una concezione del mondo su base scientifica è di solito ricusata da costoro col pretesto che la concezione scientifica del mondo avrebbe già fatto fallimento. C’è qualcosa di vero in questa affermazione: essa è anzi pienamente giusta se si dà alla parola scienza, come spesso è successo e succede tuttora, un significato puramente razionale. Ma chi così fa dimostra soltanto di essere interiormente lontano dalla vera scienza. Le cose infatti stanno diversamente. Chi ha veramente collaborato a costruire una scienza sa per propria esperienza interiore che sulla soglia della scienza sta una guida apparentemente invisibile: la fede che guarda innanzi. Non c’è principio che abbia recato maggior danno, per l’equivoco a cui si presta, che quello dell’assenza di premesse nella scienza. Le fondamenta di ogni scienza sono fondate dal materiale che l’esperienza fornisce, è vero, ma è altrettanto certo che il materiale da solo non basta, come non basta la sua elaborazione logica, a fare la vera scienza. Il materiale è sempre incompleto e non consiste che di pezzi staccati seppur numerosi. Ciò vale per le tabelle delle misure nelle discipline naturali come per i documenti nelle scienze dello spirito. Perciò bisogna completarlo e perfezionarlo riempiendo le lacune, e ciò non si può fare che per mezzo di associazioni di idee che non nascono dall’attività intellettiva, ma dalla fantasia dello scienziato, sia che si voglia definire col nome di fede o colla più prudente espressione di ipotesi di lavoro. L’essenziale è che il loro contenuto superi in qualche maniera i dati dell’esperienza. Come dal caos di masse isolate senza forza ordinatrice non può sorgere il cosmo, così dai materiali isolati dell’esperienza, senza l’opera cosciente di uno spirito pervaso da una fede feconda non può nascere una vera scienza.

Può una tal maniera più profonda di intendere la scienza produrre una visione del mondo inutile per la vita? La più sicura risposta ci è offerta da quegli uomini della storia che intesero la scienza proprio a quel modo ed a cui essa rese effettivamente questo servigio. Fra i numerosi ricercatori che la scienza aiutò a tollerare e ad illuminare una povera esistenza terrena ricordiamo innanzitutto Giovanni Keplero, di cui il mondo ha commemorato il 15 novembre di quest’anno (1930) il trecentesimo centenario dalla morte. La sua vita, considerata esteriormente, trascorse in mezzo a casi pensosi, a gravi delusioni, a tristi preoccupazioni pecuniarie, in un continuo disagio economico. Perfino nel suo ultimo anno di vita si vide costretto a rivolgersi alla dieta di Ratisbona, perché gli fossero pagati gli arretrati della pensione assegnatagli dall’imperatore. Il suo più grande dolore fu quello di dover difendere sua madre dall’accusa di stregoneria. Ciò che tuttavia lo sostenne e gli diede la forza di lavorare fu la sua scienza, ma non le cifre delle osservazioni astronomiche, bensì la sua fede in leggi razionali che reggono l’universo. Anche il suo maestro Tycho Brahe era dotto come lui e disponeva dello stesso materiale di osservazioni scientifiche, ma gli mancava la fede nelle grandi leggi eterne. Perciò Tycho Brahe rimase uno fra i tanti meritevoli scienziati, ma Keplero diventò il creatore dell’astronomia moderna.

Un altro nome deve essere ricordato a questo riguardo, quello di Giulio Roberto Mayer; fra non molto ricorrerà il centenario della sua scoperta dell’equivalente meccanico del calore. Questo scienziato non ebbe a patire preoccupazioni materiali, ma soffrì perché la sua dottrina dell’indistruttibilità dell’energia non veniva presa in considerazione dal mondo scientifico, che verso la metà del secolo scorso era assai diffidente per tutto ciò che avesse sentore di filosofia naturale. Ma neppure la congiura del silenzio contro di lui gli tolse il coraggio, ed egli trovò consolazione e soddisfazione non tanto in ciò che sapeva, ma in ciò che credeva, finché, dopo molti difficili anni di lotte incessanti, ebbe la gioia di vedere pubblicamente riconosciuta la sua opera dalla Società tedesca dei medici e naturalisti nella riunione del 1896 ad Innsbruck, a cui partecipava anche Hermann Helmholtz.

In questi casi ed in altri consimili la fede è la forza che dà efficacia al materiale scientifico radunato, ma si può andare ancora un passo avanti, ed affermare che anche nel raccogliere il materiale, la preveggente e presenziante fede in nessi più profondi può rendere dei buoni servigi. Essa indica la via ed acuisce i sensi. Lo storico che cerca documenti in archivio e studia quelli che trova, lo sperimentatore che in laboratorio costruisce un piano di ricerche ed esamina alla lente le immagini fotografiche ottenute, trovano in molti casi facilitato il lavoro, specialmente il lavoro di separazione di ciò che è essenziale da ciò che è secondario, da un certo particolare orientamento più o meno cosciente del pensiero con cui dispongono le ricerche ed interpretano i risultati ottenuti. Succede a loro come al matematico, che trova e formula un nuovo teorema prima di essere in grado di dimostrarlo.

Ma qui sta in agguato un serio pericolo, il più grave che possa minacciare uno scienziato, e di cui non si può tacere: il pericolo che il materiale di cui si dispone invece di essere correttamente interpretato sia interpretato in modo partigiano o addirittura ignorato. Allora la scienza si trasforma in pseudoscienza, in una costruzione vuota che crolla al primo violento urto. Di fronte a questo pericolo che ha già fatto innumerevoli vittime fra giovani e vecchi scienziati entusiasti delle loro convinzioni scientifiche, e che anche ai nostri giorni non ha perduto ancora nulla della sua importanza, non c’è che una difesa efficace: il rispetto dei fatti. Quanto più un pensatore è ricco di idee e di fantasia, tanto più è necessario che si ponga in mente che i fatti sono il fondamento senza il quale la scienza non può esistere, e tanto più coscienziosamente deve chiedersi se egli li apprezza come si deve.

Solamente quando ci sentiamo sotto i piedi il saldo terreno dell’esperienza della vita reale ci è lecito darci senza timore ad una concezione del mondo fondata sulla fede in un’ordine razionale dell’universo.

   

Max Planck, La conoscenza del mondo fisico, tr. it. di E. Persico e A. Gamba, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, pp. 260-264.