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Il ruolo della Religione e della Teologia nell’Università

John Henry Newman
1852

L’idea di Università, discorso IV

L'insegnamento della religione è necessario in una università che voglia davvero essere tale e insegnare de omni scibili: se si ammette l'esistenza di un Essere Supremo allora l'insegnamento della scienza della religione deve essere presente accanto agli altri saperi. Infatti, la conoscenza del Creatore è fondamentale per comprendere tutti gli altri campi di conoscenza, che ne riflettono l’opera. Negare la teologia ricorrendo ad altre scienze per studiare fenomeni non ordinari, definire il Creatore o spiegare la fede, vuol dire negare la dottrina religiosa come conoscenza e far sì che altre scienze facciano teologia senza averne la formazione e la disposizione per farlo. La mancanza di un insegnamento della teologia risulta essere dunque non solo insostenibile di per sé, ma nocivo agli altri saperi che ne potrebbero trarre completamento e correzioni.

Se, perciò, in una Istituzione che impartisce l’insegnamento di ogni tipo di sapere, non si insegna nulla e non si sostiene nulla circa l’Essere Supremo, si può a ragione concludere che ogni componente del gruppo che ha patrocinato quella Istituzione, supponendo che tale individuo esista, ritiene positivamente che non si conosce nulla di certo intorno all’Essere Supremo, nulla che abbia un qualche diritto ad essere considerato come una aggiunta reale al deposito della conoscenza generale esistente nel mondo. Se d’altra parte si constata che qualche cosa di considerevole è conosciuto circa l’Essere Supremo, sia per mezzo della Ragione sia per mezzo della Rivelazione, allora l’Istituzione in questione fa professione di ogni scienza, e tuttavia lascia fuori la più importante di esse. In una parola, per quanto questa asserzione possa apparire forte, io non vedo come posso evitare di farla, e vi prego di aver pazienza, Signori, mentre la faccio, cioè: una tale Istituzione non può essere quello che dichiara di essere, se vi è un Dio. Io non desidero far delle declamazioni; ma, per la stessa forza dei termini, è del tutto chiaro che un Essere Divino e una Università così determinata non possono coesistere.

Questa, tuttavia, può sembrare a molti una conclusione troppo radicale, e non sarà facilmente accettata: quali obiezioni, Signori, le saranno rivolte? Forse questa: si dirà che vi sono diversi tipi di sfere di conoscenza, umana, divina, sensibile, intellettuale, e così via; e che una Università certamente comprende in sé tutte le varietà della Conoscenza, ma che, tuttavia, segue una sua propria linea. Essa contempla e occupa un certo ordine, una certa piattaforma, di Conoscenza. Io comprendo l’osservazione; ma vi confesso che non comprendo come possa essere applicata all’argomento in discussione. Io non posso costruire la mia definizione dell’oggetto della Conoscenza Universitaria, e tracciare le mie linee divisorie intorno ad essa, in modo tale da includervi le altre scienze comunemente studiate nelle Università, e da escludere la scienza della Religione. Per esempio, dobbiamo limitare la nostra idea del Sapere Universitario all’evidenza dei nostri sensi? Ma allora escludiamo l’etica; all’intuizione? ma escludiamo la storia; alla testimonianza? escludiamo la metafisica; al ragionamento astratto? escludiamo la fisica. L’essere di un Dio non ci è forse riferito dalla testimonianza, comprovato dalla storia, dedotto per mezzo di un processo induttivo, insinuato dalla necessità metafisica, imposto dai suggerimenti della nostra coscienza? È una verità nell’ordine naturale, come in quello soprannaturale. Ciò si dica quanto alla sua origine; e, quando si è riconosciuta, quale è il suo valore? è una grande o una piccola verità? è una verità che abbia un contenuto? Dite che non ci è stata data nessun’altra idea religiosa se non questa, e avete abbastanza da riempire la mente; avete immediatamente un intero settore dogmatico. La parola “Dio” è una teologia in se stessa, indivisibilmente una, inesaustibilmente varia, a causa dell’universalità e della semplicità del suo significato. Ammettete un Dio, e voi introducete tra gli argomenti della vostra conoscenza, un fatto che racchiude, che avvolge, e che assorbe ogni altro fatto concepibile. Come possiamo investigare ogni parte di qualunque ordine di Conoscenza, e fare a meno di quella che entra in ogni ordine? Tutti i principii veri ne sono pervasi, tutti i fenomeni convergono verso di esso; esso è veramente il Primo e l’Ultimo. A parole, senza dubbio, e anche nella mente, è abbastanza facile dividere la Conoscenza in umana e divina, secolare e religiosa, e stabilire che ci applicheremo all’una senza interferire con l’altra; ma di fatto è cosa impossibile. Se si concede che la verità divina differisce in genere da quella umana, allora le verità umane differiscono in genere l’una dall’altra. Se la conoscenza del Creatore si colloca in un ordine diverso dalla conoscenza della creatura, così, in maniera analoga, la scienza metafisica si pone in un ordine diverso da quella fisica, la fisica dalla storia, la storia dall’etica. Ridurrete molto presto in frammenti tutta la sfera del sapere secolare, se iniziate a mutilarlo del divino.

Ho parlato semplicemente della Teologia Naturale; la mia argomentazione diviene ovviamente più forte quando vengo alla Rivelazione. Poniamo che la dottrina dell’Incarnazione sia vera; non partecipa immediatamente della natura di un fatto storico, e di un fatto metafisico? Poniamo che sia vero che vi sono degli Angeli: in che modo si può dire che questo non sia un elemento della conoscenza nello stesso senso dell’affermazione del naturalista, che miriadi di esseri viventi possono coesistere sulla punta di un ago? Che la Terra sarà bruciata dai fuoco, è, se è vero, un fatto così imponente come quegli immani mostri che una volta si muovevano nelle sue profondità; che l’Anticristo verrà, è un titolo così categorico di un capitolo di storia, come che Nerone o Giuliano furono Imperatori di Roma; che un influsso divino muove la volontà, è un argomento di pensiero non più misterioso che il risultato della volizione sui nostri muscoli, che ammettiamo in metafisica come un fatto.

Io non vedo come sia possibile, per una mente filosofica, dapprima credere che questi fatti religiosi siano veri, poi consentire a ignorarli, e in fine, nonostante tutto questo, continuare a proclamare di star insegnando de omni scibili. No; se un uomo pensa nel suo cuore che questi fatti religiosi sono vuoti di verità, che non sono veri nei senso in cui il fatto generale e la legge della caduta di una pietra verso la terra è vera, io intendo che egli esclude la Religione dalla sua Università, per quanto accampi altre ragioni per la sua esclusione. In quel caso la diversità delle opinioni religiose con la quale vuoi coprire la sua condotta, non è soltanto la sua scusa per sconfessare pubblicamente la Religione, ma una causa del fatto che egli in privato non vi crede. Egli non pensa che qualche cosa sia conosciuta o può essere conosciuta come certa, circa l’origine del mondo o il fine dell’uomo.

[…]

Desidero dare, Signori, a queste precisazioni tutto il loro peso, sia per la gravità della questione, sia per la considerazione dovuta alle persone che io chiamo in giudizio; ma, prima di potermi sentir sicuro di comprenderle, devo porre una domanda molto netta. Quando mi vien detto, dunque, dai sostenitori di Università senza insegnamento Teologico, che la scienza umana conduce alla credenza in un Essere Supremo, senza voler negare il fatto, anzi, come Cattolico, essendone pienamente convinto, tuttavia sono obbligato a chiedere quel che significhi nelle loro bocche questa affermazione, ossia che cosa essi, coloro che così parlano, intendono con il termine “Dio”. Non si pensi che abbia intenzioni offensive, quando domando se esso significa la stessa cosa per entrambi i contendenti. Per noi Cattolici, come per la prima generazione di Protestanti, come per i Maomettani, e tutti i Teisti, la parola contiene in se stessa, come ho già detto, tutta una Teologia. A rischio di anticipare quello che avrò occasione di sottolineare nel mio prossimo Discorso, permettetemi di dire che, secondo l’insegnamento del Monoteismo, Dio è un Essere Individuo, Autonomo, pienamente Perfetto, Immutabile; intelligente, vivente, personale, e presente; onnipotente, che tutto vede, che tutto ricorda; tra di lui e le Sue creature vi è una distanza infinita; Egli non ha origine, poiché è autosufficiente; Egli ha creato e sostiene l’universo; giudicherà ciascuno di noi, prima o poi, secondo la Legge della giustizia e dell’ingiustizia che Egli ha scritto nei nostri cuori. Egli è Uno che è sovrano sui decreti che Egli stesso ha stabilito, che opera in essi, ed è indipendente da essi; Uno nelle cui mani sono tutte le cose, che ha uno scopo in ogni avvenimento, e una misura per ogni azione, ed ha perciò rapporti personali con le materie di ogni scienza particolare rivelata dal libro della conoscenza; che ha impegnato Se stesso con una energia adorabile, incessante, in tutta la storia della creazione, nella costituzione della natura, nei divenire del mondo, nell’origine della società, nelle fortune delle nazioni, nelle azioni della mente umana; e che di conseguenza diviene necessariamente l’argomento di una scienza, di gran lunga più ampia e più nobile di qualsiasi scienza tra quelle che fanno parte del cerchio dell’educazione secolare.

Questa è la dottrina che scaturisce dalla credenza in un Dio nella mente di un Cattolico; se essa significa qualche cosa, significa tutto questo, e non può fare a meno di significare tutto questo, e molto più ancora; e, anche quando non vi fosse nulla nelle opinioni religiose degli ultimi tre secoli in discredito della verità dogmatica, tuttavia, anche allora, avrei difficoltà nel credere che una dottrina così misteriosa, così dogmatica, sia considerata come ovvia dagli uomini colti di oggi, che si volgano a considerarla con attenzione. Piuttosto, in una condizione sociale come la nostra, in cui l’autorità, il precetto, la tradizione, la consuetudine, l’istinto morale e gli influssi divini valgono nulla, in cui la pazienza di pensiero, e la profondità e la coerenza della visione, sono disprezzate come cavillose e scolastiche, in cui la libera discussione e il giudizio problematico sono considerati come un diritto di nascita di ogni individuo, io devo essere scusato se esercito nei confronti di quest’epoca, per quel che riguarda la sua credenza in questa dottrina, una parte almeno di quello scetticismo che essa esercita verso qualsiasi asserzione accreditata ma non criticata. Io non posso prendere per concesso, io devo vederlo comprovato da un’evidenza tangibile, che lo spirito della nostra epoca intende per Essere Supremo quello che intendono i Cattolici. Anzi, sarebbe un sollievo per la mia mente avere una sicurezza fondata, che i settori influenzati da quello spirito hanno, non dirò un’autentica comprensione di Dio, ma almeno l’idea di quello che è un’autentica comprensione.

Non vi è nulla di più facile dell’usare il termine, e non significare nulla con esso. I pagani erano soliti dire: “Dio vuole”, quando intendevano il “Fato”; “Dio provvede”, quando intendevano il “Caso”; “Dio agisce”, quando intendevano l’“Istinto” o il “Senso”; e “Dio è dovunque”, quando intendevano “l’Anima della Natura”. L’Onnipotente è qualche cosa di infinitamente diverso da un principio, o da un centro di azione, o da una qualità, o da una generalizzazione di fenomeni. Se, dunque, con questo termine intendiamo soltanto un Essere che tiene il mondo in ordine, che agisce in esso, ma soltanto nel modo della Provvidenza generale, che agisce verso di noi ma soltanto per mezzo di quelle che sono chiamate leggi di Natura, che senza dubbio non agirà per nulla piuttosto che agire indipendentemente da quelle leggi, che è di certo conosciuto e avvicinato, ma soltanto attraverso quelle leggi; un tal Dio chiunque lo può concepire senza difficoltà, o tollerare senza difficoltà. Se, dico, come volete rivoluzionare la società, così rivoluzionate il cielo, se avete mutato la sovranità divina in una specie di monarchia costituzionale, in cui il Trono ha sufficiente onore e cerimoniale, ma non può esprimere il comando più ordinario tranne che per mezzo di forme e precedenti legali, e con la controfirma di un ministro, allora la credenza in un Dio non è nulla di più del riconoscimento di forze e fenomeni esistenti di natura sensibile, che nessuno tranne un idiota può negare. Se l’Essere Supremo è potente o intelligente, soltanto nella misura in cui il telescopio mostra potenza, e il microscopio intelligenza, se la Sua legge morale deve venir dedotta semplicemente dai processi fisici della struttura animale, o la Sua volontà dedotta dalle conclusioni immediate delle vicende umane, se la Sua Essenza è proprio tanto alta e profonda e ampia ed estesa quanto l’universo, e non più; se questa è la situazione di fatto, allora ammetterò che non vi è una scienza specifica intorno a Dio, che la teologia è soltanto un nome, ed una protesta in sua difesa un’ipocrisia. Se le cose stanno così, Egli coincide semplicemente con le leggi dell’universo; allora Egli è soltanto una funzione, o un correlato, o un riflesso soggettivo ed un’impressione mentale, di ogni fenomeno del mondo materiale e morale, quando ci scorre dinanzi. Allora, per quanto possa essere pio, il pensare a Lui, mentre si svolge la processione degli esperimenti o dei ragionamenti astratti, una simile pietà è tuttavia null’altro che una poesia del pensiero o un ornamento del linguaggio, e non ha neanche un influsso infinitesimo sulla filosofia o la scienza, di cui è piuttosto la produzione parassitaria.

Comprendo, in quel caso, perché la Teologia non dovrebbe richiedere un insegnamento specifico, dato che in essa non vi è nulla su cui si possa sbagliare; perché è priva di forza contro le previsioni scientifiche, dato che è semplicemente una di esse; perché è assolutamente assurda nelle sue denunce dell’eresia, dato che l’eresia non sta nella zona dei fatti e degli esperimenti. Comprendo, in quel caso, come mai il senso religioso è soltanto un “sentimento”, e il suo esercizio un “piacere gratificatorio”, dato che è come il senso del bello e dei sublime. Comprendo come la contemplazione dell’universo “ci porta verso la verità divina”, poiché la verità divina non è qualche cosa di separato dalla Natura, ma è la Natura con un alone divino su di essa. Comprendo lo zelo dimostrato per la Teologia Fisica, dato che questo studio è soltanto un modo di considerare la Natura Fisica, un certo punto di vista sulla Natura, privato e personale, che un uomo può avere e un altro non avere, che è eliminato da menti dotate, e considerato da altre come ammirevole e ingegnoso, e come il migliore per tutti da adottare. Essa non è altro che la teologia della Natura, proprio come parliamo della filosofia o del romanzo della storia, o della poesia dell’infanzia, o del pittoresco, o del sentimentale, o dell’umoristico, o di qualsiasi altra qualità astratta, che il genio o il capriccio dell’individuo, o la moda del giorno, o l’opinione comune del mondo, riconoscono in ogni serie di oggetti che siano sottoposti alla loro contemplazione.

Simili idee della religione mi sembrano lontane dal Monoteismo; io non le imputo a questo o quell’individuo appartenente alla scuola che le sostiene; ma ciò che leggo circa la “soddisfazione” di tenere il passo nelle nostre ricerche scientifiche con “l’Architetto della Natura”; circa il fatto che detta soddisfazione “conferisce dignità e importanza ai gusto della vita”, e ci insegna che la conoscenza e i nostri doveri sociali sono i soli oggetti terreni degni della nostra attenzione, tutto questo, lo ammetto, Signori, mi fa paura; né il discorso alla Divinità del Dottor Maltby è sufficiente a rassicurarmi. Io non vedo molta differenza tra l’ammettere che non vi è un Dio, e il sostenere che non si può conoscere con certezza nulla di definito su di Lui; e quando trovo l’Educazione Religiosa considerata come la coltivazione del sentimento, e la Fede Religiosa come una sfumatura o un atteggiamento accidentale della mente, sono costretto a forza a ricordare una ben spiacevole pagina di Metafisica, cioè quella che riguarda i rapporti tra Dio e la Natura supposti da filosofi quali Hume. Questo pensatore acuto, per quanto di mente molto grossolana, nella sua ricerca sull’Intelletto Umano rappresenta, come è ben noto, Epicuro, ossia un maestro di ateismo, mentre rivolge un discorso al popolo Ateniese, non in difesa, ma in ammorbidimento di quell’opinione. Il suo scopo è di mostrare che, siccome l’opinione atea non è altro che un rifiuto della teoria, e un’accurata rappresentazione dei fenomeni e dei fatti, non può essere pericolosa, a meno che i fenomeni e i fatti siano pericolosi. Hume fa dire a Epicuro che il paralogismo della filosofia è sempre stato quello di fondarsi sulla Natura per dimostrare qualche cosa al di là della Natura, maggiore della Natura; mentre, posto che Dio, come egli sostiene, è conosciuto soltanto per mezzo del mondo visibile, la nostra conoscenza di Lui è assolutamente commisurata alla nostra conoscenza del mondo, - non è in alcun modo distinta da essa -, è soltanto un modo di considerare il mondo. Ne consegue che, purché noi ammettiamo, come non possiamo non ammettere, i fenomeni della natura e del mondo, è soltanto una questione di parole il fare o non fare l’ipotesi di un secondo Essere, non visibile ma immateriale, parallelo alla Natura e coincidente con essa, a cui diamo il nome di Dio. “Ammettendo”, egli dice, “che gli dei siano gli autori dell’esistenza o dell’ordine dell’universo, ne segue che essi possiedono quel preciso livello di potenza, d’intelligenza, e di benevolenza, che appare nella loro opera; ma nulla di più può venir provato, a meno che facciamo intervenire l’assistenza dell’esagerazione e della lusinga per colmare le mancanze dell’argomentazione e del ragionamento. In quanto appaiono, nel momento presente, le tracce di un qualche attributo, per tanto possiamo concludere che questi attributi esistono. La supposizione di attributi ulteriori è una pura ipotesi; molto più la supposizione che, in lontane epoche di tempo e di luogo, vi è stata, o vi sarà, una manifestazione più magnifica di questi attributi, e uno schema di dispensazione più adeguato a queste virtù immaginarie” [D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano, sez. XI (tr. it. Bari 1957, pp. 154-155)].

Vi è qui un ragionatore, il quale non esiterebbe a negare che vi sia una scienza distinta o una filosofia possibile riguardo all’Essere Supremo; dal momento che ogni singola cosa che noi conosciamo di Lui è questo o quello o quell’altro fenomeno, materiale o morale, che cade già sotto il dominio di questa o di quella scienza naturale. In lui sarebbe dunque mera coerenza eliminare la Teologia in un corso di Educazione Universitaria: ma come sarebbe coerente in chi rifugge dalla sua compagnia? Io son lieto di vedere che l’autore, citato ripetutamente in precedenza, si contrappone a Fiume, in una frase della citazione che ho fatto dal suo Discorso sulla Scienza, in cui afferma che i fenomeni del mondo materiale sono insufficienti al pieno dispiegamento degli Attributi Divini, e sottintende che richiedono un processo supplementare per completare e armonizzare la loro evidenza. Ma questo processo supplementare non è una scienza? E se è così, perché non riconoscere la sua esistenza? Se Dio è più della Natura, la Teologia reclama un posto tra le scienze: ma, d’altra parte, se non siete sicuri neppure di questo, in che cosa differite da Hume o Epicuro? Termino come ho iniziato: la dottrina religiosa è conoscenza. Questa è la verità importante, poco nota ai nostri giorni, che prego tutti coloro i quali mi hanno onorato con la loro presenza in questo luogo di recare via con sé. Io non corro dietro ad argomentazioni sottili, ma enuncio gravi principii. La dottrina religiosa è conoscenza, in un senso così forte come la dottrina di Newton è conoscenza. L’Insegnamento Universitario senza la Teologia è semplicemente non filosofico. La Teologia ha almeno tanto buon diritto di pretendere un posto in esso quanto l’Astronomia.

Il mio prossimo Discorso avrà come scopo di dimostrare che la sua omissione dalla lista delle scienze riconosciute non è soltanto insostenibile in se stessa, ma dannosa a tutto il resto.

[…]

Per riassumere ora in poche parole quello che ho esposto: il mio scopo è stato, come è chiaro - non di far vedere che la Scienza Secolare nei suoi vari settori può prendere una posizione ostile alla Teologia; - questo è piuttosto il fondamento della obiezione con cui ho iniziato questo Discorso; - ma di indicare la causa di una ostilità a cui tutte le parti daranno testimonianza. Ho insistito perciò su questo, che l’ostilità in questione, quando si verifica, coincide con una evidente deviazione o esorbitanza della Scienza dal proprio corso; e che questa esorbitanza ha sicuramente luogo, quasi per necessità intrinseca, se la Teologia non è presente a difendere i suoi confini e a impedire l’invasione. La mente umana non può trattenersi dallo speculare e dal sistematizzare; e se la Teologia non ha il permesso di occupare il suo stesso territorio, le scienze vicine, anzi, scienze che sono del tutto estranee alla Teologia, ne prenderanno possesso. E la prova che questa occupazione è una usurpazione è data dalla circostanza che queste scienze estranee assumeranno come veri certi principii, e agiranno in base ad essi, che non hanno né autorità di stabilire, né possibilità di ricorrere a qualche altra scienza più elevata perché li stabilisca per loro. Per esempio, se l’Archeologo dice: “non è mai accaduto nulla se non quello che si trova nei documenti storici”, questa è una presupposizione semplicemente ingiustificata; e così se lo Storico Filosofico dice: “ Non vi è nulla nel Giudaismo di diverso da altre istituzioni politiche”; o se lo studioso di Anatomia dice: “Non vi è un’anima al di là del cervello”; o se l’Economista Politico dice: “Le circostanze favorevoli rendono gli uomini virtuosi”. Questi sono enunciati, non della Scienza, ma del Giudizio Privato; ed è il Giudizio Privato che inocula in ogni scienza con cui viene in contatto una ostilità verso la Teologia, una ostilità che non è propriamente imputabile ad alcuna scienza in se stessa.

Se dunque, Signori, io mi oppongo ora ad un tal modo di fare come non filosofico, che cosa è questo se non fare quello che uomini di scienza fanno, quando sono in giuoco gli interessi delle loro ricerche specifiche? Se essi si ‘opporrebbero certamente all’ecclesiastico che volle stabilire l’orbita di Giove ricorrendo al Pentateuco, perché devo essere accusato di vigliaccheria o di mancanza di libertà, se non intendo tollerare il loro tentativo di far della teologia per mezzo dell’astronomia? Gli scienziati sperimentali si indignerebbero certamente, se cercassi di installare la filosofia Tomista nelle scuole di astronomia e di medicina, perché non posso, quando la Scienza Divina è messa al bando, e La Place, o Buffon, o Humboldt, siedono sulla sua cattedra, perché non posso io a buon diritto protestare contro il loro esclusivismo, e domandare l’emancipazione della Teologia?

Ritengo di aver detto abbastanza a riprova del primo punto, che mi son proposto di sostenere, e cioè del diritto della Teologia ad essere rappresentata tra le Cattedre di una Università. Ho dimostrato, a quanto penso, che la taccia di esclusivismo si applica in realtà, non a coloro che sostengono questo diritto, ma a coloro che lo mettono in discussione. Io ho parlato in suo favore, in primo luogo, in base alla considerazione che, poiché l’intenzione stessa di una Università è quella di insegnare tutte le scienze, per questo motivo non può escludere la Teologia tra di esse. inoltre, ho insistito sull’importante influsso, che la Teologia di fatto esercita e deve esercitare su un gran numero di scienze, completandole e correggendole; cosicché, ammettendo che essa sia una scienza reale che si occupa della verità, non può venire omessa senza gran pregiudizio dell’insegnamento di altre scienze. E in ultimo, ho fatto presente che, ove la Teologia non sia insegnata, il suo campo non sarà semplicemente trascurato, ma sarà effettivamente usurpato da altre scienze, che insegneranno, senza garanzia, le loro conclusioni in un argomento che necessita dei propri principii per la sua debita formazione e disposizione.

Le affermazioni astratte sono sempre insoddisfacenti; queste, come ho già osservato, potrebbero essere illustrate con ampiezza molto maggiore di quel che il tempo che mi è concesso a questo scopo ha permesso. Lasciatemi sperare di aver detto abbastanza sull’argomento da suggerire pensieri, che coloro i quali sono interessati ad esso possono seguire per conto proprio.

John Henry Newman, L'idea di Università, tr. it. a cura di L. Obertello, Vita e pensiero, Milano 1976, pp.69-71; 79-85; 136-138.