Grandezza e valore morale della scienza

Famoso per la formalizzazione del dualismo onda-corpuscolo nella meccanica quantistica, Louis De Broglie, premio Nobel per la fisica nel 1929, profonde nelle parole qui di seguito la sua visione sulla grandezza morale della scienza. Il grande sforzo di energie intellettuali dello scienziato-il più delle volte senza neanche un suo, se non modesto, profitto- apporta un piccolo contributo al miglioramento della condizione della vita umana, delle sue difficoltà, miserie e sofferenze, facilitando "la costruzione delle grandi sintesi che onorano lo spirito umano". Ma il grande fisico non può far a meno di mettere in luce quelle che definisce ombre di un quadro luminoso, in particolare, in merito ad alcuni sviluppi della scienza. Alcune applicazioni di questa, infatti, meritano uno sforzo sapiente da parte della comunità scientifica, affinchè siano sempre volte al Bene e al Vero. Citando Henri Bergson, l'aumentato volume del corpo di conoscenze che si allarga richiederebbe un'altrettanto supplemento di anima, che non sempre procede, però, allo stesso passo dell'avanzamento delle scienze.

Dinanzi all’ immenso sforzo compiuto da tante generazioni, che si sviluppa senza posa all'epoca nostra, per estendere e promuovere la conoscenza disinteressata dei fenomeni naturali e della loro coordinazione,una domanda s’ impone alla nostra attenzione. Quale attrazione misteriosa si esercita su certi uomini e li incita a consacrare il loro tempo e le loro fatiche a un lavoro da cui spesso non trarranno alcun profitto per se stessi?  Come, per il solo desiderio di giungere a intravedere qualche nuovo aspetto della verità, in mezzo alle assillanti preoccupazioni della vita quotidiana,in mezzo al conflitto di interessi di cui essa è fatta, la scienza pura rivolta unicamente verso l'ideale ha potuto trovare la sua via?  Evidentemente, questo è uno degli aspetti di quella duplice natura dell'uomo che pensatori e Filosofi hanno tante volte già messe in luce: rattenuti dalla nostra costituzione organica e dalle nostre varie passioni nella sfera inferiore delle nostre occupazioni giornaliere, noi ci sentiamo anche sollecitati dalla appello dell'ideale, Da un'aspirazione più o meno precisa verso valori spirituali, e a questi sentimenti  anche i peggiori fra noi non sfuggono mai interamente.  Ma spiegare le aspirazioni elevate e gli sforzi disinteressati dell'uomo con la sua natura morale che si applica in tanti campi dell'attività umana, non basta da solo a giustificare completamente l'attrazione che la scienza pura e disinteressata esercita sul nostro spirito.Dobbiamo precisare meglio l'origine e la natura di tale attrazione.

Qual è, dunque, il fine che perseguono, talvolta senza averne chiaramente coscienza, lo sperimentatore che attende nel suo laboratorio a precisare la natura dei fenomeni noti o a osservarne dei nuovi, e il teorico che nel suo studio cerca di combinare i simboli e i numeri per ricavarne costruzioni astratte che stabiliscano correlazioni ho rapporti insospettati tra fatti osservabili? Questo fine, l'abbiamo visto, e di penetrare maggiormente nella conoscenza delle armonie della natura, di  giungere a intravedere qualche riflesso dell'ordine che regna nell'universo, qualche particella delle realtà profonde e nascoste che lo costituiscono. Gli scienziati e I filosofi di tendenza pragmatista, come l’eminente fisico Pierre Duhem,  hanno ridotto a una funzione utilitaria il valore delle teorie scientifiche, ma hanno dovuto riconoscere che esse stabiliscono tra i fenomeni una classificazione naturale che ci permette di intuire un ordine ontologico che ci trascende. Tutti quelli che consacrano i loro sforzi alla scienza pura ammettono (lo riconoscano o no, poco importa) l'esistenza di quest’ ordine,e  per sollevare per un momento un piccolo lembo del velo che ce lo nasconde e si consumano le loro forze e le loro veglie. Le grandi scoperte che furono, per così dire, le pietre miliari della storia delle scienze –si pensi, ad esempio, guarda ti conviene a quella della gravitazione universale – state come bruschi lampi che hanno fatto intravedere improvvisamente un'armonia sino allora insospettata, ed è per avere di tanto in tanto la divina gioia di scoprire siffatte armonie che la scienza pura lavora senza risparmiare le sue fatiche, né cercare profitto.

Certo le grandi scoperte non si compiono in un giorno: esse vanno preprarate lungamente da severi e minuziosi lavori. Talvolta, Immerso nei particolari del lavoro che lo assorbe, lo  specialista che mette a punto i suoi apparecchi o sviluppa i suoi calcoli può benissimo perdere di vista lo scopo lontano delle sue ricerche e non preoccuparsi più dell'armonia dell'universo: ma ciò che dà valore ai suoi sforzi e ne giustifica l'apparente inutilità è che egli, recando all'opera comune i suoi piccoli contributi, facilita la costruzione delle grandi sintesi che onorano lo spirito umano. Ogni scienziato, a seconda delle sue tendenze e convinzioni filosofiche, concepisce a modo suo l'esistenza e il significato di quell'ordine nascosto, di quel l'ultima realtà che la scienza pura ricerca senza posa; ma tutti gli scienziati, quando sono sinceri, riconoscono che la ricerca della verità è la vera ragione che giustifica gli sforzi della scienza pura e che la rende nobile. Anzi, sulla questione fondamentale del fine della scienza disinteressata, tutti i veri scienziati, nonostante la loro disparità di opinione, sono  indubbiamente più vicini di quanto essi stessi credano.

Il maggiore risultato del progresso scientifico consiste nell'averci rivelato una certa concordanza tra il nostro pensiero e le cose, una certa possibilità di cogliere con le risorse della nostra intelligenza e le norme della nostra ragione le relazioni profonde che esistono tra i fenomeni. Noi non ci meravigliamo abbastanza del fatto che una scienza sia possibile, cioè che la nostra ragione ci fornisca i mezzi per comprendere almeno certi aspetti di ciò che accade intorno a noi nella natura. Alcuni pensatori trovano questo fatto naturale: l'umanità,  essi dicono, ha dovuto subire per millenni il contraccolpo dei fenomeni naturali e imparare ad adattarvisi per sopravvivere; perciò il nostro spirito, che ha imparato a poco a poco a formarsi la sua logica e le sue norme di ragionamento sotto la pressione del mondo materiale, non deve meravigliarsi di ritrovare nel mondo materiale la logica è l'enorme di ragionamento che ne ha tratto. Personalmente, noi non troviamo questo argomento molto conclusivo: difatti,  perché l’umanità abbia dovuto adattarsi a vivere nel mondo che ci circonda, bisogna che ci fosse già tra questo mondo e il nostro spirito una analogia di struttura: se così non fosse, forse l'umanità non avrebbe potuto sopravvivere; ebbene! sarebbe scomparsa, ecco tutto! Dato che è sopravvissuta, ciò significa che è capace di comprendere certe leggi che regolano la successione dei fenomeni naturali in modo da adattarsi a essi o anche di trarne profitto. Ecco perchè la predisposizione del nostro spirito a scoprire i rapporti tra i fenomeni e l’ordine che si manifesta nella natura ci sembra molto più sorprendente di quanto si dica. [...]

Insomma, tutti questi esempi si mostrano quanto sia notevole l'accordo tra le risorse di cui dispone il nostro spirito e le realtà profonde che si nascondono dietro le apparenze naturali. Mettere più chiaramente in luce questo accordo, intravedere meglio quello ordine ontologico di cui parlava il Duhem: tale sembra essere la vera missione della scienza pura. Lungi da ogni preoccupazione utilitaria, consacrata unicamente alla ricerca della verità, essa ci appare come una delle più nobili attività di cui siamo capaci.Per la natura ha fatto ideale del fine che persegue, e per l'intensità e il carattere disinteressato degli sforzi che esige,essa possiede un valore morale incontestabile.

A questo punto qualcuno potrà forse domandarsi: dove conduce questa ricerca appassionata della verità? La scienza progredisce a grandi passi; ogni giorno si compiono nei suoi laboratori scoperte meravigliose; le  sue ardite teorie aprono nuove meravigliose prospettive sul mistero delle cose. Giungerà essa presto a sollevare il velo d’Iside, a farsi penetrare definitivamente negli arcani della natura,  a dare infine una risposta ai grandi problemi metafisici che da tanti secoli tormentano lo spirito umano? Sembra che un simile successo della scienza pura sia ancora lontano. Il mistero ci circonda; come Puvis de Chavannes ha rappresentato simbolicamente nel vasto affresco che orna il grande anfiteatro della Sorbona, noi siamo nel centro di una piccola radura circondata da ogni parte da un’immensa e tenebrosa foresta inesplorata. No, non sarà domani che la scienza potrà darci la chiave degli enigmi dell’universo: essa non è ancora prossima al termine dello sforzo di cui nulla permette di prevedere la durata.

Non è impossibile intanto che i progressi della scienza apportino dati nuovi, suscettibili se non di risolvere, almeno di chiarire certi grandi problemi della filosofia. Già ora, introducendo idee nuove sullo spazio e sul tempo, sull’impossibilità di seguire il determinismo nei fenomeni elementari, sul carattere «complementare» di certe immagini, in apparenza contraddittorie, come quelle di onda e di corpuscolo, sulla indiscernibilità delle particelle elementari, la fisica contemporanea offre alle menti dei filosofi temi speculativi affatto novi di cui si è ben lontani attualmente dall’aver scorto tutte le conseguenze. Lo studio del nucleare atomico, facendoci penetrare nelle ultime profondità della materia, ci riserva molte sorprese e può recarci importanti rivelazioni. L’astronomia, allargando in modo insolito i limiti delle regioni osservabili del mondo stellare, ci dà sulla estensione dell’universo, sulla sua età ed evoluzione, notizie adatte a orientare le nostre concezioni cosmologiche. Molte altre scienze ci forniscono ogni giorno dati di cui i filosofi più tardi dovranno tener conto. Ma alla biologia bisogna riservare un posto affatto speciale; come scienza della vita, la biologia è una scienza d’una importanza primaria; i suoi progressi sono rapidi, le sue scoperte, specialmente in genetica, sono molto suggestive e interessanti; forse, presto o tardi, essa ci darà indicazioni importantissime sulla funzione dei fenomeni vitali e sul vero posto che conviene dare loro nella natura. [...]

Abbiamo parlato della scienza pura; ora dobbiamo dire qualche parola sulla scienza applicata. Per il fatto stesso che essa ci rivela l’esistenza delle leggi che governano i fenomeni naturali e delle correlazioni esistenti fra loro, la conoscenza scientifica ci fornisce la possibilità di utilizzarle a nostro profitto. Così, a mano a mano che la scienza si è sviluppata, abbiamo visto moltiplicarsi, con una velocità che sempre più si accresce, il numero e la varietà delle sue applicazioni. Sarebbe troppo lungo e inutile enumerarle: esse hanno trasformato la vita materiale dell’umanità civile, cambiando profondamente le nostre attività. Non possiamo non parlarne, e dobbiamo domandarci qual è il loro valore.

Ciò che vogliamo prima esaminare è in che misura la scienza applicata, cioè la tecnica, partecipa alla grandezza e al valore intellettuale della scienza pura. Sicuramente, siccome essa non si propone un fine puramente ideale ma si preoccupa soprattutto di soddisfare ai bisogni della vita quotidiana, siccome spesso deve tener conto delle contingenze materiali e delle condizioni finanziarie o commerciali, la scienza applicata non ha, dal lato puramente intellettuale, il valore elevato della scienza pura. Tuttavia non si può negare che il progresso della tecnica scientifica comporti certi studi il cui carattere teorico è spesso elevato, e che pertanto essa rechi talvolta un contributo importante alla scienza pura. Per non citare altro che un esempio tra i molti, i recenti sviluppi dell’elettrotecnica hanno richiesto l’uso di certi metodi di calcolo e di certe forme di ragionamento molto interessanti dal punto di vista speculativo. Inoltre, la tecnica propone alla ricerca scientifica problemi importantissimi che quest’ultima ha grande interesse a studiare e, possibilmente, a risolvere, la cui soluzione permette poi alla tecnica di fare nuovi progressi. Così si stabilisce tra la scienza pura e la tecnica un fertile scambio di idee, la prima fornendo alla seconda le conoscenze di cui essa ha bisogno per comandare alla natura, e la seconda offrendo alla prima soggetti di ricerca e suggerimenti diversi. Se si aggiunge che la tecnica, studiando problemi difficili la cui soluzione richiede molto lavoro e ingegnosità, impone a quelli che la fanno progredire grandi sforzi e lunghe fatiche, si comprenderà, pur facendo astrazione da qualsiasi considerazione sentimentale, che anch’essa ha la sua grandezza e che non bisogna svalutarla.

Ma, per giudicare dalle applicazioni della scienza, possiamo porci anche da un altro punto di vista meno strettamente intellettualistico. Difatti, ciò che accresce il valore morale della scienza applicata è la sua capacità di migliorare le condizioni della vita umana, di attenuarne le difficoltà, di mitigare le miserie e le sofferenze. I progressi della meccanica, della fisica e della chimica permettono di sviluppare le industrie e le invenzioni che rendono più comoda la vita materiale, i mezzi d’azione di cui disponiamo e le diverse possibilità offerte alla nostra attività. Le scienze naturali e biologiche recano il loro aiuto all’agricoltura e all’allevamento del bestiame; con il loro concorso la medicina e la chirurgia, combattendo le malattie, attenuano sofferenze e contribuiscono ad allungare la nostra vita. Sono queste le grandi e belle opere della scienza applicata che ci obbligano tutti al rispetto e all’ammirazione. Esse completano la nobiltà della funzione della scienza, perché così la scienza non lavora soltanto per il Vero, ma anche per il Bene.

D’altra parte, niente ci permette di dire dove si fermeranno i benefici effetti delle applicazioni scientifiche, I progressi più recenti ci fanno intravedere la possibilità. In un avvenire più o meno prossimo, di nuove applicazioni suscettibili di immense ripercussioni sulla nostra civiltà.  Sceglierò solo due esempi, tra i molti che si potrebbero prendere in esame. Consideriamo dapprimo la fisica del nucleo atomico, scienza giovane, in pieno sviluppo, la quale ci rivela che enormi quantità di energia si trovano ancora inutilizzate nelle pieghe delle profonde strutture della materia: domani, essa ci insegnerà forse a liberarle e a utilizzarle a nostro profitto e la faccia del mondo sarà cambiata. Consideriamo ancora la genetica, ramo nuovo della biologia che ci rivela le condizioni delle trasmissioni ereditarie e proietta strane luci sullo sviluppo degli organismi viventi: un giorno forse essa permetterà di influire, almeno in una certa misura, sull’evoluzione degli essere viventi durante le generazioni, e nessuno è in grado di prevedere quali potranno essere le conseguenze di una simile potenza che renda la vita davvero padrona del suo destino. C'è qui tutto un complesso di prospettive capaci di suscitare un legittimo entusiasmo in quanti ripongono la passione del lavoro nei giovani che la ricerca scientifica attira e che, avendo l'avvenire davanti a sè, possono sperare di contribuire a realizzare domani una parte dei sogni ambiziosi di oggi.

Ahimè, perchè ci debbono essere ombre in questo quadro così luminoso? Perché deve accadere, disgraziatamente, che le applicazioni della scienza non siano sempre benefiche? E come potremo mai dimenticarlo, in un’epoca in cui risuona da ogni parte il rumore assordante delle armi e in cui si accumulano le rovine cagionate da spaventosi mezzi di distruzione? Se con il progresso delle scienze, ci saranno date nuove possibilità di migliorare la sorte degli uomini, non è men certo però che nello stesso tempo otterremo a nostra disposizione nuovi potenti mezzi per far soffrire, uccidere e distruggere. Saremo abbastanza saggi per servircene, o almeno per non abusarne? Ecco qui, per la gente del nostro tempo, un grave motivo di preoccupazione.

Ciò che rende in particolar modo angosciose queste domande è che, come ora abbiamo detto, niente ci permette di dire quali saranno, anche in un prossimo avvenire, i limiti dei mezzi d’azione di cui potremo disporre mediante lo sviluppo delle conoscenze scientifiche. Riprendiamo i due esempi citati poc’anzi. La microfisica può renderci capaci, forse prossimamente, di liberare una parte delle enormi quantità di energia nascoste nei nuclei atomici, e allora, indubbiamente, si potranno fabbricare esplosivi infinitamente più potenti di quelli attuali e capaci di far saltare in tutto o in parte il nostro pianeta. E poichè diamo libero corso alla nostra fantasia, possiamo immaginare anche che in un avvenire più o meno lontano i progressi della genetica ci permetteranno di provocare l’apparizione di tipi nuovi di esseri viventi che potrebbero essere superuomini, ma anche mostri. Gli uomini, quando fossero padroni di una simile potenza, come si servirebbero di essa? Sarà l'umanità così saggia da non usare le nuove armi, che la scienza potrà averle fornito, per compiere la propria distruzione?

In fondo, queste angosciose domande sollevano un problema morale. Le scoperte scientifiche e le loro possibili applicazioni non sono in se stesse né buone né cattive: tutto dipende dall’uso che se ne fa. Domani, come oggi, solo la volontà dell’uomo sarà chiamata a decidere sul carattere benefico o nefasto di quelle applicazioni. Per poter sopravvivere al progresso delle proprie conoscenze, l’uomo di domani dovrà trovare nello sviluppo della sua vita spirituale e nell’elevazione del suo ideale morale la saggezza di non abusare delle sue forza accresciute. Henri Bergson ha magnificamente espressa questa idea in una delle sue ultime opere, quando ha detto «Cresciuto il nostro corpo, esso ha bisogno quasi d’un supplemento d’anima». Ora, potremo noi acquistarlo, questo supplemento d’anima, con la stessa rapidità con cui si svilupperanno i progressi della scienza? Questo appunto è il problema dell’avvenire dell’umanità.

 

L. De Broglie, Fisica e Microfiisica, Einaudi, Torino 1950, pp. 214-217;218-220; 221-225 (ed.or.: Physique et Mycrophysique, 1947)