Un modo nuovo di pensare il futuro. Era Planetaria al bivio

   

Antropotecnica e Antropocene indicano i traguardi di nuove responsabilità e di nuove attività di cura. Questi convergono nella necessità di cercare, accettare e imporre limiti comuni alle azioni umane quando esse generano danni ambientali o violazioni morali. Così come il pericolo di ingiustizie sociali e umane impone di instaurare limiti precisi agli "egoismi" individuali mediante lo Stato sociale e lo Stato di diritto democratico, così come la bioetica è fatta di norme che indicano limiti su punti critici, così una nuova governance mondiale è chiamata a stabilire norme e limiti comuni e universali su punti critici riguardanti l'impatto ecologico e le ingiustizie globali.
La coscienza dei problemi vitali (morali, sociali, ambientali, planetari, terrestri) che oggi concernono l'umanità così come l'intelligenza che sa riconoscere l'interconnessione fra tutti questi problemi vitali sono la linfa dell'umanesimo planetario. In questo modo, l'umanesimo planetario rigenera la capacità di problematizzare la condizione umana e di interrogarsi sull'umano, che è alla radice dell'umanesimo classico o moderno.
L'umanesimo moderno era imperniato su una nozione astratta e metafisica di uomo e ha sviluppato il racconto della dignitas umana e dell'emancipazione individuale. L'umanesimo planetario articola questo racconto con il racconto delle interdipendenze cementate da bisogni vitali e concreti tra individui e collettività, tra umani e non umani, e con la prospettiva di un "comunitarismo" che raggiunge ormai la scala planetaria, perché avvolge l'umanità in un destino comune. Ora che dobbiamo vivere insieme, sempre più numerosi, riscopriamo, ma su scala mondiale, l'umanesimo più antico, quello che legava ogni uomo alle sue comunità di appartenenza più o meno prossime (famiglia, tribù, vicinato, villaggio, città, nazione...). E un "comunitarismo" che non favorisce chiusure ed etnocentrismi, ma si apre alle interdipendenze in seno alla "casa comune" e a una dialogica virtuosa produttrice di umanizzazione reciproca.
L'umanesimo planetario è un umanesimo della cura della funzione vitale delle relazioni tra umani e viventi. È un umanesimo delle interdipendenze. Sfocia in un comunitarismo globale e in una società-mondo che diviene la Terra-Patria. Contemporaneamente, il suo "antagonista", il transumanesimo, assegna alla tecnoscienza il compito messianico di superare la condizione umana e risuscita il mito dell'immortalità. Il transumanesimo non è un umanesimo. Il transumanesimo è fondato sullo "spregio" della corporeità e della materialità dell'esistenza umana e, conseguentemente, sul non riconoscimento della vulnerabilità dell'umano alla stregua di ogni vivente. Esso parte dalla dicotomia spirito/materia, riproduce l'ossessione moderna del dominio sulla natura e della "banalizzazione" o della meccanizzazione dei comportamenti umani. Si oppone surrettiziamente all'idea di eguaglianza, prospettando una divisione gerarchica tra uomini "aumentati" e uomini "mortali".
L'umanesimo, per converso, parte dal riconoscimento, e non dalla negazione, dei limiti strutturali dell'umano. E l'umanesimo planetario vi include quelli che derivano dalla codipendenza e dalle interconnessioni con il sistema vivente globale della Terra. […]
Anche l'umanesimo planetario fa appello al principio di responsabilità, ma invoca di estenderlo alla comunità di destino planetaria, senza cessare di coltivarlo nelle comunità territorializzate. Soprattutto, invita a vedere in questa estensione la possibilità di un futuro e di un progresso. Non possiamo più credere alla legge storica del progresso enunciata da Condorcet, ma, come Kant, possiamo avere una ragionevole e fondata speranza che la possibilità di un "progresso verso il meglio" dell'umanità rimanga aperta e non sia compromessa.
La storia umana non è né un semplice disordine, né il regno di una natura provvidenziale, ma si ripresenta come regno dell'uomo e della sua umanizzazione, della sua responsabilità e della sua incompiutezza, sempre aperta nella distanza incerta che si mantiene tra la promessa e l'effettiva riuscita, tra l'idea regolativa della ragione e il concreto avanzamento storico verso di essa. Questa volta è però arricchita dall'emergenza di un inedito destino comune planetario e dagli orizzonti e dagli imperativi pratici che questa emergenza impone. Il rischio angosciante di autoannientamento termonucleare, la pandemia e il nuovo regime climatico, in particolare, globalizzano e sincronizzano l'umanità nella sofferenza, nella malattia, nella compassione e nel pericolo, e con ciò la richiamano concretamente al suo destino comune e alla necessità di costituirsi e identificarsi in una unità che inglobi non solo le nazioni e i suoi popoli, ma la totalità degli esseri della Terra. La globalizzazione "terrestre" scavalca, imbriglia e traina la lenta e incerta globalizzazione dei diritti umani e costringe a interrogarsi sulle contraddizioni e sulle faglie sistemiche della globalizzazione tecnoeconomica.
In questa prospettiva, l'umanesimo planetario si incarica di problematizzare l'avvenire e la concezione contemporanea dominante del progresso, fondata sulla pretesa che ogni soluzione, ogni salvezza, siano di natura tecnica. Esige, al contrario, di prendere definitivamente congedo dal "mito moderno del progresso" basato su una duplice convinzione: la convinzione di una crescita necessaria e illimitata, in grado non solo di espandere i benefici, ma anche di risolvere, con la crescita ininterrotta, i problemi che essa stessa pone; e la convinzione "occidentalocentrica" dell'esistenza di uno standard di sviluppo, in base al quale distinguere le civiltà e le parti del mondo come avanzate o arretrate o primitive. Il che non significa dover abbandonare ogni idea di progresso, come si è già detto prima. Anzi, significa comprendere che in fondo all'idea di progresso c'era e c'è l'idea di "vivere meglio", di vivere in modo umano, civile, in relazione con gli altri. Idea, prima innestata nel processo storico come meccanismo ineluttabile, che ora diventa qualcosa di auspicabile, di possibile. E irrinunciabile. […]
L'umanità, oggi, per la prima volta nella sua storia, "è obbligata" a uscire dall'età della guerra e dello sfruttamento incondizionato dell'ambiente. "È obbligata" a uscire dal paradigma dei "giochi a somma nulla" per generare un paradigma dei "giochi a somma positiva". Per dirla con Ernesto Balducci, l'uomo del futuro sarà uomo di pace, o non sarà. Si tratta di una profonda discontinuità nell'evoluzione della condizione umana. Il futuro del progresso dovrà sgorgare "dalle viscere della necessità" e dall'innovazione da esse dettata, senza la quale l'umanità rischia di perdere se stessa: la costruzione di una "comunità mondiale". La comunità mondiale potrebbe nascere solo da "un semplice pactum unionis" dalle pratiche di dialogo invece che da quelle della forza, e dalle pratiche di apprendimento comune nell'esperienza delle crisi planetarie.

   

M. Ceruti, F. Bellusci, Umanizzare la modernità. Un modo nuovo di pensare il futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2023, pp. 111-114, 128-131.