I fondamenti della libertà accademica

 

Per coloro che apprezzano il valore della libertà, l'analisi dei fondamenti su cui essa riposa è di grande interesse pratico perché, rendendo chiari questi fondamenti, possiamo sperare di renderli più sicuri.
Sollevando questioni riguardanti la natura e la giustificazione della libertà, possiamo provare ad eliminare alcune sue ambiguità che l'hanno esposta, particolarmente nei nostri giorni, al fraintendimento e, peggio, alla corruzione e al discredito.
La libertà è ambigua perché vi sono differenti modi di essere liberi. Un modo è quello di essere libero da costrizioni esterne. I limiti razionali a questo tipo di libertà sono stabiliti dalla condizione che essa non deve interferire col diritto delle altre persone alla medesima libertà. Io ho, ad esempio, la libertà di scegliere tra andare a dormire o ascoltare la radio, a condizione che il mio ascoltarla non interferisca con la scelta del mio vicino tra le stesse due alternative. Questo è l'approccio alla libertà che i grandi utilitaristi hanno impresso alla nostra epoca. Esso è legato all'idea che ciò che una buona società deve fondamentalmente ricercare è la maggior felicità per il maggior numero di persone e che la libertà è la condizione di questa ricerca. Sfortunatamente, questa concezione individualistica o auto-assertiva (self-assertive) della libertà può essere usata per giustificare ogni tipo di comportamento deplorevole. A seconda delle circostanze, è stata invocata a protezione delle peggiori forme di sfruttamento, inclusa perfino la schiavitù. È servita come terreno del movimento romantico, nella sua esaltazione dell'individuo unico e senza legge, e delle nazioni che si battono per la grandezza ad ogni costo. La sua fondamentale opposizione ad ogni limitazione può facilmente esser volta in nichilismo.

Un'altra concezione della libertà è, nella sua forma estrema, quasi opposta alla prima. Essa considera la libertà come liberazione da fini personali tramite la sottomissione ad obblighi impersonali. Il prototipo di essa è Lutero, il quale affronta l'ostile Assemblea a Worms con le parole "Hier stehe ich und kann nicht anders".
Tale resa alla costrizione morale è certamente una forma di liberazione. Ma la teoria di tale libertà può diventare molto simile alla teoria del totalitarismo. Diventa di fatto completamente totalitaria se si considera lo Stato come il custode supremo del bene pubblico, perché allora ne consegue che l'individuo è reso libero in quanto si arrende completamente allo Stato.
Queste discrepanze nella concezione della libertà sono un vero pericolo per essa poiché, anche senza considerare gli estremi del nichilismo o del totalitarismo, possiamo benissimo avere la sensazione che la teoria individualista sia egoista o quantomeno banale (uninspiring), mentre la teoria della libertà come autosottomissione non sembra per nulla accordarsi con la nostra propensione verso l'idea della ricerca individuale della felicità nella maniera propria di ciascuno.
Mi sembra che lo studio della libertà accademica possa benissimo servire come guida in questo dilemma, perché nei fondamenti della libertà accademica dovremmo trovare i due aspetti rivali della libertà così saldamente intrecciati, che la loro relazione essenziale ed il loro reale equilibrio diventeranno facilmente evidenti.
 

Ad ogni modo, lo studio della libertà accademica ha il grande vantaggio che in questo caso è abbastanza semplice dire cosa intendiamo per libertà. La libertà accademica consiste nel diritto di scegliersi il proprio problema da investigare, di condurre la ricerca liberi da ogni controllo esterno, e di insegnare la propria materia alla luce delle proprie opinioni
A prima vista può sembrare che questo tipo di libertà faccia sorgere difficoltà per entrambe le due grandi teorie della libertà, perché , chiaramente, allo studioso la libertà non è data, in origine, per promuovere la sua felicità; ma nemmeno per soddisfare semplicemente un'obbligazione. Benché queste siano entrambe funzioni reali della libertà, sembra tuttavia che manchi qualche principio che possa legarle insieme cị vuole uno stereoscopio per unire queste due immagini della libertà. Lo troveremo osservando ancora una terza funzione di essa che finora ha ricevuto poca attenzione nelle principali discussioni filosofiche sulla libertà.

La pratica attuale della vita scientifica dà corpo all'affermazione che la libertà sia un'efficace forma di organizzazione. Si suppone che opportunità garantita agli scienziati maturi di scegliere e perseguire le proprie ricerche, porti ad una migliore utilizzazione degli sforzi congiunti di tutti gli scienziati in un compito comune. In altre parole: se gli scienziati del mondo sono considerati come una squadra intesa ad esplorare le opportunità esistenti per nuove scoperte, si presume che il loro sforzo sarà coordinato in maniera più efficiente soltanto se ognuno è lasciato libero di seguire le proprie inclinazioni. Si afferma, infatti, che non c'è nessun'altro modo efficace di organizzare i membri della squadra, e che ogni tentativo di coordinare i loro sforzi attraverso le direttive di un'autorità superiore distruggerebbe inevitabilmente l'efficacia della loro collaborazione.
Questo, in un certo senso, è sorprendente, perché di solito si pensa al coordinamento come ad un processo che impone limiti ai poteri discrezionali degli individui. Proviamo, dunque, ad analizzare come è possibile che nella scienza si verifichi l'opposto: il coordinamento ottimale è qui ottenuto liberando gli impulsi individuali.
Naturalmente, ciò che accade di solito è che quando un certo numero di persone si occupano, indipendentemente le une dalle altre, delle varie parti di uno stesso compito, i loro sforzi rimangono essenzialmente non-coordinati. Un gruppo di donne che sgusciano piselli rappresenta un'impresa non coordinata, perché il loro rendimento totale è semplicemente la somma dei rendimenti individuali. Allo stesso modo, una squadra di giocatori di scacchi è essenzialmente non-coordinata perché ognuno affronta il proprio avversario secondo il proprio giudizio, e la prestazione della squadra e semplicemente la somma delle partite vinte da ciascun componente.

Possiamo veder venire alla luce, per contrasto, il carattere distintivo della scienza; essa non è condotta per mezzo di sforzi isolati, come quelli degli scacchisti o delle donne che sgusciano piselli. In questo modo non farebbe un passo avanti. Se un giorno venissero troncate tutte le comunicazioni tra gli scienziati, quel giorno la scienza si troverebbe praticamente ad un punto di stallo. In un tale regime, le scoperte potrebbero continuare per pochi anni con quasi la stessa frequenza, ma presto si esaurirebbero e da quel momento il progresso diventerebbe incostante e sporadico, e la crescita costante e sistematica della scienza cesserebbe del tutto. Il principio di coordinamento della scienza risalta in tutta la sua semplice ed ovvia natura: consiste nell'aggiustamento (adjustment) delle attività dei singoli scienziati ai risultati finora ottenuti dagli altri.

Nell'aggiustare se stesso agli altri, ogni scienziato agisce in modo indipendente, eppure, in virtù di queste differenti regolazioni, gli scienziati continuano ad estendere tutti insieme, e con la massima efficienza, le conquiste della scienza intera. Ad ogni passo, uno scienziato selezionerà dai risultati ottenuti dagli altri quegli elementi che può usare nel modo migliore per il suo compito e, in questo modo, darà alla scienza il massimo contributo possibile, aprendo il campo agli altri scienziati affinché anch'essi diano il loro - e così inde-finitamente.
Sembrerebbe che qui ci troviamo davanti ad un principio basilare, che conduce, in modo piuttosto generale, al coordinamento delle attività individuali senza l'intervento di alcuna autorità di coordinamento. È un semplice principio della logica, che può essere dimostrato con esempi piuttosto banali. Supponiamo, ad esempio, di dover comporre un puzzle molto grande che una persona riuscirebbe a completare soltanto in diversi giorni o perfino settimane. E immaginiamo che la faccenda sia piuttosto urgente, dipendendo dalla sua soluzione la scoperta di qualche importante segreto.

Senza dubbio coinvolgeremo una squadra di aiutanti, ma come li organizzeremo? Non otterremo alcun risultato con l'affidare a diversi aiutanti isolati un certo numero di parti del puzzle (che potrebbe essere duplicato fotograficamente), e quindi addizionando i loro risultati dopo un periodo di tempo stabilito. Benché questo metodo permetterebbe l'arruolamento di un numero indefinito di aiutanti, tuttavia non porterebbe alcun risultato apprezzabile. Il solo modo di portare rapidamente a compimento il lavoro sarebbe di avere tanti aiutanti quanti potrebbero lavorare ad una stessa parte e lasciare che ciascuno agisca di propria iniziativa. Ogni aiutante, allora, guarderebbe la situazione come se fosse influenzata dai progressi fatti da tutti gli altri, e porrebbe a se stesso nuovi problemi in accordo con l'ultimo contorno completato del puzzle. I compiti che ciascuno si è assunto sarebbero adeguatamente incastrati su quelli realizzati dagli altri. E, di conseguenza, gli sforzi comuni condurrebbero ad un tutto adeguatamente organizzato, anche se ogni aiutante avesse seguito completamente il proprio giudizio indipendente.

Inoltre, è ovvio cosa accadrebbe se qualcuno che crede nell'efficacia sovrana della direzione centrale intendesse intervenire e provare a migliorare le cose, applicando i sistemi dell'amministrazione centrale. È impossibile pianificare in anticipo i passi attraverso i quali dev'essere ricomposto un puzzle. Perciò, tutto quello che un'amministrazione centrale potrebbe ottenere sarebbe di incorporare tutti gli aiutanti in una gerarchia e dirigere le loro attività d'ora in poi da un unico centro. Ciascuno, allora, dovrebbe attendere le direttive di un suo superiore e tutti dovrebbero aspettare finché non venga presa una decisione al livello su-premo. In effetti, tutti i partecipanti, eccetto l'unico che agisce come capo dell'organizzazione, cesserebbero di dare ogni contributo apprezzabile nella composizione del puzzle. L'effetto della cooperazione cadrebbe a zero.


In tal modo, possiamo vedere confermata la duplice affermazione che, da un lato, le azioni degli individui che agiscono secondo il loro giudizio possono coordinarsi spontaneamente - eppure efficacemente - in un compito comune, mentre, dall'altro lato, la subordinazione degli sforzi individuali ad un'autorità centrale distruggerebbe il loro coordinamento. Inoltre, possiamo vedere chiaramente accennata l'applicabilità di questa logica all’ autocoordinamento degli scienziati nel perseguire una scoperta. Infatti, questa logica sembra consistere semplicemente nello sviluppo di uno schema sconosciuto per mezzo di passi individuali, sotto la duplice condizione che ogni nuovo passo suggerito possa essere rapidamente giudicato corretto o no, e che ogni nuovo passo sia rapidamente portato all'attenzione di tutti i partecipanti e da questi preso in considerazione quando faranno essi stessi il passo successivo.

Solo questo possiamo dire circa la curiosa affermazione che le strade della potenziale scoperta vengono esplorate in modo più efficace se si lasciano gli scienziati liberi di scegliersi da soli le proprie ricerche?
La questione è così semplice?
In un certo senso lo è. La base logica per il coordinamento spontaneo degli scienziati nell'attività scientifica è semplice come (ed infatti è identica a) quella che produce l'autocoordinamento di una squadra impegnata nel ricomporre un puzzle. Ma c'è qualcosa di profondamente differente, ed anche altamente significativo, nel modo in cui sono forniti nei due casi gli elementi dello stesso impianto logico. Questo perché i pezzi del puzzle sono stati comperati in un negozio con la certezza che daranno una soluzione che il fabbricante conosce - ma non c'è una simile sicurezza, dataci dal Creatore del nostro Universo, che, continuando a mettere insieme gli elementi della nostra esperienza, troveremo, per esso, una struttura di base (ground-plan) intelligibile.


Non è nemmeno chiaro in che senso si possa dire che la scienza - o il sapere in generale, a cui pure si applicano tutte queste considerazioni - abbia un qualche compito globale. La ricerca di una "struttura di base" dell'Universo può essere intesa soltanto in un senso vago e fluido. Pitagora, e anche Keplero, intesero cercare una struttura di base in termini di regole numeriche e geometriche, Galileo e Newton la cercarono in termini di meccanismo, oggi la stiamo cercando, ancora una volta, in termini di armonie matematiche, ma diverse rispetto alle regole numeriche di Pitagora. Nel campo del sapere in generale continuano a verificarsi cambiamenti ancora più radicali nel fini della ricerca.
Si confronti l'interpretazione morale della storia data da un Lord Acton o da un Toynbee con il modo in cui la storia è interpretata da marxisti come Laski e G.D.H. Cole, o da psicoanalisti come Franz Alexander o Jung. Inoltre, mentre nel caso del puzzle un nuovo pezzo, nel modo più ovvio, o entra in una particolare posizione o non c’ entra, nella scienza le cose non stanno così. Alcune nuove scoperte possono scattare (click) immediatamente in una posizione incontrovertibile, ma altre affermazioni, spesso più importanti, rimangono incerte per moltissimi anni. Ad ogni passo del progresso scientifico è associato un elemento di incertezza circa la sua portata ed il suo valore scientifico. È indubbio che la logica dell'autocoordinamento è basata, nel caso della scienza e del sapere in generale, su elementi che sono molto più vaghi di quelli presenti nel caso del puzzle. Nella scienza e nel sapere l'incertezza del compito finale e l'incertezza di ogni singolo passo sono in verità tali, che ciò potrebbe benissimo mettere in dubbio l'intera analogia che abbiamo perseguito sinora.

Tuttavia, secondo me questo deve essere preso soltanto come un avvertimento ad utilizzare questa analogia con attenzione. Si prenda ancora una volta il caso della scienza: nonostante i profondi cambiamenti, nello schema generale e nel metodo, che sono occorsi soltanto negli ultimi 400 anni di sviluppo scientifico, possiamo vedere, nello stesso periodo, una precisa coerenza dei contributi ad essa. La maggior parte degli scienziati che nella loro epoca erano molto rispettati godono ancora di grande considerazione tra gli scienziati di oggi, e pochi, di quelli il cui lavoro era considerato ai loro tempi senza valore, sono stati oggi aggiunti alle schiere dei grandi scienziati. È vero che molti degli argomenti di Keplero, o anche di Newton o Galileo, oggi possano sembrare irrilevanti. E ancora, Galileo e Newton sarebbero probabilmente profondamente insoddisfatti del tipo di spiegazioni che la meccanica quantistica dà del processo atomico. Ma Galileo e Newton rimangono, tuttavia, dei classici della scienza moderna. Le loro scoperte costituiscono le fondamenta stesse dell'immagine che abbiamo oggi della natura, ed i loro metodi di ricerca sono ancora tra gli archetipi del metodo scientifico moderno. Il loro personale esempio è riconosciuto con immutabile onestà e, a dire la verità, con una riverenza che cresce attraverso i secoli, così come il regno della scienza, che essi hanno fondato, continua ad estendere il suo dominio.

Questa coesione della scienza nei secoli va in parallelo con la sua coesione in tutte le regioni del pianeta. Negli ultimi quindici anni circa, in Germania sono stati fatti alcuni energici tentativi di far credere agli scienziati che, in quanto tedeschi, non devono credere nella relatività e nella meccanica quantistica e, dal 1939, in Russia è stata esercitata una grande pressione sugli scienziati per rifiutare il mendelismo, sulla scorta della sua supposta incompatibilità col marxismo, ma questi tentativi deplorevoli sono stati, per fortuna, sporadici. Nel complesso, la scienza è ancora oggi intesa nello stesso modo in tutto il mondo. A questo punto credo, abbiamo alle nostre spalle sufficiente base logica per giustificare lo spontaneo coordinamento degli individui nelle scoperte scientifiche. Il fondamento è fornito dalla coesione che la scienza possiede. Nella misura in cui esiste un saldo proposito al di sotto di ogni passo della scoperta scientifica, ed ogni passo può essere giudicato, in modo competente, a seconda della sua conformità a tale scopo e del successo che ha nell'avvicinarsi ad esso, si può far sì che questi passi si sommino spontaneamente per ottenere il più efficace perseguimento della scienza.


Esplicitiamo ancora quanto detto, poiché contiene il risultato essenziale di tutta la nostra linea di pensiero. Non è affatto abbastanza riconoscere che la scienza persegue uno scopo coerente. Lo stesso hanno fatto, in un certo senso, gli studiosi di cabala, i cacciatori di streghe e gli astrologi, e dobbiamo distinguere lo scopo della scienza da quello di queste erronee ricerche. Non potremmo parlare di una reale e spontanea crescita della scienza, se considerassimo l’evidente coesione della scienza come un risultato di una serie di accidenti, o come l'espressione di un errore persistente. Dobbiamo credere, al contrario, che essa rappresenti la coerente espansione di un qualche tipo di verità. In altre parole, dobbiamo accettare la scienza come qualcosa di reale, come una realtà spirituale parzialmente dischiusa, in ogni singolo momento, dalle conquiste passate e sempre ulteriormente dischiusa da quelle che devono ancora venire. Dovremmo ritenere che le menti degli scienziati occupati nella ricerca cerchino un contatto intuitivo con queste parti della scienza sinora non dischiuse, e considerino la scoperta come il risultato di un riuscito contatto con una realtà sinora nascosta. Ogni volta che uno scienziato lotta con la sua coscienza intellettuale per accettare o rifiutare un'idea, dovrebbe essere considerato come in contatto con l'intera tradizione della scienza, cioè con tutti gli scienziati del passato, di cui sta seguendo l'esempio, con tutti quelli viventi, di cui sta cercando l'approvazione, e con tutti quelli che devono ancora venire, per i quali intende enunciare un nuovo insegnamento.

La coesione della scienza deve essere considerata come un'espressione del comune radicamento degli scienziati nella medesima realtà spirituale. Soltanto così potremo comprendere propriamente che, ad ogni passo, ognuno sta perseguendo uno scopo comune soggiacente, e che ognuno può sufficientemente giudicare - in generale accordo con il resto dell'opinione scientifica - se il suo contributo sia valido o meno. Solo allora saranno propriamente stabilite le condizioni per lo spontaneo coordinamento degli scienziati.
Questa idea della coesione della scienza ci riporta ai due aspetti conflittuali della libertà e ci permette di combinarli. Possiamo ora vedere come la scienza mostri importanti caratteristiche corrispondenti ad entrambi gli aspetti della libertà. Il segno distintivo del grande pioniere, che nella scienza è il sale della terra, è l'affermazione della sua grande passione personale. L'originalità è la virtù principale di uno scienziato ed il carattere rivoluzionario del progresso scientifico è davvero proverbiale. Nello stesso tempo, la scienza ha una tradizione professionale più compatta; compete con la Chiesa di Roma e con la classe giuridica sul piano della continuità della dottrina e della forza di spirito corporativo. Il rigore scientifico è tanto proverbiale, quanto il radicalismo scientifico. La scienza favorisce un massimo di originalità pur imponendo un eccezionale grado di rigore critico.

Eppure tra questi due aspetti non c'è alcuna disarmonia. A volte può aver luogo uno scontro tra l'originalità dell'individuo e l'opinione critica dei suoi colleghi scienziati, ma non può esservi alcun conflitto tra i principi di spontaneità e limitazione. Non vi sono scienziati romantici che rivendicano la prerogativa di esprimere la propria individualità come tale, senza la guida delle opinioni degli altri scienziati. Il rivoluzionario in scienza non pretende di essere ascoltato sulla base di un qualche diritto di affermare la propria personalità contro costrizioni esterne, ma in quanto ritiene di avere le basi per stabilire una nuova opinione universalmente convincente. Egli infrange la legge com'è, in nome della legge come crede debba essere. Ha una visione intensamente personale di qualcosa che, secondo lui, d'ora in poi tutti dovranno riconoscere. Questa unità tra passione creativa personale e propensione a sottomettersi alla tradizione ed alla disciplina, è una conseguenza necessaria della realtà spirituale della scienza. Quando l'intuito dello scienziato cerca la scoperta, intende aspirare ad un contatto con una realtà alla quale tutti gli altri scienziati partecipano con lui. Dunque, i suoi più personali atti di intuizione e coscienza lo legano saldamente al sistema universale ed ai canoni della scienza. Mentre l'intero progresso della scienza è dovuto alla forza degli impulsi individuali, essa non li rispetta come tali, ma solo in quanto destinati alla tradizione della scienza, e disciplinati dai suoi standard.

Queste considerazioni possono essere prontamente estese al sapere in generale. La libertà accademica può pretendere di essere una forma efficiente di organizzazione per le scoperte in tutti i campi dello studio sistematico controllati da una tradizione di disciplina intellettuale. L'esempio del puzzle si è rivelato utile. Ci ha guidato sino ad un'effettiva unione dei due aspetti conflittuali della libertà. Questo esempio ci ha dato anche un accenno dei pericoli di un'autorità centrale esterna che soprassieda agli impulsi delle iniziative individuali. Ora possiamo vedere più chiaramente come questo si applica alle ricerche accademiche, in particolare nella loro relazione con lo Stato. Se la crescita spontanea del sapere richiede che gli studiosi siano dediti al servizio di una realtà trascendente, allora ciò implica che essi devono essere liberi da ogni autorità temporale. Ogni intervento da parte di un'autorità esterna potrebbe soltanto distruggere il loro contatto con gli obiettivi che si sono impegnati a perseguire.Fin qui la situazione è abbastanza semplice. Ma la tolleranza della libertà accademica da parte dello Stato, oggi non è sufficiente. Su scala moderna, non si possono sostenere istituzioni di istruzione e educazione superiori se non per mezzo dei finanziamenti pubblici. Ma se gli studiosi sono pagati dallo Stato e ricevono da questo i mezzi per condurre le loro ricerche, il governo può benissimo esercitare su di loro una pressione tale da deviarli dagli interessi e dagli standard accademici. Ad esempio, ad uno Stato produttore di latticini, come lo lowa, può non piacere se i suoi studiosi scoprono e divulgano i vantaggi nutrizionali ed economici della margarina, e la legislazione dello Stato può voler intervenire contro la propria università statale per prevenire che essa pubblichi conclusioni del genere, cosa che di fatto è accaduta di recente nello Iowa. Vi sono molte occasioni per l'accendersi di tali conflitti tra gli interessi immediati dello Stato e gli interessi di un sapere e di una verità coltivati per se stessi. Come si possono evitare questi conflitti?

Entro certi limiti, la soluzione di conflitti del genere è abbastanza semplice. Il fatto che il re nomini e paghi i giudici non incide sulla loro indipendenza, se il re sottostà alla legge. Anche il re d'Inghilterra nomina e paga il principale oppositore al suo governo nella persona del leader dell'opposizione parlamentare. Il patrocinio del governo non è di alcun pericolo per l'indipendenza delle persone nominate, purché a queste sia consentito di svolgere le proprie funzioni in maniera appropriata. In questo caso, il governo si incarica di provvedere al carburante e all'olio di una macchina, di cui non controlla il funzionamento. Nel caso degli incarichi legali, la macchina è controllata dai principi di giustizia come risultano dalle leggi e come sono interpretati dai giuristi; mentre nel caso delle cariche politiche, il re sancisce la volontà popolare come è stata espressa attraverso la macchina elettorale istituita.

Questi esempi, particolarmente quello della nomina dei giudici da parte del governo, sono una precisa illustrazione del modo in cui lo Stato può dare supporto al sapere accademico, senza pregiudicarne l'indipendenza. Esso deve considerare una vita accademica indipendente sotto la stessa ottica di come considera un'amministrazione indipendente della giustizia. Il suo rispetto per il sapere e per i principi che guidano il libero avanzamento e la libera diffusione della conoscenza, deve essere radicato tanto profondamente quanto il suo rispetto per la legge e la giustizia. Entrambi devono derivare la loro validità dalle stesse sorgenti e cioè dai principi trascendenti incarnati nella grande tradizione al servizio della quale è votata la nostra civiltà. Ma per quanto grande sia, il rispetto dello Stato per un potere giudiziario indipendente non potrebbe mettere in pratica questo atteggiamento se la classe giuridica fosse divisa in scuole di pensiero rivali; poiché allora lo Stato avrebbe il ruolo di arbitro tra di loro. Qualcosa del genere accade a proposito del sapere. Un governo riesce pienamente a rispettare la libertà della scienza in tutte le questioni nelle quali l'opinione scientifica è del tutto concorde; ma se l'opinione accademica fosse nettamente divisa nel valutare i meriti delle scoperte o le capacità degli studiosi, allora non vi sarebbe alcuna possibilità di mantenere la libertà accademica. Si supponga che quando il comitato accademico preposto si riunisce per eleggere un nuovo professore possa rivolgersi per un consiglio ai leader non riconosciuti del sapere e non abbia, per giudicare i candidati, nessuno degli standard riconosciuti del sapere.

I posti, allora, dovrebbero essere assegnati alla luce di considerazioni diverse da quelle scientifiche, e la cosa migliore sarebbe probabilmente quella di compiacere l'opinione pubblica o il governo in carica. Un'opinione accademica forte ed omogenea, che derivi la sua coesione dal comune radicamento nella medesima tradizione intellettuale, è una tutela indispensabile della libertà accademica. Se esiste un'opinione accademica del genere, e se l'opinione pubblica rispetta l'opinione accademica, allora non v'è alcun pericolo per la libertà accademica. Dunque importa poco se le università ricevono il loro denaro da fonti pubbliche o private. Una rassegna delle università di vari paesi mostra una gran varietà di meccanismi di nomine accademiche. Ma riesco a trovare davvero poca connessione tra la natura di queste formule istituzionali e la forza della libertà accademica istituita sotto il loro dominio. In alcuni paesi continentali - ad esempio Olanda, Belgio, Svezia, Norvegia, Danimarca, Svizzera - le università statali hanno avuto un completo successo; mentre in alcuni degli Stati Uniti d'America, ad esempio, sono state ripetutamente indebolite da una legislazione intollerante. La differenza riposa interamente sulla condizione dell'opinione pubblica, la quale ha dimostrato un grande rispetto per l'autonomia del sapere, ad esempio nel cantone di Zurigo e non nello stato dello Iowa.

Inoltre, l'autogoverno delle università non è una tutela contro la corruzione della libertà accademica. Io so di casi in cui le università sono state amministrate per una generazione da una cricca di professori che mantenevano un fitto sistema di nepotismo e di protezioni politiche. Ogni candidato che avesse acquisito una reputazione scientifica era considerato un cercatore di pubblicità e uno che provava a forzare le porte dell'università attraverso pratiche illecite. Sebbene le tutele istituzionali della libertà accademica siano desiderabili, non dobbiamo dimenticare che esse non sono abbastanza, e possono perfino diventare lo scudo per un'opinione accademica corrotta.

Tra le tutele istituzionali desiderabili vorrei menzionare in modo particolare il costume delle nomine permanenti nelle Accademie. Le cariche a vita, o fino all'età della pensione, garantiscono allo studioso un alto grado di indipendenza, com'è per il giudice e per il ministro del culto. Il caso dello studioso nominato permanentemente è, comunque, un po' particolare perché, al contrario del giudice e del ministro del culto, i suoi obblighi non sono nemmeno lontanamente fissati da alcuna regola esplicita. I suoi doveri come insegnante e amministratore non dovrebbero impegnare tutto il suo tempo, ma lasciarlo libero di dedicare le sue energie fondamentali al lavoro creativo. Non c'è alcun modo di assicurarsi che egli farà un tale lavoro. Tutto ciò su cui possiamo fare affidamento è l'amore che ha per il suo lavoro e la speranza che questo amore possa durare. Non possiamo aspettarci che quell'amore venga rimpiazzato da un senso del dovere, come forse può accadere nel matrimonio; poiché nessuno può fare scoperte per dovere, senza passione creativa. Qui possiamo vedere quanto completamente l'aspetto personale della libertà - la libertà di affermare se stessi - coincida, nel campo del sapere, con l'aspetto sociale della libertà, che è la sottomissione al servizio di principi impersonali.

Vorremmo ulteriormente verificare queste idee applicandole ad alcune questioni particolari. Potremmo volgerci, ad esempio, alla differenza, che a prima vista appare sconcertante, tra la condizione di indipendenza qui rivendicata per i membri della classe accademica e la condizione dichiaratamente subordinata di scienziati ben preparati (well-trained) impegnati in varie attività amministrative, o di professori impegnati come bibliografi, e cose del genere. Questa differenza trova pronta la sua giustificazione nella distinzione tra lavoro creativo e lavoro di routine. Possiamo richiamare alla mente l'esempio del puzzle. Ai collaboratori si garantisce libertà individuale in quanto ad ogni passo devono indovinare quale sarà la loro strada.

Per indovinare la soluzione di un problema posto dalla natura - come pretendono gli scienziati - si richiede l'esercizio delle facoltà intuitive controllate da una coscienza intellettuale. Questi sono i mezzi per stabilire dei contatti creativi con una realtà nascosta. Ciascuno di tali contatti conduce ad una nuova partenza in una direzione più o meno inaspettata, ed è precisamente al fine di trovare questa direzione che ogni studioso è lasciato agire indipendentemente. In un processo amministrativo, al contrario, la direzione di sviluppo è necessariamente indicata in anticipo. Il procedimento, dunque, implica che i collaboratori occupati in esso accettino un progetto globale indicatogli in anticipo.

Quando esiste uno schema del genere, la sua realizzazione per mezzo dei contributi dei singoli amministratori può essere diretta da un'autorità centrale, ed è anzi desiderabile che ciò avvenga. I compiti dei singoli saranno loro propriamente assegnati dall'alto; essi non hanno alcun diritto alla libertà accademica. E altrettanto facile distruggere la pretesa di libertà accademica degli scienziati impegnati nell'industria o negli incarichi governativi. Su questo argomento c'è molta contusione intellettuale, emotiva e politica. La cosa ovvia è che ogni ricercatore che è diretto esplicitamente verso un fine diverso da quello dell'avanzamento della conoscenza, deve essere guidato, in ultima analisi, dalle autorità responsabili di quel fine esterno. Tali fini esterni sono di solito pratici, come muovere guerra, o migliorare qualche servizio pubblico - come telefoni o strade - o semplicemente far guadagnare denaro ad un'industria. Se un ricercatore deve servire ad uno di questi scopi, allora deve sottomettere il proprio contributo al giudizio di coloro che sono i responsabili ultimi del muovere guerra, del condurre il sistema telefonico, del costruire strade o del gestire i profitti di un'impresa commerciale. Deve accettare le loro decisioni in merito a ciò che gli viene richiesto per il loro scopo. Farà bene il suo lavoro soltanto se, dopo debita discussione, confida fiduciosamente nella decisione finale del capo esecutivo dal quale dipende. Il grado della subordinazione essenziale per il lavoro dello scienziato applicato varierà di molto. Ma non dovrebbero esserci difficoltà di sorta nell'aver a che fare con un qualsiasi caso particolare sulla base del medesimo principio generale. Parlando in generale, si può scegliere tra la dedizione all'avanzamento del sistema della conoscenza, che richiede libertà, o il perseguimento delle scienze applicate, che implica subordinazione.

Non c'è, ovviamente, alcuna differenza nel rispetto per la persona dovuto all'individuo occupato in un procedimento amministrativo o in una scienza applicata, ed in quello dovuto ad uno scienziato puro. Può trattarsi dello stesso uomo in differenti momenti della sua vita. Durante la guerra, un gran numero di scienziati accademici si offersero per lavori pratici. Tutti dovettero accettare un certo grado di sottomissione. Io dico semplicemente che certi lavori richiedono, per essere eseguiti con efficienza, che gli uomini debbano essere liberi, mentre altri richiedono che essi siano soggetti ad una direzione dall'alto. Naturalmente, la libertà accademica non è mai un fenomeno isolato. Può esistere soltanto in una società libera, poiché i principi che stanno alla base di essa sono gli stessi su cui sono fondate le più essenziali libertà di una società intera. Le nostre analisi delle libere attività accademiche ci hanno fornito la chiara immagine di uomini e donne che valutano le possibilità nascoste della mente. Li abbiamo osservati vivere in una comune tradizione creativa e stabilire contatti con una realtà spirituale ad essa sottostante.

Li abbiamo visti esercitare i loro poteri intuitivi e giudicare le proprie idee alla luce della loro coscienza intellettuale. È stato fatto riferimento ad importanti analogie, come le funzioni dei giudici e dei ministri del culto; tali analogie potrebbero essere ulteriormente estese. In un tribunale, ad esempio, ci sono altre persone, oltre i giudici, che agiscono in base a fondamenti spirituali. Ci sono testimoni che possono trovare difficile dire la verità, eppure lo fanno. Ci sono i giurati e gli avvocati che devono provare ad essere imparziali e a cui capita di dover combattere con le proprie coscienze (si pensi ai giurati nel famoso processo di Émile Zola, i quali, per tutta la durata del procedimento, furono molestati con lettere minatorie e dimostrazioni davanti alle loro abitazioni). Ovunque, nel mondo, ci sono persone i cui compagni hanno fiducia che dicano la verità e siano leali, ci sono coscienze intenerite dalla compassione, in lotta contro i vincoli del comfort o la durezza di rigidi costumi.

Le nostre vite sono piene di conflitti del genere. Ovunque siano stabiliti questi contatti con obblighi spirituali, c'è un'occasione di affermare la libertà. Ci sono esempi grandiosi nella storia, e ce ne sono molti piccoli ogni giorno, di persone che affermano la propria libertà su fondamenti del genere. Una nazione i cui cittadini sono sensibili alle richieste della coscienza e non hanno paura di seguirle, è una nazione libera. Un paese in cui le questioni di coscienza sono generalmente considerate reali, ed in cui le persone sono nel complesso pronte ad ammetterle come ragioni legittime, e perfino a sopportare considerevoli inconvenienti o sofferenze causate da altri che agiscono anch'essi per tali ragioni - è un paese libero. Questi contatti con obblighi trascendenti possono raggiungere elevati livelli di creatività. Possono ispirare dichiarazioni profetiche o altre grandi innovazioni. In alcuni campi - come nella scienza, nel sapere o nell'amministrazione della legge - ciò contribuirà allo sviluppo di un sistema intellettuale. In questo caso possiamo osservare un processo di autocoordinamento ben definito. Ma tutti i contatti con una realtà spirituale hanno un certo grado di coesione. Persone libere, tra le quali molte sono attente ai richiami della propria coscienza, mostreranno una spontanea coesione di questo tipo. Potranno sentire che essa deriva completamente dall'essere radicati nella stessa tradizione nazionale; ma questa tradizione può benissimo essere una mera variante nazionale di una tradizione umana universale. Infatti, si può trovare una coesione simile tra diverse nazioni qualora ciascuna segua una tradizione nazionale di questo tipo. Esse formeranno una comunità di popoli liberi. Potranno discutere e dibattere, eppure alla fine risolveranno ogni nuova difficoltà, saldamente radicati nello stesso fondamento trascendente.

Per finire, lasciate che ritorni brevemente al grande problema del pericolo totalitario al quale alludevo all'inizio. Dalla nostra discussione della libertà accademica e della libertà in generale, possiamo veder emergere due idee.
Sembra, in primo luogo, che la tradizionale antitesi dell'individuo contro lo Stato sia una falsa guida nel tema della libertà contro il totalitarismo. Le più essenziali libertà, in ogni caso, sono quelle in cui non è l'individuo che persegue i propri interessi personali a pretendere rispetto da parte dello Stato. L'individuo rivendica la libertà in considerazione dei fondamenti a cui è votato. Egli parla allo Stato nello stesso modo in cui un fedele servitore rende omaggio al suo signore. La vera antitesi è dunque tra lo Stato e le realtà invisibili che guidano gli impulsi creativi degli uomini e in cui le coscienze di questi sono naturalmente radicate. I fondamenti generali della coesione e della libertà in una società possono essere considerati come sicuri fino al punto in cui gli uomini sostengono di credere nella realtà della verità, della giustizia, della chiarezza e della tolleranza, e sono pronti a dedicarsi al servizio di tali realtà; mentre ci si può aspettare che una società si disintegri e cada nella schiavitù quando un uomo nega, spiega altrimenti, o semplicemente rifiuta queste realtà e gli obblighi trascendenti.

La forma totalitaria di Stato sorge logicamente dalla negazione della realtà di questo regno di idee trascendenti. Quando i fondamenti spirituali di tutte le attività umane cui ci si dedica liberamente - lo sviluppo della scienza e del sapere, la difesa della giustizia, la professione di una religione, il perseguimento della libera arte e del libero dibattito politico - quando i fondamenti trascendenti di tutte queste attività libere sono negati in modo sommario, allora lo Stato diventa, di necessità, erede di tutta la devozione ultima dell'uomo. Questo perché, se la verità non è reale ed assoluta, allora può apparire giustificato che il governo possa decidere cosa dovrebbe essere considerato giusto o ingiusto. Infatti, se le nostre concezioni di verità e giustizia sono determinate da interessi di un tipo o dell'altro, allora è giusto che l'interesse pubblico debba prevalere su tutti gli interessi personali. Abbiamo qui una piena giustificazione dello Stato totalitario.

In altre parole, mentre una negazione radicale di obblighi assoluti non può distruggere le passioni morali dell'uomo, le può tuttavia rendere senza patria. Il desiderio di giustizia e fratellanza non può più, allora, riconoscersi per quel che è, ma cercherà di incarnarsi in qualche teoria della salvezza attraverso la violenza. Così, vediamo sorgere quelle scettiche, incallite, pretestuosamente scientifiche forme di fanatismo che sono così caratteristiche della nostra età moderna. Lo studio che abbiamo condotto della libertà accademica può servire a mostrare qual è il punto decisivo sul tema della libertà. Esso consiste in certe assunzioni metafisiche senza le quali la libertà è logicamente insostenibile, e senza la ferma professione delle quali la libertà può essere sostenuta soltanto in uno stato di logica sospesa (suspended logic) che minaccia di collassare in ogni momento, come non tarderà a fare in questi tempi di ricerca e di rivoluzione. I poteri distruttivi dell'uomo, rapidamente in crescita, porranno presto le idee del nostro tempo di fronte ad un test cruciale. Potremmo trovarci faccia a faccia col fatto che la continuazione della razza umana sulla terra, dotata dei poteri della scienza moderna, possa essere resa possibile e desiderabile solo recuperando la grande tradizione in cui la fede in queste realtà si è incarnata.

 

 

M. POLANYI, La logica della libertà, trad. it. M. Bastianelli, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, pp.133-155