Il valore dell'astronomia

I governi e i parlamenti ritengono in genere l'astronomia una delle scienze più care: il minimo strumento costa centinaia di migliaia di franchi, l'osservatorio più piccolo dei milioni; ogni eclissi comporta finanziamenti aggiuntivi. E tutto ciò per degli astri che sono così lontani, che sono del tutto estranei alle nostre lotte elettorali a cui verosimilmente non prenderanno mai parte. I nostri uomini politici devono aver conservato un residuo di idealismo e un vago istinto di ciò che è grande; credo in fondo che siano stati calunniati; conviene incoraggiarli dimostrando loro che questo istinto non li inganna e che non sono instupiditi dall'idealismo.
Si potrebbe ben parlargli della marina, di cui nessuno disconosce l'importanza e che ha bisogno dell'astronomia, ma sarebbe affrontare il problema in modo marginale.
L'astronomia è utile perché ci eleva al di sopra di noi stessi, perché è grande, perché è bella; ecco cosa bisogna dire. Essa ci mostra quanto è piccolo l'uomo se si considerano le dimensioni corporee e quanto è grande la sua mente: questa immensità clamorosa in cui il suo corpo rappresenta solo un punto oscuro, può essere abbracciata nella sua interezza dalla sua intelligenza che è in grado di gustarne la silenziosa armonia. In questo modo prendiamo coscienza della nostra forza e il prezzo da pagare non sarà mai troppo alto, perché questa coscienza ci rende più forti.
Quello che vorrei dimostrare, prima di tutto, è fino a che punto l'astronomia ha facilitato l'opera delle altre scienze più direttamente utili affinando il nostro spirito e rendendolo capace di comprenderne la natura.
Potete immaginare lo stato dell'umanità che, sotto un cielo costantemente coperto di nuvole come quello di Giove, avesse eternamente ignorato gli astri? Credete che in un simile mondo saremmo quello che siamo? Non voglio solo riferirmi al fatto che sotto questa volta oscura saremmo stati privati della luce del sole necessaria ad organismi come quelli che popolano la Terra. Potremmo anche ammettere che le nuvole fossero fosforescenti e che diffondessero un chiarore dolce e costante. Nel campo delle ipotesi un'ipotesi in più non costerà molto. Ebbene, ripeto la mia domanda, credete che in un mondo simile saremmo quelli che siamo?
Gli astri non emettono soltanto la luce visibile e grossolana che colpisce i nostri occhi, ma da essi ci arriva una luce ben altrimenti sottile che rischiara le nostre menti e di cui vi mostrerò gli effetti. Tutti conoscete la differenza tra lo stato dell'uomo sulla Terra alcune migliaia di anni fa e quello attuale. Solo in una natura in cui tutto era mistero per lui, sbigottito per ogni manifestazione inattesa di forze incomprensibili, era incapace di vedere nella condotta dell'universo altro che il capriccio. Attribuendo ogni fenomeno all'azione di una moltitudine di piccoli geni fantastici ed esigenti, per agire sul mondo cercava di accattivarseli con mezzi analoghi a quelli oggi adoperati per guadagnare i favori di un ministro o di un deputato. Gli insuccessi non erano in grado di consigliarlo, non più di quanto oggi un postulante messo alla porta si scoraggi al punto di cessare di sollecitare.
Oggi non sollecitiamo più la natura: le comandiamo perché abbiamo scoperto alcuni dei suoi segreti e ne scopriamo ogni giorno di nuovi. Le comandiamo in nome di leggi che non può rifiutare perché sono le sue, né le chiediamo follemente di cambiarle e siamo i primi a sottometterci ad esse. Naturae non imperatur nisi parendo.

Quale cambiamento hanno dovuto subire le nostre menti per passare da uno stato all'altro! Saremmo cambiati così in fretta senza gli insegnamenti degli astri, sotto il cielo perperuamente nuvoloso immaginato prima? Sarebbe stata possibile la metamorfosi o non sarebbe stata comunque molto più lenta? Innanzitutto l'astronomia ci ha insegnato che esistono delle leggi. I caldei, che furono i primi ad osservare il cielo con una certa attenzione, si resero bene conto che quella moltitudine di punti luminosi non era una folla confusa errante all'avventura, ma un esercito disciplinato. Certamente sfuggivano loro le regole di questa disciplina, ma lo spettacolo armonioso della notte stellata bastava a dar loro l'impressione della regolarità e non era poco. Regole che d'altra parte Ipparco, Tolomeo, Copernico, Keplero hanno individuato una dopo l'altra, fino ad arrivare a Newton che ha enunciato la più antica, la più precisa, la più semplice e la più generale di tutte le leggi naturali.
Ammoniti da tali esempi, abbiamo allora considerato con più attenzione il nostro piccolo mondo terrestre e nel disordine apparente anche qui abbiamo trovato l'armonia che lo studio del cielo ci aveva rivelato. Anch'esso è regolare, obbedisce a leggi immutabili, anche se più complicate, in apparente conflitto tra loro, tale da apparire, ad un occhio non abituato ad altri spettacoli, caotico e regno del caso e del capriccio. Senza la conoscenza degli astri alcuni spiriti coraggiosi avrebbero potuto cercare di prevedere i fenomeni fisici, ma i loro insuccessi sarebbero stati frequenti ed avrebbero solo suscitato il riso del volgare; basta considerare gli odierni meteorologi e i sorrisi suscitati dai loro insuccessi.
Quante volte i fisici scoraggiati da tanti fallimenti, si sarebbero abbandonati allo scoraggiamento, se per sostenere la loro fede non avessero avuto l'esempio clamoroso del successo degli astronomi! Successo che dimostrava che la natura obbedisce a delle leggi. Restava solo da sapere a quali leggi e per questo avevano solo bisogno di pazienza e diritto al credito degli scettici.

L'astronomia però non ci ha insegnato soltanto l'esistenza delle leggi, ma che queste sono ineluttabili ed intransigenti. Quanto tempo avremmo impiegato a capirlo, se avessimo conosciuto solo il mondo terrestre in cui ogni forza elementare ci appare sempre in lotta con altre? Essa ci ha insegnato che le leggi sono infiniamente precise che l'approssimazione presente in quelle enunciate è dovuta ad una conoscenza imprecisa. Aristotele, lo spirito più scientifico dell'antichità, accordava ancora una parte all'accidente, al caso e sembrava pensare che le leggi della natura, almeno quaggiù, determinassero solo a grandi linee i fenomeni. Quanto la precisione sempre crescente delle previsioni astronomiche ha contribuito a far giustizia di un simile errore, che avrebbe potuto rendere la natura inintelleggibile!
Sono leggi locali, variabili da un punto all'altro, come quelle fissate dagli uomini? Ciò che è vero in un angolo dell'universo, sul nostro globo o per esempio nel nostro piccolo sistema solare, non può rivelarsi sbagliato in un luogo più lontano? Potremo domandarci se le leggi dipendenti dallo spazio non dipendono anche dal tempo, se non siano semplici abitudini transitorie e quindi effimere. È ancora l'astronomia a rispondere a questa domanda. Consideriamo le stelle doppie: tutte descrivono delle coniche e quindi anche nelle zone più lontane osservate dal telescopio non raggiungono i limiti del dominio che obbedisce alla legge di Newton.
Anche la semplicità di questa legge è una lezione per noi. Quanti fenomeni complicati contenuti nelle due righe del suo enunciato! Le persone che non comprendono la meccanica celeste possono almeno rendersene conto osservando quanto siano voluminosi i trattati dedicati a questa scienza.
E allora permesso sperare che la complessità dei fenomeni fisici dissimuli forse una qualche causa semplice ancora sconosciuta.
L'astronomia ci ha mostrato dunque quali sono i caratteri generali delle leggi naturali; caratteri tra i quali ce n'è uno, il più sottile e il più importante di tutti, su cui vi chiederò il permesso di insistere un poco.

Come compresero gli antichi l'ordine dell'universo? Per Pitagora, Platone o Aristotele appariva immutabile, fissato una volta per tutte, o un ideale a cui il mondo cercava di avvicinarsi. Anche lo stesso Keplero pensava allo stesso modo quando si chiedeva per esempio se le distanze dei pianeti dal Sole avessero qualche rapporto con i cinque poliedri regolari. L'idea non aveva nulla di assurdo, ma si rivelò sterile perché la natura è fatta altrimenti. È stato Newton a dimostrarci che una legge è solo una relazione necessaria tra lo stato presente del mondo e il suo stato immediatamente successivo. Tutte le altre leggi scoperte dopo non sono altro, sono insomma delle equazioni differenziali; ma è stata l'astronomia a fornirci il primo modello senza il quale il nostro errore si sarebbe protratto a lungo.
Essa ci ha insegnato nel modo migliore a diffidare delle apparenze. Il giorno in cui Copernico dimostrò che ciò che si credeva più stabile era in movimento e che ciò che si credeva mobile era fisso, ci ha dimostrato quanto potevano essere ingannevoli i ragionamenti infantili che nascono direttamente dai dati sensoriali immediati. Certamente le sue idee non hanno trionfato senza difficoltà, ma dopo un trionfo simile non esiste pregiudizio tanto inveterato da non poter essere incrinato. Come stimare il prezzo della nuova arma conquistata?
Gli antichi credevano che tutto esistesse in funzione dell'uomo e l'illusione è tuttora radicata tanto che bisogna combatterla incessantemente. Occorre tuttavia abbandonarla;
l'alternativa è una perenne miopia che ci impedirà di vedere la verità. Per comprendere la natura si deve per così dire uscire da se stessi e contemplarla da punti di vista diversi, altrimenti se ne conoscerà solo un aspetto. Uscire da se stessi è però impossibile per chi riferisce tutto a sé. Chi ci ha liberato allora da una simile illusione? Coloro che ci hanno dimostrato che la Terra è solo uno dei più piccoli pianeti del sistema solare e che lo stesso sistema solare è solo un punto impercettibile negli spazi infiniti dell'universo stellare.

Nello stesso tempo l'astronomia ci insegnava a non spaventarci dei grandi numeri e ciò era necessario non solo per conoscere il cielo, ma per conoscere la Terra stessa. Non era tanto facile quanto potrebbe sembrare oggi.
Cerchiamo di tornare indietro e di immaginare quello che avrebbe pensato un greco a cui si fosse rivelato che la luce rossa è una vibrazione pari a quattrocento milioni di milioni di cicli al secondo. Senza alcun dubbio una simile affermazione gli sarebbe sembrata pura follia e non si sarebbe mai abbassato a controllarla. Oggi una certa ipotesi non ci sembrerà più assurda perché ci costringe ad immaginare oggetti molto più grandi o molto più piccoli di quelli che ci mostrano abitualmente i nostri sensi, né comprendiamo più tali scrupoli che frenavano i nostri predecessori, impedendo loro di scoprire certe verità semplicemente perché ne avevano paura. Il motivo è che noi abbiamo visto il cielo ingrandirsi sempre di più; perché sappiamo che il Sole dista 150 milioni di chilometri dalla Terra e che le stelle più vicine sono centinaia di migliaia di volte più distanti. Abituati a contemplare l'infinitamente grande siamo divenuti capaci di comprendere l'infinitamente piccolo. Grazie all'educazione ricevuta la nostra immaginazione, come l'occhio dell'aquila che il sole non acceca mai, può guardare in faccia la verità.
Avevo forse torto nell'affermare che l'astronomia ha plasmato il nostro spirito perché possa comprendere la natura; che sotto un cielo costantemente nuvoloso e privo di astri, la Terra stessa sarebbe stata per noi eternamente inintellegibile; che vi avremmo visto solo il capriccio e il disordine e che, non conoscendo il mondo, non avremmo potuto asservirlo? Quale scienza avrebbe potuto essere più utile? E chiaro che mi sto ponendo dal punto di vista di coloro che stimano solo le applicazioni pratiche, ma non è il mio. Al contrario, se ammiro le conquiste dell'industria è soprattutto perché, affrancandoci dalle preoccupazioni materiali, daranno un giorno a tutti il piacere di contemplare la natura. Non dico: «la scienza è utile perché ci insegna a costruire delle macchine», ma dico che le macchine sono utili perché, lavorando per noi ci lasceranno un giorno più tempo per fare della scienza. Non è infine indifferente notare che non cè disaccordo tra i due punti di vista e che per l'uomo che ha perseguito un fine disinteressato tutto il resto rappresenta un dono.
Auguste Comte ha detto, non so dove, che sarebbe vano cercare di conoscere la composizione del sole perché tale conoscenza non potrebbe essere di alcuna utilità per la sociologia. Come ha potuto avere una visione così miope? Non abbiamo appena visto che proprio attraverso l'astronomia - per usare il suo linguaggio - l'umanità è passata dallo stato teologico allo stato positivo. Di ciò si è reso conto perché era avvenuto.
Ma come ha fatto a non comprendere che ciò che restava da fare non era meno considerevole e meno utile? L'astronomia fisica che egli sembra condannare ha già cominciato a dare frutti e ne verranno molti altri, essendo appena nata.
Innanzitutto si è scoperta la natura del sole che il fondatore del positivismo ci voleva negare, e in esso si sono trovati corpi presenti sulla Terra ma che erano restati inosservati come, per esempio, l'elio, un gas leggero quasi come l'idrogeno. Costituiva per Comte già una prima smentita, ma dobbiamo alla spettroscopia un insegnamento ben più prezioso: nelle stelle più lontane ci fa scoprire le stesse sostanze.
Avremmo potuto chiederci se gli elementi terrestri non fossero dovuti al caso che avrebbe avvicinato le parti più leggere per costruire l'edificio più complesso che i chimici chiamano atomo; se, in altre regioni dell'universo, altri incontri fortuiti non avessero potuto generare edifici interamente differenti.
Sappiamo ora che non è affatto così, che le leggi della chimica sono leggi generali della natura e non devono nulla al caso che ci ha fatto nascere sulla Terra.
Qualcuno potrebbe anche dire che l'astronomia ha fornito alle altre scienze tutto ciò che poteva dargli e che ora il cielo, che ci ha procurato gli strumenti che ci consentono di studiare la natura terrestre, potrebbe senza pericolo velarsi per sempre. Dopo quanto detto è ancora necessario rispondere a questa obiezione? Avremmo potuto ragionare nello stesso modo al tempo di Tolomeo; anche allora si credeva di sapere tutto e si doveva ancora imparare quasi tutto.
Gli astri sono laboratori grandiosi, dei crogiuoli giganteschi che nessun chimico potrebbe sognare. Vi regnano temperature per noi impossibili da realizzare. Il loro solo difetto è di essere un po' lontani, ma il telescopio ce li renderà più vicini e ci rivelerà il comportamento della materia. Quale fortuna per il fisico e il chimico!
La materia si mostrerà a noi sotto mille stati diversi, da questi gas rarefatti che sembrano formare le nebulose e che si illuminano di non so quale chiarore di origine misteriosa, fino alle stelle incandescenti e ai pianeti così vicini e tuttavia così diversi dal nostro.
Forse un giorno gli astri ci insegneranno qualcosa sulla vita. Sembra un sogno insensato e non vedo affatto come potrebbe realizzarsi, ma cento anni fa non sarebbe apparso un sogno altrettanto insensato anche la chimica degli astri?
Limitiamoci però ad orizzonti meno remoti. Ci resteranno ancora promesse meno aleatorie e molto più seducenti.
Se il passato ci ha dato molto, possiamo essere sicuri che il futuro sarà ancora più generoso.

 

Da J.H. Poincaré, Il valore della scienza, Dedalo, Bari 1992, pp. 121-128.