Il pellegrinaggio giubilare: una lettura sociologica

Cecilia Costa
cecilia costa
professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università degli Studi di Roma Tre

Premessa

È finita la stagione positivista in cui la sociologia faceva prevalente ricorso a rigidi schemi struttural-funzionalisti e al riduttivismo conoscitivo nello studio della religione. Nella nostra complessa contingenza culturale si preferisce adottare una metodologia di ricerca mirata a cogliere il coefficiente umanistico, l’afflato religioso individuale − “gravido di rilevanza emozionale”[1] − e i significati “attribuiti alle cose e agli eventi dalle persone”[2]. Più che nel passato, oggi, anche i polisemici risvolti della pietà popolare sono oggetto di indagine perché, come affermato dallo stesso Magistero, manifestano una spiritualità incarnata ed espressa “più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione strumentale” (Evangelii gaudium, n. 124).

A partire da questa premessa e in una prospettiva teorica attenta alla duplice analisi della religione istituzionale e di quella popolare si inserisce il fenomeno del Giubileo, che rappresenta sia un grande avvenimento ecclesiale, religioso, socio-culturale, sia un Anno Santo di penitenza, di riconciliazione con Dio, di misericordia, di speranza e di salvezza. Come ebbe a scrivere Papini: “l’Anno Santo è una elargizione straordinaria ai peccatori questuanti del tesoro collettivo di grazie costituito dalle eccedenze di santità dei santi ed amministrato dal Papa”[3].

Sempre annunciato dall’atto pontificio sovrano della Bolla di indizione, fin dal primo voluto da Bonifacio VIII, nel 1300, il Giubileo ha conservato il suo valore di “tempo di grazia”[4]. Non si può trascurare, però, di sottolineare che ogni Giubileo − ad iniziare dal nostro Spes non confundit  viene influenzato dalla trama socio-culturale in cui si celebra, pur se è rimasto inalterato, nel corso dei secoli, il suo essere un periodo di conversione, di rinnovamento interiore e di Grazia.

Nuovo modello di religiosità, pellegrinaggio e Giubileo

Nonostante, gli stili di vita siano polarizzati verso suggestioni profane e nonostante l’avvenuto transito da un contesto storico in cui era “impossibile non credere in Dio, a uno in cui la fede è solo una possibilità tra le altre”[5], ciò non significa che l’opzione religiosa, pur non essendo vincolante, non sia possibile. Infatti, insieme ad aspetti secolarizzanti[6], le recenti indagini sociologiche[7] registrano la tenuta tendenziale delle categorie della religione. In ugual misura, i dati empirici rilevano la comparsa di nuove sensibilità spirituali e la sostituzione della tradizionale figura del fedele stanziale con quella di un credente in moto costante. Non a caso, la metafora del pellegrino è utilizzata come paradigma teorico per evidenziare il perenne movimento che caratterizza i vissuti religiosi, in cui la componente emozionale esercita una funzione incisiva nel promuovere comportamenti fideistici[8].

In sintesi, nella nostra epoca di pervasivo individualismo e di “culto” dell’emozione, si fa strada un’adesione alla credenza non più ortodossa, ascrittiva, stanziale, abitudinaria e di routine[9], ma determinata da una decisione personale, volontaria[10], intimo-emotiva e incline alla dinamicità. Questo nuovo modello di religiosità soggettiva, dinamica, sentimentalmente motivata[11] e orientata verso “l’impossessamento” individualizzato del sacro[12], si rende evidente soprattutto negli itinerari pietistico-popolari e, in particolare, nel pellegrinaggio giubilare.

Naturalmente, nella immensa folla dei pellegrini del Giubileo si incontrano persone mosse da obiettivi differenti: alcune in un cammino autentico di fede; altre inclini alla credenza, ma spesso distanti dai principi dogmatico-confessionali; altre, ancora, avvertono l’esigenza di fare “l’esperienza di esserci”, di “convenire” e di trovare sintonie emotive[13]; qualcuna di loro, invece, risponde soltanto ad una curiosità turistico-culturale.

Il pellegrinaggio giubilare − che si presenta come un’esperienza liminale, di confine tra struttura e antistruttura, tra feriale e festivo, tra quotidiano e straordinario −, non solo può aiutare a “sentirsi insieme”, a riscoprire l’universo sacro-misterico e a recuperare il tempo escatologico della fede, ma può determinare anche una consapevolezza maggiore della propria identità[14], degli altri e dell’Altro. Inoltre, l’intensità espressivo-soggettiva, che spesso connota il “viaggio” devozionale verso i territori del sacro e del santo, può evocare “qualcosa di estatico, nel senso buono del termine”[15].

Bisogna ancora evidenziare che il cammino penitenziale, rito antico e sempre nuovo, – al cui interno si vanificano i classici criteri di stratificazione socio-economica, di istruzione e di generazioni – rappresenta lo spazio in cui sono più visibili l’aspirazione di molti all’incontro con l’Assoluto e il loro desiderio di “toccare” il Trascendente. Del resto, tra tutte le altre religioni, la religione cristiana risulta essere la più fisica, carnale, perché ha un legame essenziale tra divinità e materia[16], come testimoniano: l’Incarnazione, la Resurrezione e l’Eucarestia. La stessa liturgia di apertura dei Giubilei dimostra questa sua concretezza, in quanto il Papa, a differenza di qualsiasi altro sovrano regnante, tocca e apre personalmente la Porta Santa[17]. Quella Porta Santa che richiama Gerusalemme e simboleggia il passaggio dal peccato alla salvezza. Quella Porta Santa che è metafora di una nuova Pasqua, dell’unità della Chiesa in Cristo[18]e che “apre e chiude le Porte del mistero e della vita”[19]. È la stessa Porta Santa alla quale, con i toni tanto universali quanto tragici, Pascoli dedicò un suo inno[20] nel Giubileo del 1900, indetto da Leone XIII.

Conclusioni  

Nella nostra stagione ipermoderna si sono amplificate le difficoltà storico-strutturali della fede, l’indifferenza per gi universi di significato condivisi e l’insofferenza verso qualsiasi norma prescrittiva. Questa modernità avanzata, però, non ha smesso di produrre “il desiderio del totalmente altro, la fame di sacro e di senso, il bisogno di eternità oltre l’effimero”[21].

Il pellegrinaggio giubilare e ogni altro cammino pietistico, − che incarnano dimensioni interiori e sociali e rappresentano il magma “dei fondamenti, dei bisogni, degli aspetti latenti di una cultura”[22] −, sono considerati analiticamente un luogo teologico e anche un luogo sociologico, perché le loro atmosfere, le loro liturgie, i loro tempi e i sentimenti suscitati possono essere intesi come indici della persistenza della memoria religiosa[23], del bisogno di catalizzatori emotivi e di centri simbolici.

Le dinamiche e le istanze religioso-sentimentali proprie delle esperienze soggettive del Giubileo e delle pratiche pietistico-popolari − che hanno “colmato le lacune della teologia alimentando l’immaginazione e il cuore, l’amore e la tenerezza per Cristo, la speranza e la memoria, il desiderio e la nostalgia” (Dilexit nos n.63) − favoriscono l’interpretazione dell’odierna forma mentis sempre più votata all’ambivalenza e alla contraddittorietà fideistico-culturale. In definitiva, la multidimensionalità teorico-metodologica dell’evento Giubileo può aiutare a comprendere le attuali opposte inclinazioni esistenziali, che si contrappongono o si sovrappongono all’interno dei singoli mondi vitali, tra: religione istituzionale e religiosità vissuta; secolarizzazione e “moderno desiderio di Dio”[24]; dubbio sistematico e “segreta” nostalgia” di Verità.

 


[1]C. Mongardini (a cura di), Georg Simmel. La religiosità, Bulzoni, Roma, 1994, p. 110.

[2] Cf. C.Guala, Metodi della ricerca sociale, Carocci, Roma, 2000.

[3]G.Papini, L’Anno Santo e le quattro paci, in “La Festa” del 26 aprile 1924.

[4] F.Gligora, B.Catanzaro, Il Giubileo. Segni, simboli, riti, Armando Editore, Roma, 2024, p.13.

[5] Cf. C. Taylor, L’età secolare, Feltrinelli, Milano, 2009.

[6] Cf. P.L. Berger, T. Luckhmann, Lo smarrimento dell’uomo moderno, Il Mulino, Bologna, 2010.

[7]Cf. R. Cipriani, L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia, Franco Angeli, Milano, 2020; F. Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, Il Mulino, Bologna, 2020; L.Diotallevi, La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2024.

[8]Cf. Z. Bauman, Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori, Milano, 2002.

[9] Cf. R. Cipriani, Sociologia del pellegrinaggio, Franco Angeli, Milano, 2012.  

[10] Cf. U.Beck, Il Dio personale, Laterza, Roma-Bari, 2009.

[11] Cf. D. Hervieu-Léger, Il pellegrino e il convertito, Il Mulino, Bologna, 2003.

[12]Cf.L. Bersano, A. Castegnaro, E. Pace, Religiosità popolare nella società post-secolare, Edizioni Messaggero Padova, Padova, 2014.

[13] Cf.A. N. Terrin (a cura di), Riti religiosi e riti secolari, Edizioni Messaggero Padova, Padova, 2007.

[14]Cf. L. R. Kurtz, Le religioni nell’era contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2000.

[15] J.Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2007, p. 14.

[16] Cf.L. Berzano, Senza più domenica. Viaggio nella spiritualità secolarizzata (postfazione D.Olivero), Effatà editrice, Catalupa (Torino), 2023.

[17] F.Giorgino (a cura di) Giubilei, Rai libri, Roma, 2025, p. 66.

[18] A.S. Angeloni, Dante e il primo giubileo, Armando Editore, Roma, 2024, pp. 12,13.

[19]F. Gligora, B.Catanzaro, A.S. Angeloni, I Papi dei Giubilei, Armando Editore, Roma, 2024, p. 159.

[20] G. Pascoli, La Porta Santa, in “Marzocco”, 6 gennaio 1900.

[21]F. Ferrarotti, La religione dissacrante. Coscienza e utopia nell’epoca della crisi, edb, Bologna, 2013, p. 34.

[22] A. Dupront, Il sacro, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, p. 434.

[23] Cf. D. Hervieu-Léger, Religione e memoria, Il Mulino, Bologna, 1996.

[24]Cf.S. Abbruzzese, Un moderno desiderio di Dio. Ragioni del credere in Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010.