Università e umanità (scritti a cura di F. Tessitore)

Wilhelm von Humboldt (1767-1835), statista prussiano, storiografo e linguista, dedicò un'ampia parte della sua riflessione all'educazione dell'uomo, morale e scientifica, e, in modo approfondito, elaborò una concezione di università, poi realizzata nella fondazione dell’Università di Berlino (1810), destinata ad avere grande influenza nel periodo successivo. Il breve ma denso saggio Università e umanità, è costituito da tre capitoli intitolati: "Sull'organizzazione interna ed esterna degli istituti scientifici superiori di Berlino" (1810), "Teoria sulla formazione culturale dell'umanità" (1793) e "Piano di un'antropologia comparata" (1795). In esso l'autore sostiene, spiega F. Tessitore nella prefazione all'edizione italiana, che scopo primario dell'educazione scolastica deve essere non tanto l'insegnamento di questa o quella disciplina, ma piuttosto una completa formazione morale all'individuo, in modo tale che questi possa realizzarsi nella totalità delle sue potenzialità, attraverso la sua umanità. Il concetto di “umanità”, infatti, nell'antropologia di von Humboldt è fondamentale: l'essere uomo si dà necessariamente nel mondo, nella società, e tale collegamento deve essere sviluppato nella forma della più estesa, intensa e libera influenza reciproca. Questa dimensione è necessaria perché si possa realizzare l'umanità dei singoli, nelle sue diverse espressioni, in quanto «l'uomo preso da solo è debole e può ben poco con le proprie forze» (p. 67). I due concetti cardine sui quali, secondo l’A., si deve basare l'università sono la libertà e la solitudine (Einsamkeit und Freiheit). La prima è la libertà della ricerca, garantita da una corrispettiva autonomia, ma è anche la libertà propria della gioventù sempre pronta a discutere ed approfondire princìpi e verità che non possono essere accolte passivamente. La “solitudine” di cui parla von Humboldt non va intesa come isolamento («l'uomo isolato può progredire tanto poco come l'uomo incatenato» p. 26), ma del fatto che ciascuno deve sapere condurre con sé stesso, prima che con gli altri, il colloquio più difficile, ossia un dialogo libero, spassionato e, se necessario, anche impietoso, per essere in grado di avviare qualsiasi ricerca morale significativa per sé e poi per gli altri. L'università, nella sua piena realizzazione, sarà dunque sintesi di «scienza oggettiva e formazione soggettiva» (p. 24) in cui «il docente non esiste in funzione degli studenti, entrambi esistono in funzione della scienza». Quest'ultima è infatti intesa come un problema, oggetto di studio della comunità di ricerca che, però, non la potrà mai raggiungere interamente. L'università è dunque, nella concezione humboldtiana, il luogo della più alta cultura se al suo interno l'unità della scienza è "musicata" dalle personalità più diverse, allontanando così la crisi della sua istituzione stessa, che nasce quando non vi è più spazio per il pensiero e l'apporto personale dei singoli nella totalità.