“Forse ben più secoli non vedranno riunite in un sol uomo tanta sublimità ricchezza e fecondità d’ingegno a tanta pietà, carità e modestia”. Con queste parole il beato Faà di Bruno (1825-1888) inizia a tratteggiare, poco dopo la sua scomparsa, la figura del matematico francese Agostino Cauchy (1789-1857), suo maestro. Proponiamo al lettore una memoria del matematico francese redatta dal colui che più altri ne subì l’influenza, sia scientifica che spirituale.
Chiunque si faccia ad esaminare la storia dell’umanità, troverà, di secolo in secolo, personaggi che per l’eccellenza loro nelle arti nelle scienze altamente l’illustrarono; ed ogni nazione può andare giustamente superba di avere, qual più, qual meno, offerto all’ammirazione della terra profondi genii, che la Provvidenza suscita quai fari ad illuminarla nelle tenebre onde è avvolta. Come questi, non sì continuamente brillano sull’orizzonte sociale, sicché l’uomo alla potenza della sua ragione troppo vanamente si fidi; non per sempre si estinguono, sicché desso venga a disprezzare quell’anima capace delle più sublimi speculazioni non che di indiarsi un giorno; non sempre si dirigono alla medesima regione dello spirito, sicché una sola facoltà si sviluppi a detrimento delle altre, ma tutte all’opposto fecondate e rinvigorite entrino colle loro armonie, divenute per reciproco influsso più possenti, a colorire e vivificare quel gran concerto, che l’umanità è da S. Paolo chiamata a dare in segno d’omaggio e sommessione al Signore - la fede nel Creatore per la scienza del creato. Uno di questi genii è appunto il sig. Barone Cauchy, di cui i giornali lamentarono testè l’amarissima perdita [Il sig. Barone Cauchy morì a Sceaux, presso Parigi, il 22 di maggio, all’età di 68 anni]. Forse più secoli non vedranno riunite in un sol uomo tanta sublimità, ricchezza e fecondità d’ingegno a tanta pietà, carità e modestia. Ben di lui può veramente dirsi:
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
Qual paragone infatti fra l’idea di chi comanda, da molti sovente prevenuta o divisa, con quella del dotto che, operando sul suo spirito colla riflessione, la produce fra gli sforzi d’un portato che egli solo conosce!
Il Cauchy fu il vero tipo del genio matematico. Quel che in altri è studio, applicazione od imitazione, in lui era nuovo, originale e spontaneo. La sua analisi presenta un non so che di recondito e di delicato, che ben mostra come ei sapesse penetrare fin dentro all’essenza delle cose. Se altri è già stimato grande geometra; perché eccelle in qualche parte dell’analisi pura od applicata, assuntasi a specialità; che fia di lui abilissimo in tutte ed a cui bastava il volere per vincere ogni sorta di difficoltà? Il Cauchy conobbe a fondo e fece progredire ogni ramo delle scienze matematiche, e persino nelle questioni elementari di aritmetica, geometria, algebra e trigonometria, lasciò l’impronta del suo onniveggente e possente genio. E quel che più desta meraviglia si è che nel dettare le sue sublimi memorie altro non aveva per guida che la mente sua; tutto ei traeva dalle proprie meditazioni, e, se la memoria di alcunché abbisognava, le erano uniche ancelle le sue opere stampate o manoscritte.
Uscito dalla scuola politecnica, ove aveva fatto i suoi studi sotto la direzione di Laplace e Lagrangia, andò come ingegnere di ponti e strade a Cherbourg. Ma la fama e l’acutezza del suo spirito analitico lo ricondussero bentosto a Parigi professore alla medesima scuola. All’età di 23 anni aveva comunicato all’Accademia delle scienze una dimostrazione di un teorema sulla similitudine dei poliedri già enunciata da Euclide, che aveva resistito fino allora a tutti i conati dei più illustri geometri, ed era tenuta da Legendre di una difficoltà insuperabile, talchè questi a tal occasione: désormais, gli disse la place d’academicien vous est acquise. Nel 1815, all’età di 26 anni, guadagnò il concorso, che l’Accademia instituiva sopra la teoria delle onde. La gran Memoria, di circa 300 pagine in -4°, che egli presentò a tal uopo, farebbe onore al più provetto ed intelligente dei matematici viventi: è un tesoro nascosto di idee, che rinchiude i sintomi di quella vigorosa e generale analisi, che doveva ben presto assegnare al signor Cauchy il primo posto fra i geometri ed aprirgli le porte dell’Istituto. Sei anni dopo pubblicava il suo corso d’analisi, già tanto apprezzato da Abel, e che ancora oggi sopravanza di gran lunga i trattati ordinari di algebra. Circa a quest’epoca contrasse matrimonio colla madamigella de Bure e n’ebbe due figlie, spose oggi, l’una al conte St-Pol e l’altra al conte de l’Escalopier, consigliere alla Corte dei Conti. La sua famiglia, cui facevano bella corona i vecchi ed onorevoli parenti, non che le famiglie dei fratelli, era il centro e lo specchio d’ogni virtù domestica, sociale e religiosa. I più bei tempi del cattolicismo l’avrebbero invidiata, e più d’uno ebbe ad appellarla patriarcale.
Dettò dappoi nel 1825 una Memoria su gli integrali definiti, foriera di quanto egli doveva più esplicitamente trattare in questi ultimi anni, e che contiene in ciascuna delle sue formole una miniera, d’integrali. Diede mano in seguito agli Esercizi di matematiche coi quali fondò il calcolo dei residui, estese la teoria dei numeri e delle funzioni, ed interpreta col più gran successo, le leggi della luce e de suono. Con questi, e colle numerose Memorie, che egli comunicava all’Accademia, dava chiaro a divedere, che non solo ei maneggiava da padrone e colla più gran destrezza ogni parte dello scibile matematico, ma che nelle sue mani l’analisi sì pura che applicata progredivano visibilmente di trionfo in trionfo. La fama de’ suoi talenti e delle sue virtù penetra sin dentro alla Corte, ed è nominato professore dei figli di Carlo X. Si fu in tal qualità, che mostrò di quali sacrifizi sia capace un’anima da sensi religiosi inspirata. Poiché, scoppiata la rivoluzione del 1830, amò meglio andarsene profugo dalla Francia, perdendo ogni sorta d’impieghi, anziché conservarli ponendo in non cale un giuramento, col quale si era dedicato alla casa dei Borboni. Ramingo a Torino ed a Praga, continuò a fare l’educazione di Enrico V, e n’ebbe mai sempre in contraccambio la più viva riconoscenza ed affezione. In tale volontario esilio il suo genio non venne meno al carattere. Pubblicò, anzi autografò egli stesso varie importantissime Memorie a Torino, e scrisse quindi a Praga la celebre sua Memoria sopra la dispersione della luce. Diede allora un teorema sulla determinazione delle radici immaginarie situate in un dato contorno, che i signori Sturm e Liouville considerano come une des plus étonnantes conquêtes de l’analyse. Rientrato di nuovo in Francia verso il 1840, dopo aver dato non dubbie prove, come disse egli stesso, didévouement à l’infortune et d’amour sincer de la vérité, continuò i suoi lavori scientifici per mezzo di una nuova pubblicazione periodica diEsercizi di analisi e di fisica matematica, i quali allargarono sempre più l’orizzonte della scienza. In essa trovasi il celebre suo teorema sulle serie, che, riducendo la loro convergenza alla continuità delle funzioni, permette di determinare a priori fra quali limiti lo sviluppo di queste in serie sia possibile. Questo teorema e gli altri analoghi, che non cessò di dare in seguito, posero la teorica delle funzioni nel suo vero terreno, donde ne’ suoi lavori un’ampia messe d’importantissime conseguenze, che aspettano solo la falce intelligente dei geometri. Si consultino a tal uopo le Memorie dei signori Puiseux, Briot e Bouquet da quelle del Cauchy inspirate, e si scorgerà qual grande avvenire esse abbiano schiuso a queste teorica. In tal studi, sempre coerente a se stesso, ma sempre grande, il barone Cauchy non aveva ancora accettato le varie cattedre, che gli venivano offerte, ma che esigevano però da lui sottomissioni ben indegne di chi le imponeva. Poiché se indipendente e maestro nella scienza, il Cauchy era pur libero e delicato nella coscienza; attingeva alla sublimità del genio la squisitezza del sentire. Più forte dei Re, loro non si chinava a patti, vendendo ad una vacillante politica un sentimento che in lui era tanto indistruttibile, quanto eterna la verità ch’egli rivelava al mondo stupefatto dei dotti. Ben debole è quel governo, che teme, o non promuove la scienza, quasiché essa, svelando le forze della natura, non sia quella che ponga mano indirettamente alla sua stabilità. Non diversa nemmeno per lui sarebbe stata la repubblica del 1848, sebbene, celando la propria gelosia e debolezza, si proclamasse invulnerabile ed indifferente alle opinioni. Ma era allora ministro il direttore dell’Osservatorio, uno dei più famigerati membri dell’Istituto; poté quindi il collega, senz’altro impedimento, riprendere le sue lezioni alla Università. Sorge però l’impero; ed egli con Arago si rifiuta agli imposti vincoli: perde gli impieghi, ma non per sempre; poiché l’Imperatore Napoleone III troppo altamente sente per non ostare allo splendore dei talenti in un paese che vive di rinomanza e di gloria. Sciolti pertanto ad Arago, e quindi a lui i legami, restituì al Cauchy generoso la cattedra. Ripristinato così nell’amata sua patria in quegli onori, che l’Europa tutta gli tributava, niente più gli mancava, né la stima del mondo, né il favore dei governi. − Membro nondimeno della Società reale di Londra, delle Accademie di Parigi, Pietroburgo, Berlino, Gottinga, Modena, Filadelfia, ecc., cavaliere di più ordini, ei viveva, come se di nulla godesse, e tutto ignorasse. La sua modestia era profonda come la sua scienza. Semplice, si compiaceva coi semplici; i fiori ed i ragazzi formavano le sue delizie. A tutti cercava di rendersi caro ed utile; e più d’un giovane matematico, che ora fiorisce in Parigi, deve ai di lui mirabili rapporti all’Accademia, incarico al quale mai non si rifiutava, lo stimolo e l’avanzamento negli studi. Perfettamente ritraeva se stesso, allorquando sulla tomba dell’illustre Binet diceva: «Binet n’était pas seulement un géomètre distingué, doué d’une haute intelligence; avec les plus beaux génies des siècles passés, et des temps présents avec les Descartes et les Fermat, avec les Haűy, les Ampère, les Laennec, il aimait à remonter de la connaissancedes vérités scientifiques au Principe éternel de toute vérité. La méditation des lois sublimes, qui régissent le cours des astres, qui entretiennent l’ordre et l’harmonie dans l’univers, lui offrait sans cesse des nouveaux motifs de bénir n et d’adorer l’auteur de tant de merveilles. La foi vive de notre confrère, son ardent amour pour le Dieu, auquel il rendait gloire par ses talents et ses vertus, par son vaste savoir et son inépuisable charité, doivent sous inspirer la douce confiance qu’aujourd’hui, plus heureux que nous, plus éclairé que nous, Binet est allé puiser la lumière à la source de toute lumière, apprendre des secrets, que nous sommes appelés nous-mêmes à connaître un jour, en marchant dans la voie qu’il a suivie. Absorbé par ces hautes pensées, vous me pardonnerez, messieurs, d’en abréger l’expression. La vraie douleur s’exprime en peu de paroles; et à la vue de la croix posée sur cette tombe en signe d’espérance, je me tais, je vous laisse franchir en esprit l’intervalle immense, qui sépare les sciences de la terre, si limitées, si bornées en tous sens, même quand elles sont cultivées par des hommes d’un mérite supérieur, des vérités sublimes, de la divine science, qui nous seront révélées dans les cieux».
Così parlando, non prevedeva che avrebbe anticipato solo d’un anno gli elogi che si sarebbe meritati sulla propria tomba. - Fatal destino dell’uomo! Miserabile contraddizione, se, mentre il suo spirito giunge a bramare o lambire l’infinito, dovesse essere in un istante ingoiato dalla opposta materia e dal tempo che passa! Ma consoliamoci: il Cauchy, immortale in terra, regna immortale nel cielo. Iddio della cui bontà e sapienza rifletteva un raggio su la terra, avrà già premiato un’anima sì tenera del suo amore, e che altro non sospirava se non se, di contribuire alla sua gloria con tutti i suoi mezzi e le sue forze. Benchè oberato d’ogni sorta d’occupazioni, trovava nondimeno il tempo ed un cuore per andare a visitare i poveri nei loro tuguri; che anzi ogni domenica usava di lasciare Parigi per assistere ad una conferenza di S. Vincenzo, situata ad otto miglia di distanza, da lui iniziata. Molto si adoperò per la diffusione della società di S. Francesco Regis; caldamente promosse quella per la santificazione delle feste, ed egli solo, cosa veramente prodigiosa, riuscì a far chiudere nei dì festivi circa 60 magazzini nella via Richelieu. Dovea certamente essere uno spettacolo caro agli angeli il contemplare un membro dell’Istituto, un genio del mondo, girare per le vie di quella immensa città, insinuarsi presso i fabbricanti ed i bottegai, affine di far penetrare nelle loro avare menti un raggio, una scintilla d’amore di Dio e di rispetto al suo nome. Niuna occasione di bene era da lui perduta. Le sue sale, ritrovo dei più colti ingegni nazionali e forestieri, erano nelle sue mani una tacita scuola della vera religione agli uni, di zelo e di pietà agli altri. Così nelle serate invernali dell’anno 1855 fondò la società dell’Oriente, intesa a soccorrere le scuole cristiane di quei paesi, la quale conta i più bei nomi della magistratura, delle scienze e delle arti. Quanti protestanti poi trovarono per lui quella luce, che indarno essi cercavano nelle tenebre, onde sono miseramente ingombri! Non si può a tal proposito passare sotto silenzio un’ammirabile conversione da lui operata di un’intiera famiglia. Il barone Cauchy villeggiava alla sua campagna di Sceaux. Per quella nota facilità, onde in campagna s’innestano relazioni, venne a conoscere la famiglia N., una delle più distinte dei contorni, composta del padre cattolico, della madre e delle figlie protestanti. Correva il mese di maggio, e negli abboccamenti avuti con essa più volte propose alle figlie di andare al mese Mariano, mettendo loro innanzi le attrattive della musica. Dio, calcolava egli farà il resto. Ma trovava indugi e difficoltà; finalmente la pietosa Provvidenza venne in soccorso al buon volere. In una delle conversazioni il B. Cauchy era intorno a divertire la brigata con giuochi savants di carte, nei quali era abilissimo. Una delle damigelle, quella appunto che dimostrava maggiori speranze, meravigliata, s’invoglia d’impararne alcuno. Je veux bien, rispose lo zelante cristiano, mais à une condition. La damigella resta perplessa, si querela per una condizione imposta ed ignota; ma alfine dopo varie esitazioni accetta. Eh bien, soggiunse egli, la condition c’est que vous viendrez au mois de Marie. Si va adunque in parrocchia; il canto, ella pensa, se non altro, diletta. Intanto s’ode il discorso… l’oratore non parla… male… si ascolta… la verità poco a poco seduce un vergine intelletto, che ne va ingenuamente alla ricerca. Si ripetono le visite alla chiesa; il Cauchy rinnova i servigi, i dubbi, impresta libri, prega e fa pregare, s’intavola alfine una seria discussione che dura un intiero mese. In ottobre il nemico era vinto. È da notarsi che uno degli argomenti più decisivi per lei fu la serie non interrotta dei Papi. Chi voglia invero spregiudicatamente osservare come possa un governo sprovvisto d’armi e danaro, che impone solo quanto più ripugna agli uomini, che solo, premia e castiga nell’altro mondo, resistere a tutta la terra congiurata mai sempre alla sua rovina, mentre oggidì vediamo i più forti governi schiantati al soffio d’una rivoluzione, non potrà a meno di conchiuderne ch’esso è divino, e che perciò chi con essa veglia, soffre e combatte, sicuro riposa nella verità, conciossiché la verità è una, come è uno Iddio, ed in Lui solo e per Lui solo esiste. Resasi questa damigella al grembo della Chiesa Cattolica, le sorelle, e quindi la madre, non tardarono a seguirne il nobile esempio. Ed oggi la famiglia N. spande tutto all’intorno soavissimi odori di cristiana pietà; e quella stessa damigella, cotanto restìa, è divenuta modello alle altre di carità e devozione, talchè dirige a Sceaux la classe di perseveranza delle figlie.
Così il Cauchy in mezzo ai lavori ed agli onori scientifici transiit benefaciendo. Nemico del fasto come dell’errore, era caro agli uomini ed a Dio. Tutti erano rapiti al vedere tanta modestia in un uomo, che era l’oracolo dei matematici; e tutti perciò gradivano volontieri le industrie del suo caritatevole zelo. Taluno avrebbe desiderato maggior finitezza nei suoi lavori. Ma bisogna riflettere che è proprio del genio il trascurare i dettagli e le conseguenze. Il Cauchy di questo solo era premuroso, di gettar principii, i quali come nuovi e più possenti strumenti servissero agli analisti per progredire più facilmente e sicuramente nelle loro ricerche. Non è a negarsi che negli ultimi anni si sia ripetuto alquanto; ma qual è il genio, che dopo aver scritto sì forti e numerose memorie, i cui titoli soli occupano un volume, non dimostri, invecchiando un po’ di lassitudine? Del resto egli ha ancora lasciato importantissimi e numerosi manoscritti, pregni delle più belle teorie ed applicazioni; ed ultimamente appunto si occupava di riordinare e connettere tutte le sue opere, pubblicando un Trattato completo d’analisi pura ed applicata, a partire dall’aritmetica e geometria, sino alle più alte sfere del calcolo sotto il pseudonimo di Teotimo. Qual prezioso monumento sarebbe stato questo per la sua gloria, e per il vantaggio della scienza, ognuno il potrà facilmente presumere. Quai punti di vista! Quale semplicità generalità, fecondità! Ma il Teotimo era già troppo caro a Dio. Resteranno le sue opere e memorie, che per lungo tempo saranno una fonte di ritrovati pei geometri, non che un modello per sempre di redazione ed invenzione analitica.
Tale si fa in ben poche e scarse parole il Cauchy. A dire convenientemente quanto fece per la scienza e la religione, sarebbe opera di più abile penna e di più lungo discorso. Noi ci contenteremo d’aver reso un tributo d’omaggio ben sincero alla memoria d’un uomo, di cui solo forse la posterità comprenderà la sublime grandezza; poiché fu SANTO insieme e SAPIENTE. Tu, pertanto, o Fede,
Scrivi ancor questo; allegrati,
chè più verace altezza
al disonore del Golgota
Giammai non si chinò.
Torino, Tipografia Paolo De Agostini, 1857, estratto dall’Armonia, n. 163-166, anno 1857.