«Così infinitamente rendo grazie a Dio, che si è compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa così ammiranda, e tenuta a tutti i secoli occulta». Queste parole di Galileo Galilei, tratte da una sua lettera a Belisario Vinta del 30 Gennaio 1610, sembrano per noi oggi impensabili sulla bocca di un grandissimo scienziato. L’immagine che la cultura contemporanea ha creato dello scienziato è quella di un persona che grazie alle sue ricerche, ai suoi studi e alle sue teorie si è emancipata completamente da ogni riferimento a Dio. La scienza, nell’immaginario collettivo, è per antonomasia incompatibile con qualsiasi cosa che abbia a che fare con la religione. Uno scienziato, un premio Nobel, in ginocchio da solo in una chiesa immerso in preghiera è quanto di più lontano possiamo pensare. Eppure la storia e le vite degli uomini di Scienza ci dimostrano esattamente il contrario. Molti sono gli scienziati di fama planetaria che hanno lasciato in tutte le epoche testimonianze della loro spiritualità. Oggi ci sembra strana l’immagine di uno scienziato che prega anche perché è povera la conoscenza e la considerazione che abbiamo della preghiera. La preghiera è una pratica infantile o tutt’al più utile per confortare persone in difficoltà, un’abitudine che ha poco a che fare con persone evolute e soprattutto con studiosi di alto profilo. È importante quindi innanzitutto riqualificare la preghiera e capirne le dinamiche più profonde. Benedetto XVI nell’ Udienza generale dell’11 maggio 2011 spiegava così la preghiera: «Nell’esperienza della preghiera la creatura umana esprime tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere della propria esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere di fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza della propria vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente». La preghiera è quindi un’esperienza che attraverso una relazione profonda con il divino apre al cuore dell’uomo una conoscenza superiore che lo nobilita e lo trasforma; pregare vuol dire mettere in relazione il nostro io più intimo con l’Essere che è Amore. «La preghiera ha il suo centro e affonda le sue radici nel più profondo della persona» (idem). Partendo da queste considerazioni possiamo guardare in modo completamente diverso le preghiere che i giganti della Scienza hanno donato all’umanità. Se la preghiera ha questo alto profilo, un genio scientifico, che ha fatto della ricerca della verità sulla natura e dell’indagine del mistero della vita la propria vocazione, è in una posizione, oseremmo dire, privilegiata di relazione con Dio. Il suo lavoro è fonte di stupore e di apertura “all’Oltre”.
Leggere le preghiere degli scienziati vuol dire entrare nella loro intimità. Il loro animo ci appare capace di acute intuizioni spirituali. Come nel libro dei Salmi, le preghiere degli uomini di Scienza sono colorate da tutti gli stati d’animo che caratterizzano l’esistenza umana: lode, ringraziamento, supplica, contemplazione, affidamento.
Keplero, considerato uno dei più grandi astronomi di tutti i tempi che con le sue ricerche ha cambiato l’Astronomia, chiude una delle sue opere più conosciute l’Harmonices mundi libri V (1619), dove si trova formulata la sua terza legge sul moto dei pianeti, con la seguente preghiera di lode e contemplazione:
«A te che con la luce della natura alimenti in noi il desiderio della luce della tua grazia onde possiamo godere della tua gloria, a te rendo grazie mio Signore e mio Dio perché tu mi hai fatto provare gioie e godimento in tutto ciò che tu hai creato, in tutto ciò che è frutto delle tue mani preziose. Vedi, o Signore, io ho completato questo lavoro per il quale ero stato chiamato. Per farlo ho utilizzato quella forza della mente che tu mi hai donato.Ho mostrato agli uomini la magnificenza della tua opera od almeno quella parte della tua infinita grandezza che la mia mente è riuscita a capire» (lib. V, capp. IX, in Gesammelte Werke, vol. VI, Munchen 1940, pp. 362-363).
Un genio assoluto come Blaise Pascal ci ha lasciato un preghiera di puro abbandono a Dio nelle malattie:
«Fate, mio Dio, che in uniformità di spirito sempre uguale riceva tutti gli avvenimenti di ogni genere, perché non sappiamo ciò che dobbiamo chiedere, né posso augurarmi un avvenimento piuttosto che l’altro senza presunzione e senza ergermi a giudice e responsabile delle conseguenze che la vostra saggezza ha voluto nascondermi. Signore, so di sapere una cosa sola: che è bene seguirvi e che è male offendervi. Oltre a ciò, non so quale sia meglio o peggio in ogni cosa. Non so se mi sia più profittevole la salute o la malattia, la ricchezza e la povertà, né tutte le cose del mondo. È un discernimento che oltrepassa la capacità degli uomini e degli angeli e che sta nascosto nei segreti della vostra provvidenza che adoro e non voglio approfondire. Fate dunque, o Signore, che così come sono mi conformi alla vostra volontà; e che essendo malato, come sono, vi glorifichi nelle mie sofferenze» (in B. Lang ed., Illumina la mia notte, Donzelli, Roma 2005, p. 89).
James Clerk Maxwell, che contribuì allo sviluppo della fisica con la teoria del campo elettromagnetico e la prima formulazione statistica della teoria cinetica dei gas, si rivolge a Dio così:
«Dio onnipotente, che hai creato l’uomo a tua immagine, gli hai donato un’anima spirituale, affinché ti ami e governi le tue creature, insegnaci a studiare le opere della tua mano, affinché noi assoggettiamo il mondo al nostro dominio e il nostro spirito si rafforzi al tuo servizio» (in H. Muschalek, Dio e gli scienziati, ed. Paoline, Alba 1972, p. 19).
Secondo un racconto attendibile l’ ultime parole prima di morire di Michael Faraday, il grande fisico e chimico inglese noto per i suoi contributi nel campo dell’elettromagnetismo e dell’elettrochimica, a chi gli chiedeva quale sarebbe stata la sua occupazione dopo la morte, furono:
«Io sarò con Cristo, e questo basta» («I shall be with Christ, and that is enough» in R.B. Zook ed., The speaker’s quote book, Kregel, Gran Rapids - MI 2009, p. 135).
Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina nel 1912, si rivolge così alla Madonna:
«Vergine dolce, che soccorrete gli infelici, che vi implorano umilmente, proteggetemi. Io credo in Voi» (in A. Socci, La guerra contro Gesù, Rizzoli, Milano 2011)
Dopo che gli astronauti fecero il loro ritorno sulla Terra un giornalista chiese a Wernher von Braun, padre dell’astronautica moderna : «Dr. von Braun che cosa ha pensato dopo avere dato il suo “sì” finale una settimana fa?». La sua risposta fu: «Ho detto in silenzio la preghiera del Signore».
In questo breve excursus sulla spiritualità degli scienziati, abbiamo visto come questi grandi uomini accanto alla ricerca scientifica di altissimo livello abbiano maturato anche quella che Giovanni Paolo II parlando di Niels Stensen (Niccolò Stenone) definisce la “conoscenza del cuore”.
Nell’Omelia di beatificazione del grande scienziato danese , il 23 ottobre 1988, il Papa tracciò un profilo nitido dello scienziato credente:
«Ma l’uomo non è dotato soltanto della facoltà conoscitiva fisica; egli possiede anche la conoscenza intellettiva, assai superiore, perché protesa verso la verità più profonda delle cose. Esiste inoltre nell’essere umano la facoltà che nella Scrittura è detta “conoscenza del cuore”, quella visione cioè che procede dal punto più intimo dell’uomo e che abbraccia tutta la sua realtà – intelletto, volontà, vita affettiva – aprendola alla trascendente esperienza dell’incontro personale con Dio.
Tanto nell’una quanto nell’altra forma di conoscenza Niels Stensen si rivelò dotato di particolari talenti: ricercatore appassionato scienziato di primo piano, non soddisfatto mai delle pure ipotesi e sempre alla ricerca della piena certezza, egli tuttavia fu mosso soprattutto dall’anelito verso la scoperta della ragione ultima di ogni cosa: Dio, che non si può trovare neppure con i più sofisticati strumenti della scienza sperimentale; Dio, nella cui intimità si può entrare soltanto mediante la “scienza del cuore”».
Oggi come allora le vie della Scienza sono le vie del cuore dell’uomo.