Durante il mese di marzo, il 31 per l’esattezza, cadrà quest’anno la domenica successiva al primo plenilunio di primavera. È in questa cornice cosmica che si colloca, secondo una tradizione plurisecolare, la principale festa cristiana, la Pasqua. Non è fuori luogo pertanto, nell’editoriale di questo mese, svolgere una riflessione proprio sul significato di questo evento. Il punto di vista che vorremmo adottare riprende quello stesso che ha orientato l’editoriale del mese di dicembre (a firma di A. Strumia) a proposito del Natale, sulla “genialità” della logica (divina) che sottostà all’Incarnazione. Ebbene, nel caso della Pasqua, mi sembra che un’analoga considerazione si possa fare a proposito della “logica della redenzione”, cioè della logica che, secondo la fede cristiana, sta alla base della morte e della risurrezione del Figlio di Dio fatto uomo, Gesù Cristo. Nel linguaggio cristiano “redenzione” ha il significato di liberazione dell’uomo dal male che in molti modi segna la sua esistenza, sia in senso morale (peccato) che in senso fisico (sofferenza, morte). La redenzione è “salvezza”, liberazione dal peccato e realizzazione della pienezza di vita a cui l’uomo aspira: un’esistenza interamente vissuta nell’amore a Dio e agli altri, e non più minacciata dalla morte. Come ha realizzato Dio un’opera simile, che sembrerebbe presupporre un radicale stravolgimento della realtà umana: eliminare il peccato non significa eliminare la libertà? Ma così semplicemente si cancellerebbe l’uomo, che è definito proprio dalla sua libertà. E vincere la morte non richiederebbe un cambio totale delle leggi della vita umana, in particolare di quelle che riguardano il corpo, la materia? Ma in tal caso avremmo ancora un uomo o, piuttosto, un altro essere, un angelo, privo di materia e perciò immune alla decadenza e alla distruzione fisica?
Ecco, qui si rivela la “genialità” di Dio, la genialità del suo progetto di redenzione. Incarnandosi, Dio ha assunto la natura umana, si è fatto Egli stesso uomo. Potremmo dire che... Dio è venuto “dentro” l’uomo. E così facendo ha immesso “dentro” la natura umana il principio, la forza di cui l’uomo ha bisogno per vincere il male dentro di sé: questo principio è la grazia, ossia una partecipazione del modo divino di essere e di vivere. La “genialità” sta nel fatto che l’uomo Gesù Cristo è pienamente “normale”, veramente umano, e al tempo stesso profondamente “nuovo”, perché la sua umanità è ricolma di grazia. Quindi egli vive da uomo come gli altri, ma al contempo ci mostra “l’arte di essere uomini”: la capacità di pensare, di volere e di amare propria dell’uomo libero dal peccato. Gesù poi, soprattutto, muore come muoiono tutti gli uomini: la sua umanità soccombe alle violenze che subisce. Al tempo stesso però la sua morte è la morte del vero “giusto”, del figlio che è pieno della grazia del Padre, al Quale si affida completamente. E così ci mostra anche “l’arte di morire da uomini”, cioè da figli che sanno che la morte è un “passaggio da questo mondo al Padre” (cfr. Gv 13, 1). Nella vita e nella morte di Gesù vediamo come la libertà umana non sia stata soppressa dalla grazia, ma piuttosto resa capace di esprimersi al meglio: ciò appare nella scelta di Gesù di amare fino in fondo Dio Padre e gli uomini, fino al dono della vita. L’umanità, dunque, in Gesù non è stata in alcun modo “dismessa” o posta in secondo piano, ma riabilitata e potenziata senza essere snaturata.
Osserviamo bene ora cosa è avvenuto con la morte di Cristo. La fede cristiana afferma – ed è la verità portante di tutto il cristianesimo – che egli è risorto. Ebbene, possiamo chiederci se una simile vittoria operata da Dio sulla morte – la risurrezione – non abbia in realtà stravolto e snaturato l’umanità di Cristo e con essa quella di tutti noi. Possiamo rispondere di no: Gesù risorto è ancora uomo, autenticamente uomo. L’elemento fondamentale su cui poggia questa affermazione è che il risorto non è un puro spirito, ma una persona umana dotata di anima e corpo. Gesù risorto è uomo vero, dicono i cristiani dal giorno in cui lo hanno visto mostrare loro le ferite prodotte dalla crocifissione (cfr. Gv 20, 20; Lc 24, 39), anche se la sua umanità è vivificata in modo nuovo dallo Spirito. Il punto importante da sottolineare è che la forza dello Spirito ha come effetto quello di permettere a Cristo risorto di essere “pienamente” uomo. In questa “pienezza” troviamo ora non solo la possibilità di vivere nell’amore, senza ombra di male, ma anche la definitività del possesso della vita, il “per sempre”, in assenza del quale l’uomo si sentirebbe inevitabilmente frustrato. Nella modalità di vita umana che Gesù risorto ci mostra in se stesso, davvero è tutto “normale” perché umano, ma al tempo stesso profondamente “nuovo” perché l’umanità è “compiuta”, realizzata pienamente.
Che impatto ha quanto è avvenuto nella vita, nella morte e nella risurrezione di Cristo, su ogni altro uomo? Dal punto di vista “metafisico” possiamo dire che ciascuno di noi partecipa della natura umana così come la possiede Cristo: se in lui tale natura ha potuto essere arricchita dalla grazia e resa capace di vincere il male, può esserlo anche in noi; se in lui essa è stata fatta sede di una forza nuova che la rende immortale, potrà esserlo anche in noi. «Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo», afferma il Concilio Vaticano II (Cost. Dogm. Gaudium et spes, n. 22). L’effettiva partecipazione del singolo uomo alla pienezza di vita di Cristo richiede la libera adesione personale a lui, nel modo che a ciascuno Dio rende possibile. Anche in questo Egli rispetta nel modo più profondo la natura dell’uomo, la sua libertà.
Vorrei concludere gettando uno sguardo al destino della creazione, alla luce della Pasqua. La determinazione della data della sua celebrazione annuale lascia intravvedere il nesso che la fede cristiana pone tra l’evento della risurrezione di Cristo e l’intero cosmo. In effetti, ciò che vediamo anticipato nell’umanità del Cristo risorto e in particolare nel suo corpo, non è solo il rinnovamento della modalità di vita umana, ma anche la trasformazione che coinvolgerà l’universo nel suo insieme. L’esistenza corporea dei risorti richiederà, in qualche modo, un “contesto” cosmico adeguato: «anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio», afferma l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani (8,21).
Ci piace pensare che parte della felicità eterna, per molti scienziati e per tutti gli uomini che sono aperti alla contemplazione del mondo naturale, consisterà nella possibilità di comprendere ancor più a fondo le meraviglie del cosmo, creato e rinnovato da Dio secondo quell’esemplare “geniale” che è l’umanità risorta di Cristo.