L’Anno della fede, apertosi nello scorso mese di ottobre, sembra suggerire in modo del tutto naturale anche all’uomo di scienza una riflessione sulla preghiera.
La preghiera può essere vista come “oggetto di scienza”, di studio da parte di discipline quali la storia, la fenomenologia o la psicologia della religione e della teologia. La si può considerare anche come dimensione della vita dello scienziato, in quanto uomo che possiede una formazione ed un’attività intellettuale, un modo particolare di conoscere la realtà. Per l’uomo di scienza, come per chiunque, la preghiera può manifestarsi a partire da due itinerari: quello “cosmologico”, attraverso il rapporto con il mondo “esterno”, e quello “antropologico”, mediante una riflessione sul mondo “interno”. In continuità con questo percorso razionale, si innestano l’apertura dell’uomo ad una Rivelazione divina e la sua risposta nella fede, delle quali la preghiera diviene ancora espressione. È sul primo aspetto che intendiamo qui riflettere un momento, con una particolare attenzione a quella forma di preghiera, espressione del culto pubblico, che è la “liturgia”, nella sua dimensione cosmica, che stabilisce uno stretto legame tra la realtà dello spirito e quella della materia, oggetto proprio delle scienze fisiche e naturali.
La preghiera possiede, già in se stessa, una dimensione che lega l’orante al mondo fisico: ad incominciare dalla postura del corpo, dal controllo del suono della voce che recita, canta, esprime all’esterno lo stato interiore dell’animo, così come dal silenzio che crea le condizioni fisiche per il necessario raccoglimento. In particolare, poi, è la liturgia, in quanto celebrazione pubblica e comunitaria del culto, a manifestare la sua dimensione cosmica, già con l’orientamento della preghiera e dell’edificio stesso della chiesa verso Oriente. Rivolgersi a Oriente, direzione nella quale si osserva sorgere il sole, per la preghiera cristiana significa che il Redentore che adoriamo e preghiamo, è anche il Creatore del mondo fisico, chimico, biologico e umano, del cosmo che osserviamo e studiamo con le nostre scienze. E anche di quel completamento trascendente la cui esistenza, le scienze, in certo modo, esigono proprio con il loro impianto logico, che è in grado di dimostrare l’incompletezza del linguaggio simbolico che utilizzano nella formulazione delle loro teorie.
La liturgia cristiana, in particolare, riconosce nel cosmo anche il segno di Cristo che viene e incontro al quale noi andiamo quando celebriamo l’Eucaristia. Per questo l’“oriente liturgico”, nella chiesa, è stato indicato anche architettonicamente da una finestra o monofora absidale per guardare in alto il cielo, e figurativamente dalla croce mosaicata o dalla pala d’altare. Al cuore della concezione cattolica del culto, nella liturgia, sta poi la nozione di “sacramento”, che ne è l’espressione fondamentale: esso è un tutt’uno di gesto e parola, di “materia” e “informazione”. Il gesto nella sua materialità è il condensato di tutto il cosmo, che è materia nei vari stati, solido, liquido, aeriforme. E Dio è come Colui che, con le sue mani, “informa”, cioè letteralmente “dà forma” alla materia informe. Il gesto richiede una parola formante, una parola che “faccia quello che dice” («I sacramenti sono segni sensibili [parole e azioni], accessibili alla nostra attuale umanità. Essi realizzano in modo efficace la grazia che significano, mediante l'azione di Cristo e la potenza dello Spirito Santo», Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1084). E la parola è un fatto: il Verbo che si è fatto carne. Gesù Cristo ha agito attraverso la parola e il gesto, perciò di questi è costituito il sacramento: “materia” e “forma”, nel linguaggio della Scolastica medievale.
Così nel sacramento si concentrano la storia ed il cosmo. In che senso nella parola di Dio si raccoglie il cosmo? Dal gemito nascosto nel “senso religioso” proprio degli uomini di tutti i tempi, si è concretizzata la parola cosmica, eterna, che ha fatto il cosmo alla sua origine, e che entra in pieno nel sacramento: «Questo è il mio corpo… fate questo…» (Lc 22,19). Parola e gesto o materia e forma, cioè cosmo e storia entrano nel sacramento. Realmente nel sacramento sono presenti la storia e il cosmo e diventano “liturgia cosmica” entro cui essere condotti. Si capisce il senso dell’espressione «Gesù Cristo è centro del cosmo e della storia» (Redemptor hominis, n. 1), perché Egli è colui che ha redento, riscattato la storia e il cosmo: ecco nuovamente il sacramento nel binomio storia e cosmo, materia e forma, parola e gesto. La restaurazione dell’unità della creazione, dopo la caduta del peccato originale, avviene sullo scenario del cosmo e della storia. L’opera della salvezza non poteva non avvenire se non recuperando al suo interno cosmo e storia, profondamente segnate dal male, dalla divisione; questo riscatto costa sofferenza, per dirla con san Paolo, il cosmo, «la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,22). Poiché l’unità originaria era stata incrinata, interviene dentro questo processo la Trinità, ad immagine della quale era stata creata, originariamente, la realtà cosmica e storica. Nel sacramento è all’opera la Trinità. Tutto ciò che Cristo ha proclamato è parola contemporaneamente del Padre e dello Spirito. La forma, come del resto ogni gesto umano, è tesa a plasmare, salvare, tenere in vita e perfezionare: si tratta quindi di una perenne possibilità di creazione, di trasformazione, di redenzione, di un’opera continua e congiunta delle tre Persone divine.
Di fatto il cristianesimo compie, con perfetto equilibrio, l’anelito delle religioni, che oscillano tra una radicale immanenza ed un’assoluta interiorità. Dal rapporto con Dio non si può escludere la materia: «Nel sacramento, materia e parola sono una cosa sola e proprio in ciò consiste la sua peculiarità. Se il segno materiale esprime l’unità della creazione, la inclusione del cosmo nella religione, d’altra parte la parola significa introduzione del cosmo nella storia» (J. Ratzinger, Battesimo, fede e appartenenza alla Chiesa, “Communio”, 27 [1976], p. 25). E tutto questo lo scienziato credente può ben comprenderlo, ed ancora meglio apprezzarlo, grazie all’incontro, alla sintesi tra la conoscenza scientifica e la Rivelazione, così come gli è stata tramandata nell’alveo della storia della Chiesa.