Nella storia della scienza si incontrano talvolta dei personaggi tragici, il cui genio si accompagna ad una particolare condizione esistenziale; e uno di questi è senza dubbio il matematico Alan Mathison Turing (1912–1954). Considerato giustamente come uno dei padri dell’informatica, ha vissuto la sua breve esistenza battendosi da un lato contro i pregiudizi legati alla sua scomoda persona e dall’altro per poter esprimere a pieno il suo ardore per la scienza. Già dalle prime esperienze scolastiche si trovò in difficoltà con i suoi insegnanti perché poco propenso agli studi classici, che essi invece prediligevano, e più disponibile per le letture che trattavano delle più recenti scoperte scientifiche come la teoria della relatività o l’astrofisica. In questo periodo emerse in Turing anche una particolare curiosità per quelle che oggi chiameremmo “teoria dei giochi”, che a quel tempo concentrava la sua attenzione sul gioco matematico per eccellenza: gli scacchi. Entrato finalmente nel 1931 al King’s College dell’Università di Cambridge, poté dedicarsi finalmente a studi scientifici come quelli della recente meccanica quantistica, della logica, della matematica (in particolare del teorema di incompletezza di Gödel) e della teoria della probabilità. In quest’ultimo settore compì anche una delle sue prime conquiste dimostrando autonomamente il “teorema del limite centrale” relativo al modo di distribuzione delle variabili casuali.
Laureatosi col massimo dei voti, nel 1936 vinse lo Smith’s Prize, un premio che a Cambridge veniva un tempo assegnato ai due migliori studenti ricercatori in fisica e matematica. Pubblicò poi un articolo intitolato On computable number, with an application to the Entscheindungsproblem, che si può considerare a pieno titolo il primo abbozzo dell’idea di una macchina computazionale, ovvero della famosa “Macchina di Turing (abbreviata MdT)”. Durante la seconda guerra mondiale collaborò con i servizi di sicurezza inglesi per decifrare i codici usati nelle comunicazioni dai tedeschi e questa sua attività è nota al grande pubblico anche grazie al film Enigma, diretto dal regista Michael Apted e prodotto nientemeno che dal leader dei Rolling Stones Mick Jagger; film appunto liberamente ispirato alla vita di Alan Turing in questo particolare periodo. Proprio durante la fase delle attività legate alla guerra, il gruppo in cui lavorava il nostro matematico mise a punto un primo prototipo di macchina capace di decifrare rapidamente i codici nemici e chiaramente ispirata alle idee dello stesso Turing; macchina che si può considerare l’antesignana dei moderni computer.
Alla fine del conflitto mondiale Alan Turing continuò le sue ricerche e incominciò ad indirizzare i propri interessi verso quella che oggi definiamo “intelligenza artificiale”. Questo nuovo campo di indagine discendeva dai suoi recenti studi nel campo della neurologia e fisiologia, che lo condussero evidentemente a porsi il problema del rapporto che intercorre tra la mente umana e un computer. Frutto delle sue riflessioni è stato sicuramente l’articolo del 1950 intitolato Computing machinery and intelligence pubblicato sulla rivista Mind e divenuto immediatamente celebre per l’ipotesi in esso contenuta di un test per stabilire la capacità di pensiero di una macchina, oggi noto come “Test di Turing”. In questo modo il genere umano sfondava un’altra frontiera ed entrava nell’era in cui tra il cervello umano e la macchina le differenze si fanno sempre più sfumate, fino al punto che in alcuni campi, privilegio un tempo della sola mente umana, i computer superano l’uomo, come si è verificato di recente nello stesso gioco degli scacchi tanto amato dal giovane Turing. La vita del nostro scienziato si chiude purtroppo tristemente all’età di soli quarantuno anni con il suicidio: una perdita oggi indiscussa per la scienza e per la comunità umana.