“Noi abbiamo ereditato dai nostri antenati l’acuto desiderio di una conoscenza unificata, che comprenda tutto lo scibile”
(E. Schrödinger, What is life, 1944)
La possibilità di entrare in contatto con realtà diverse permette di comprendere meglio la propria, suscitando nuovi confronti ed un distacco dalle abituali categorie mentali (a volte troppo implicite e radicate per poter essere contestualizzate). Dopo aver trascorso poco più di un anno a fare ricerca scientifica in una delle grandi università degli Stati Uniti mi colpiscono alcuni elementi della cultura e del sistema educativo americani, avendo raccolto un certo numero di racconti diretti e avendo maturato alcune impressioni ed esperienze personali. Tra queste vi è la sensazione che vi sia una particolare propensione all’innovazione, non solo scientifica e tecnologica ma anche culturale, che si esprime, tra l’altro, con una singolare apertura a superare gli ambiti disciplinari canonici.
La prospettiva interdisciplinare rappresenta un via impegnativa ed, a volte, sfuggente, che però può permettere di fare un passo indietro rispetto al dettaglio specialistico e vedere questo in un panorama più vasto, spesso più ricco di significato. Il nostro sistema educativo, specialmente il sistema universitario italiano, non aiuta probabilmente a fare questo cambiamento di prospettiva in modo dinamico, per passare da una conoscenza specialistica dettagliata a una riflessione con maggiore profondità di campo e vice versa. È evidente che l’aumentare della quantità e del dettaglio della conoscenza nelle diverse discipline nel corso della storia necessita di una sempre più lunga e sempre più specializzata educazione. Ma, nonostante gli storici pregi delle nostre scuole e dei nostri licei nel dare un’educazione di base diversificata e approfondita enormemente più che in tanti altri paesi, inclusi gli Stati Uniti, una certa separazione tra ambiti disciplinari si è consolidata negli ultimi decenni nel nostro Paese, specialmente tra cultura umanistica e quella scientifica.
Perciò mi stupisce percepire, qui in America, un’estrema flessibilità nella scelta dei campi di studio durante l’educazione universitaria e nei percorsi professionali. Che idea potreste avere se sapeste che un vostro amico decidesse, dopo una laurea in filosofia, di diventare medico? Cosa pensereste se un neo-laureato in storia si proponesse di diventare un ricercatore in epidemiologia o iniziasse invece a collaborare con una società di informatica? O di un neo-laureato in fisica che cercasse un posto per iniziare a studiare l’origine della vita da un punto di vista biomolecolare, storico e filosofico? O non vi aspettereste di trovare difficoltà se, essendovi laureati in studi teologici, voleste cercare lavoro in aziende private? Io credo che la maggior parte di noi nel nostro contesto italiano quotidiano potrebbe considerare delle scelte simili come avventate, se non incoerenti o assolutamente insensate e improduttive. Questi sono invece solo alcuni esempi di storie che mi è capitato personalmente di ascoltare qui a Chicago da persone che, con creatività e coraggio ma anche con ragioni ben ponderate, hanno scelto percorsi a prima vista poco canonici.
Sicuramente il sistema educativo qui è diverso. Nella nostra tradizione sono le scuole (soprattutto le scuole superiori) ad essere il luogo deputato a fornire una cultura generale, diversificata ed integrata nelle diverse discipline. In poche parole, a formare le basi della cultura personale. Al contrario, da un giovane maggiorenne ci si aspetta che inizi ad intraprendere una strada formativa coerente, finalizzata a porre delle solide basi per una cultura specifica o, comunque, strettamente correlata al proprio settore d’interesse. Se, ad esempio, si vuole puntare al business, si sceglierà probabilmente di cominciare da studi economici e non da una scienza di base come l’astrofisica. Allo stesso tempo, tradizionalmente il sistema universitario cerca di dare un’ampia preparazione in varie discipline correlate: chi studia biologia molecolare avrà probabilmente qualche corso generale anche in campo ambientale oltre che in campo biomedico e biomolecolare. Questo approccio dà sicuramente agli studenti una vasta cultura nel campo e una visione ampia e contestualizzata della materia. E questo rappresenta un vantaggio notevole per una persona che è riuscita ad ottenere una buona qualità di educazione. Un vantaggio nella vita personale, perché si troverà con delle categorie mentali e con delle coordinate concettuali già dal liceo che lo aiuteranno ad orientarsi nella società e nella vita. Costituisce anche un vantaggio sul livello professionale, perché è esperienza vissuta non di rado che gli studenti italiani talentuosi, quando hanno avuto la possibilità di avere una buona formazione universitaria nel solco di questa tradizione, hanno una visione ampia nel proprio campo riuscendo a competere con successo al livello internazionale. Allo stesso tempo però questo sistema può dar poco facilmente la possibilità di affrontare in maniera avanzata discipline molto diverse o, almeno, di conoscerne gli approcci metodologici, oltre a mettere in difficoltà molti ragazzi con la necessità di dover scegliere la strada educativa e professionale da intraprendere ancora in giovane età, dando poi una scarsa flessibilità per cambiare indirizzo. Infatti, mi sembra esperienza comune che in Italia grosse deviazioni dalle strade prestabilite siano, di fatto, un’eccezione. È difficile dire quanto questo sia dovuto ad un fattore socio-culturale e quanto ad una carenza di mezzi che promuovano scelte più creative e guidino e supportino scelte originali.
Qui negli Stati Uniti, invece, non mi capita di rado di ascoltare storie di percorsi didattici e lavorativi con apparentemente uno o più passaggi da una disciplina ad un’altra. Espressione di questo è che, per quanto riguarda la diversità di discipline affrontate, un’opportunità simile a quella dell’esperienza scolastica italiana sembra essere fornita negli Stati Uniti nel loro primo ciclo di studi, il college, almeno in alcune università di più alta qualità tra gli innumerevoli istituti in questo vasto paese. Questo approccio formativo prevede una cross-contaminazione con corsi scientifici (come analisi matematica, biologia e altri) per chi affronta studi umanistici e, vice-versa, corsi di scienze umanistiche (come sociologia) per chi ha un indirizzo scientifico. Inoltre, dopo il conseguimento di un titolo universitario in un certo campo, si ha la possibilità di continuare gli studi in un campo anche molto diverso, come nelle storie sopra citate.
Mi colpisce in particolare il caratteristico stile pragmatico che viene applicato agli approcci formativi: sono numerose le possibilità di esperienza tecnica, ad esempio, per gli studenti di materie scientifiche. Inoltre, in corsi più di carattere culturale, ci si esercita a mettere in pratica i concetti, i metodi d’indagine e di ragionamento in tesine o proposte di progetti. Questo approccio mi sembra particolarmente interessante in un contesto di formazione interdisciplinare: venire a contatto con i principi metodologici di base che si usano, oltre che nel proprio ambito, anche in campi del tutto diversi, può, ad esempio, contribuire all’acquisizione di una versatile gamma di “criteri di verità” o modelli da usare come modelli per verificare le proprie e altrui idee sul reale. Ma ancora prima può aiutare a prendere consapevolezza della specificità degli strumenti d’indagine necessari per i diversi approcci di conoscenza, e, di conseguenza, della contestualizzazione di ciascuno di essi.
Certo è ragionevole la preoccupazione che, con un percorso di questo tipo, si possa correre il rischio di cadere nella superficialità o nella frammentarietà, o che, in mancanza della possibilità di accedere ai percorsi formati più di eccellenza, possa essere difficile acquisire le informazioni culturali e gli strumenti intellettuali di base importanti per la vita. L’America è infatti nota per avere, insieme alle personalità più di spicco al livello mondiale in molti campi, anche una popolazione che non brilla per il suo spessore culturale. Probabilmente quindi il rischio è reale, ed è frutto forse anche del connaturato ottimismo ed entusiasmo americano. Un ottimismo che può sembrare semplicistico e ingenuo agli occhi di noi Europei, ma che, nei fatti, sembra dare l’impulso necessario per lanciarsi in imprese coraggiose dove poter riuscire anche grazie ad un contesto che dà i giusti strumenti di crescita e una adeguata supervisione. Un contesto che fornisca servizi e supervisione qualificata ed efficiente, e che sia animato da fiducia nei giovani e nel futuro, può quindi essere uno degli elementi che aiuta qui ad affrontare il “salto” disciplinare con la necessaria serietà e in maniera feconda, producendo dei profili di vero spessore. Profili meno ordinari sembrano essere molto apprezzati sia in ambiente accademico, dove l’elasticità intellettuale e la capacità di acquisire nuove conoscenze sono chiaramente un valore, sia in alcuni ambiti lavorativi statunitensi, dove una personalità originale può portare su problemi specifici del settore una prospettiva nuova.
È possibile che questa “apertura interdisciplinare” sia correlata con l’intrinseco spirito pionieristico della cultura americana, o con la sua naturale propensione verso l’innovazione e verso il futuro, essendo una cultura storicamente meno legata e, allo stesso tempo, meno appesantita da una storia lunga e una cultura etnicamente ben definita. Queste, sebbene costituiscano, per le popolazioni che le possiedono, una fonte culturale d’inestimabile valore (che sembra essere altamente invidiato oltreoceano sia nel mondo culturale che nell’opinione comune), possono rappresentare un’eredità che, radicando al passato, influenza il presente ed il futuro in modo sostanziale. Probabilmente questa elasticità culturale è anche facilitata da una maggiore disponibilità di risorse e da un’organizzazione più efficiente, insieme ad una massa critica di eccellenze che, in un paese così vasto (seppur con molte disparità) creano un ambiente favorevole all’interdisciplinarietà.
Mi sembra che questa attitudine, sebbene con dei limiti evidenti, possa essere un bell’esempio di apertura ad una prospettiva di interdisciplinarietà. Per poter spaziare in ambiti diversi è necessario un impiego di energie, facilitato da strutture e mezzi adeguati e da una cultura aperta al nuovo e fiduciosa nei cambiamenti. Ma mi sembra anche evidente la potenziale ricchezza che può fornire una tale apertura, non solo dal punto di vista professionale ma anche nella propria esperienza di esseri umani. La commistione di approcci intellettuali e di metodi d’indagine differenti può, infatti, fornire i mezzi necessari alla risoluzione di problemi diversi o a rispondere alle proprie domande personali che, tipicamente, hanno come oggetto realtà complesse che hanno bisogno di essere osservate sotto molti punti di vista. Le stesse grandi domande sull’Uomo e sull’esistenza, non potendo prescindere dal contesto naturale, storico e sociale (ora più che mai impregnato di tecnologia e cultura scientifica) rappresentano forse tra i migliori esempi.