Fra scienza e fantascienza: perché guardare lontano fa bene

Antonio Scacco
Direttore di Future Shock, rivista di fantascienza http://www.futureshock-online.info

La vita dell'uomo sulla faccia del nostro pianeta è stata segnata, fin dalla notte dei tempi, da miserie e sofferenze, come osservava il personaggio biblico Giobbe: «L'uomo nato di donna, ha vita breve, ed è pieno di molte miserie» (Gb 14,1). Non sono, dunque, una novità le calamità di ordine economico, sanitario, meteorologico, demografico, ecc. che, ai nostri giorni, si abbattono sulla nostra civiltà. Ma, come in passato, di fronte alle difficoltà l'umanità non si è mai arresa, né ha nascosto la testa nella polvere, altrettanto deve fare oggi.

Come quotidianamente i mass media non si stancano di informarci, gravi problemi offuscano la vita individuale e collettiva della nostra società: la spinosa questione dei cambiamenti climatici, i grandi flussi immigratori, l'angosciosa situazione di tanti giovani senza lavoro, il terrorismo, ecc. Con quali strumenti affrontarli? Uno è quello classico della simulazione mentale. Qui, sta la differenza tra l'uomo e l'animale. Questi affronta i pericoli, quando li vede spuntare all'orizzonte; l'uomo, invece, li può prevedere e affrontare con la sua intelligenza e immaginazione. Un altro strumento è quello della scienza, di cui l'uomo del passato non poteva disporre. Esistevano, allora, uomini d'ingegno, filosofi, matematici, astronomi, ma il sapere era confinato nell'episteme e non era calato nella praxis. La tecnologia vera e propria non era ancora nata e il lavoro manuale era considerato roba da schiavi. Con l'avvento della rivoluzione scientifica galileiana, la scienza è diventata parte integrante del bagaglio culturale dell'uomo moderno. Ad essa deve far ricorso l'homo technologicus, per risolvere i suoi problemi, senza però tralasciare il metodo della simulazione mentale.

La palestra ideale, che abbina i due suddetti strumenti ed è in grado di addestrare il singolo e la collettività ad affrontare il futuro, è la narrativa di fantascienza o, meglio, quanto viene oggi indicato nel mondo anglosassone con il termine science fiction. Disprezzata spesso dai critici togati, fino ad essere definita in passato da qualcuno come «il più recente e il più proliferante cancro che insidi i nostri acerbi lettori», la fantascienza svolge in realtà un ruolo ammonitorio da non sottovalutare nei riguardi dei problemi suscitati dalla scienza. Vediamone alcuni esempi.

 a) Il lavoro. Nella società del futuro ipotizzata da Kurt Vonnegut in Distruggete le macchine (1952), il lavoro è interamente automatizzato e agli esseri umani, per sottrarsi alla noia di un'inoperosità forzata, non resta che dedicarsi ad attività puramente fittizie;

b) La politica. Nel romanzo di Damon Knight, Fabbricanti di schiavi (1959), il concetto di democrazia viene del tutto vanificato dall'invenzione del “Gismo”, un meccanismo capace di duplicare oggetti e uomini in tutto simili agli originali, che secondo il suo inventore avrebbe dovuto assicurare libertà e uguaglianza al genere umano, che invece crea una società feudale basata sulla schiavitù;

c) Il degrado urbano. In una piccola città industriale del prossimo futuro, immaginata da Michel Grimaud nel romanzo La città senza sole (1973), la convivenza civile è minacciata, oltre che da una pesante cappa inquinata, anche dal deteriorarsi dei rapporti umani;

d) La religione. Che cosa ci può essere di più sconvolgente per l'uomo del fatto che la scienza intacchi le radici della fede e l'immortalità spirituale sia soppiantata da quella meramente fisica? È la situazione descritta con maestria da Clifford D. Simak in Infinito (1967). Seguendo la trama di questo romanzo, nel 2148, l'umanità è alle soglie di un avvenimento straordinario: il conseguimento dell'immortalità grazie alla scienza. La fede nella vita ultraterrena è abbandonata come retaggio di antiche superstizioni, e gli esseri umani si trasformano in tanti arpagoni per assicurarsi, dopo il necessario periodo di ibernazione, il benessere materiale nella seconda vita.

Fra gli scenari appena ricordati, il romanzo di Simak merita qualche riflessione in più. L’Autore focalizza il problema fondamentale del nostro tempo: la vanificazione del destino trascendente dell'uomo e l'emarginazione della religione. La causa princeps è da attribuirsi alla scienza, che è certamente un fattore di umanizzazione, ma da sola non basta ad umanizzare l'uomo. Senza la fede in un destino eterno, neanche la scienza potrà esplicitare tutte le sue potenzialità positive; rischia, anzi, quel grave cortocircuito che va sotto il nome di scientismo, secondo cui non esiste altra realtà se non quella quantificabile e misurabile e l'unica conoscenza certa e sicura è quella di tipo scientifico-sperimentale, emarginando le altre forme di conoscenza: filosofica, teologica, estetica. Scrive al riguardo il filosofo-scienziato Enrico Cantore nel suo saggio L'uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza (1977): «Poiché la scienza è umanistica, molti tendono spontaneamente a identificarla con l'umanesimo stesso. Ma è una identificazione che può solo condurre al disastro – sia per l'umanesimo che per la scienza. In realtà, è difficile che una dottrina completa dell'uomo che si regga esclusivamente sulla scienza possa evitare di alimentare quell'ideologia antiumanistica e antiscinetifica che abbiamo definito tecnicismo scientistico».

Purtroppo, dal virus dello scientismo è affetta anche molta fantascienza; ciononostante, essa rimane uno strumento molto valido per creare, nel lettore, quelle pressioni psicologiche e quegli stimoli culturali, tanto necessari nel momento attuale. «Invece di deridere – scriveva Alvin Toffler nel suo famoso saggio degli anni Settanta Lo choc del futuro – il contemplatore della sfera di cristallo, dobbiamo incoraggiare la gente, dalla fanciullezza in poi, a speculare liberamente, anche fantasiosamente, non soltanto su ciò che ha in serbo per noi la prossima settimana, ma su ciò che la prossima generazione ha in serbo per l'intero genere umano. Offriamo ai nostri figli corsi di storia; perché non dovremmo offrir loro anche corsi di futuro? Non possiamo avvalerci, in questi corsi, di una letteratura del futuro, ma disponiamo di una letteratura sul futuro, consistente non soltanto nelle grandi utopie ma anche nella fantascienza contemporanea».

Alle parole del sociologo americano sembra far eco il romanzo Neanche gli dei (1972) di Isaac Asimov, dove viene esaltata la capacità della scienza di risolvere i problemi che nascono dal suo uso e, nel contempo, viene stigmatizzata la grettezza di certi scienziati che, per tornaconto personale, respingono le verità più lampanti, o il cinismo di quei politici che, pur di conservare il potere, tendono più ad assecondare le richieste – anche se controproducenti – delle masse, che a migliorare la società. Nella storia narrata dal “good doctor”, una “pompa” elettronica trasferisce l'energia del sole dal nostro universo ad un pianeta di un universo parallelo, il cui sole sta morendo. Ben presto, ci si accorge che questo trasferimento di energia mette in grande pericolo la Terra. Tuttavia, la “pompa” elettronica non viene disattivata, ma compensata con un diverso tipo di “pompa”, quella positronica, che ne elimina gli effetti negativi.

Il problema, cioè, non è cancellare o ignorare scoperte e invenzioni, ma di rendere la loro utilizzazione non rischiosa per gli uomini e la collettività. Rimane, però, aperto l'interrogativo: come potrà l'uomo utilizzare in modo ottimale la scienza, se la religione viene relegata in un cantuccio o, addirittura, calpestata e perseguitata?