Il 10 giugno 1861 nasceva, a Parigi, Pierre Duhem (1861-1916). Il suo nome è ben noto ai fisici come agli storici e ai filosofi della scienza, in quanto i suoi lavori hanno avuto un carattere rigorosamente scientifico e al contempo un’ampiezza interdisciplinare che, oggi, potremmo definire davvero pionieristica e in un certo qual modo anticipatrice dei tempi. Ritroviamo nei suoi scritti – che non mancarono di essere influenzati da grandi pensatori moderni come Pascal, ma anche dagli antichi come Aristotele e dai medioevali come Tommaso d’Aquino – delle intuizioni metodologiche che saranno più tardi concretamente sviluppate da Einstein e addirittura dai teorici della “complessità”.
Innanzitutto Duhem è stato uno “scienziato credente” e tale si è professato esplicitamente, perché è stato un “uomo credente” che ha vissuto, pensato e lavorato da credente nel pieno rispetto degli statuti e dei metodi delle varie discipline di cui si è occupato. Egli stesso ha teorizzato quella che oggi chiamiamo l’«autonomia relativa» delle discipline scientifiche, filosofiche e teologiche, senza tuttavia farne un assoluto che giungesse fino a contrapporle.
Egli ha avuto, in più, la capacità di elaborare una visione sintetica del mondo che, illuminata dalla fede e dall’insegnamento della Chiesa cattolica ha saputo farsi sapienziale ed esperienziale, ben al di là di ogni riduzione fideistica o moralistica. Una testimonianza preziosa anche per gli scienziati credenti e gli intellettuali, allenati ad un uso serio della ragione, dei nostri giorni.
Come egli stesso ha scritto di sé: «Certo, io credo pienamente nelle verità rivelateci da Dio e trasmesseci dalla sua Chiesa, non ho mai nascosto la mia fede e Colui nel quale la ripongo mi salvaguarderà, lo spero nel profondo del cuore, dall’arrossirne. In questo senso è lecito affermare che la fisica da me professata è quella di un credente» (La teoria fisica, Bologna, 1978, p. 308) e non è per questo meno scientifica!
Il suo nome è noto, poi, come quello di un autore di riferimento per la storiografia della scienza. A differenza di quanto è accaduto in altri campi del pensiero (soprattutto quello filosofico) – nei quali ci si è rivolti alla “storia delle discipline” principalmente quando veniva meno una sintesi di riferimento ritenuta valida, e un certo “relativismo” faceva considerare come equivalenti le visioni proposte dai più diversi autori, Duhem, piuttosto “si è messo alla scuola” della storia della scienza per cogliere le verità permanenti in essa, disseminate nel tempo, e la maturazione graduale della loro comprensione, e per correggere quelle ingenuità ed errori filosofici che possono verificarsi lungo il cammino della ricerca: «Ogni volta che lo spirito del fisico è sul punto di cadere in qualche eccesso, lo studio della storia lo raddrizza offrendogli una correzione appropriata» (La théorie physique, son objet, sa structure, parte II, cap. IV, §III, tr. mia).
Egli ha riconosciuto nella storia del pensiero scientifico un progressivo e “continuo” svilupparsi del pensiero e della ricerca della verità, cogliendo elementi preziosi nella scienza di Aristotele e in quella dei medioevali – come Tommaso d’Aquino, Buridano e non solo – che, soprattutto grazie alla visione cristiana hanno ricercato una comprensione unitaria dell’universo che ha avuto origine dall’unico Creatore. Così ha potuto riconoscere nella logica e nella metafisica greca e medioevale, da lui stimate come autentiche scienze, i principi fondativi di ogni sapere rigoroso e scientifico: «Appartiene alla metafisica dar ragione dei fondamenti, evidenti per se stessi, sui quali riposa la fisica» (Physique et métaphysique, “Revue des questions scientifiques”, vol. 34 [1893], p. 64).
Per questa idea di progressiva continuità, una buona parte della storiografia della scienza recente – guidata da una concezione “dialettica” della storia e del pensiero che ha sottolineato le “discontinuità” e le rotture epistemologiche (ad es. Bachelard, Koyré, Kuhn, Feyerabend, ecc.) – lo ha spesso criticato come un “continuista” e un “positivista”, dovendosi poi, almeno in parte, ricredere sulla tesi della completa discontinuità e incommensurabilità tra le teorie scientifiche moderne e quelle antiche (ad es. Lakatos e altri). Taluni, ancora, lo hanno sbrigativamente accomunato ai “convenzionalisti” del suo tempo accostandolo tout court a Mach, Poincaré e ad altri autori che seguivano quell’epistemologia.
Dalla metodologia delle scienze antiche Duhem ha, invece, appreso la necessità, per il bene e il progresso stesso della scienza, di andare oltre un certo “strumentalismo covenzionalista” e un “induttivismo empirista” troppo frammentario. Una buona teoria doveva essere guidata anche da una “logica di unificazione”, basata su principi di coerenza e ordine globale (qualcuno a parlato, in proposito, di una sorta di “olismo” in Duhem), che precedono e di per sé non necessitano della modellistica dei meccanismi interni ai processi. Un singolo esperimento, considerato talvolta come “cruciale” non è per lui sufficiente ad invalidare un’intera teoria, ma quest’ultima va testata nel suo complesso. Duhem non avrebbe mai accolto un falsificazionismo alla Popper!
Come fisico il suo nome ci riporta innanzitutto alla termodinamica (nell’ambito della quale una famosa diseguaglianza di Clausius-Duhem è associata anche al suo nome, oltre al concetto fondamentale di “potenziale termodinamico”), un settore della fisica che al suo tempo ebbe un maturo sviluppo anche grazie al suo contributo teorico e metodologico. La termodinamica, come del resto tutta la fisica, della quale essa era da lui ritenuta la teoria modello, non doveva ridursi al “meccanicismo microscopico” della teoria cinetica e della meccanica statistica, ma doveva essere una “teoria macroscopica” basata su principi universali, indipendenti dalla meccanica e dai modelli. Questi ultimi, eventualmente, ma non necessariamente, si sarebbero potuti elaborare a fianco di essa. E in effetti è così che la termodinamica è stata sviluppata ed è maturata – grazie anche al contributo di Duhem – ed ha attraversato, indenne, quelle crisi della meccanica newtoniana che hanno visto nascere e svilupparsi le teorie della relatività e la meccanica quantistica. Queste ultime, modificando le leggi della meccanica, hanno imposto una revisione della teoria cinetica e della meccanica statistica, piuttosto che dei principi della termodinamica.
L’esigenza di un superamento del meccanicismo – che ha orientato Duhem verso l’“energetismo” (in opposizione al materialismo), che pure poi è stato superato come inadeguato – e l’esigenza di una unificazione della fisica basata su principi logici universali, la ritroveremo più tardi nella metodologia che ha guidato Einstein (ispiratosi anche a Mach) verso la teoria della relatività generale e il tentativo di mettere a punto una teoria unificata dei campi che a tutt’oggi guida la ricerca. La fisica del secolo successivo a Duhem ha effettivamente seguito la strada di un potenziamento del ruolo della logica e della matematica, da lui adombrata, in vista del raggiungimento di una visione unitaria e sintetica che non si limita alla predizione strumentale di eventi e misure legate a fenomeni particolari, quasi staccati da tutto il resto, ma considera le osservazioni e la teoria nel loro complesso.
Ai nostri giorni i nuovi problemi della complessità in ambito fisico-biologico e l’indagine sui fondamenti delle discipline logico-matematiche, anche grazie allo sviluppo delle scienze informatiche e cognitive, hanno reso ancora più rilevante l’indirizzo metodologico che Duhem aveva saputo individuare. Il suo atteggiamento verso la storia del pensiero metafisico e verso la scienza antica e medioevale, alla ricerca di quelle verità fondative che sono permanenti e indispensabili anche per il progresso delle nostre scienze attuali, fa risaltare ancora di più il valore del metodo e del modo di porsi di questo grande studioso della storia del pensiero scientifico, attivo protagonista della scienza e uomo dalla fede convinta.