Chi sta leggendo questo editoriale probabilmente l'ha trovato casualmente cercando qualche parola o frase con un motore di ricerca. Non sa se è di suo interesse, ma dà un'occhiata rapida prima di scartarlo. Per quanti altri documenti dovrà fare lo stesso prima di arrivare a quello che cerca veramente? Quanto tempo dedicherà a questa impresa? Prima dell'agognato documento ne avrà letti altri simili o dissimili, pertinenti o non pertinenti, negativi o positivi, le cui idee gli resteranno in testa aggiungendosi al proprio patrimonio di conoscenze.
Questo processo può essere considerato un arricchimento per una persona adulta, dotata di senso critico e una sufficiente cultura. Il bambino, il giovane inesperto o la persona con poca formazione intellettuale lascerà brandelli di cervello nel districarsi dal roveto dei risultati. Avrà le idee confuse, forse non arriverà in tempo alla meta, stancandosi prima del tempo oppure si fermerà su qualcosa di diverso da ciò che cercava, attirato dallo specchietto delle allodole di un contenuto accattivante, magari multimediale.
Tutto questo perché il processo di ricerca via Internet non è uno strumento educativo di per sé. Richiede una formazione specifica che non è ancora entrata nel piano di studi scolastico o nella cultura familiare. Alcuni anni fa inventai un nuovo modulo didattico per corsi post-diploma e lo chiamai "Metodologia dell'autoaggiornamento". Ebbe successo ed è stato replicato da più parti e in varie occasioni. L'obiettivo era ed è insegnare a tenersi aggiornati professionalmente utilizzando tutte le risorse disponibili: da quelle tradizionali come le biblioteche e le riviste, a quelle innovative come Internet e la posta elettronica. Sento ora la necessità di un nuovo modulo didattico: la “Metodologia dell'educazione via Internet”.
Il paradigma attuale del WWW segue gli ideali del suo fondatore, Tim Berners-Lee: condivisione di risorse informative con la massima libertà. Quello che però non voleva Berners-Lee era che l'informazione fosse ristretta a pochi che la impongono a tutti: avrebbe preferito un web più creativo in cui tutti partecipano alla scrittura e non solo alla lettura. Non per nulla il suo browser era inizialmente uno strumento di edizione di testi oltre che di visualizzazione (un consiglio: leggete l'interessantissima storia della nascita del www nel suo libro L’architettura del nuovo web, Feltrinelli, Milano 2001). Bella idea, nata in ambito universitario e di ricerca dove gli obiettivi sono piuttosto chiari: trovare soluzioni a problemi vecchi e nuovi con il massimo rigore metodologico. Poco spazio per le chiacchiere e nessuno per i contenuti devianti.
La realtà è diversa: siamo spettatori passivi di contenuti eterogenei che comprendono una buona fetta di pornografia, violenza, devianze, razzismi, e altre espressioni delle nefaste conseguenze di quanto noi credenti chiamiamo peccato originale. Nelle ricerche non è difficile imbattersi in trappole costruite da affaristi che ottengono di risultare pertinenti anche quando si cercano parole diverse da “sesso” e “viagra”. Si è costretti a impostare filtri protettivi che dovrebbero evitare alcuni contenuti negativi. La loro efficacia è variabile e nessuno garantisce totalmente la protezione: c'è quello che blocca il Vangelo perché parla di prostitute e quello che considera accettabile il cosiddetto “soft-porn”.
Che relazione ha tutto ciò con il rapporto scienza-fede? Sia la scienza che la fede hanno bisogno di educazione. La fede ha una componente essenziale soprannaturale (la grazia), ma se non la si coltiva, affievolisce. Non per nulla prima di battezzare un adulto gli si insegna il catechismo; ai bambini si costruisce un percorso formativo per la ricezione dei sacramenti.
La scienza non ha senso senza un processo educativo rigoroso. Per la geometria si parte dai postulati di Euclide e si arriva, se si vuole, a Riemann e ai tensori: ma ci vogliono anni di studio. Non si dà al bambino di sei anni la relatività generale tutta d'un colpo. Nella casa di una famiglia normale ci saranno quindi i libri di testo di geometria elementare a disposizione dei figli e saranno arricchiti, con il tempo, da altri di maggiore complessità. Un papà sano di mente non comprerà al figlio (normale) di nove anni il Landau-Lifshitz di meccanica, per quanto questo sia un libro eccezionalmente valido (soprattutto per chi ne sa già di meccanica razionale).
Invece, su Internet, ci comportiamo diversamente. Diamo a tutti tutto, salvo tentare a volte di arginare quello che non ci piace o pensiamo possa fare danno. Magari lasciamo pure i bambini da soli con il rischio che inizi una chat con un pedofilo. Pensiamo che aprendogli il sito della Disney restino lì a giocare: è la stessa illusione di chi abbandona il bimbo sull'altalena nel parco pubblico e dimentica che c'è una strada vicina con un interessante negozio di caramelle dall'altra parte. Il traffico è intenso ma il bimbo non ne conosce la pericolosità: le conseguenze possono essere letali.
Su Internet non si pensa a questi scenari: si sostiene che è educativo poter cercare qualsiasi cosa con libertà: non avere limiti agli ipertesti sembra sviluppare la creatività. Saltando però di palo in frasca si cade spesso dall'albero facendosi molto male.
Un ragionamento fallace analogo a questo è tipico di quei genitori che non vogliono educare i propri figli nella loro fede perché preferiscono lasciare loro la scelta della religione in età matura. A parte l'ovvia considerazione che un tale genitore non dimostra molta solidità di fede, sembra di vedere un papà che chiede al figlio: da quale geometria vuoi iniziare, da quella di Euclide o di Riemann?
Il genitore saggio dà ai propri figli il meglio che ha: la propria fede e la propria scienza. Non è capace di esaurire da solo il processo educativo dei figli e, per il principio di sussidiarietà, si rivolge alla parrocchia e alla scuola per il completamento dei due ambiti. Sceglie un percorso educativo, con fonti certe e trasmissione graduale.
Questo atteggiamento deve essere trasferito all'approccio con Internet. Terminata la fase di infatuazione per la novità, bisogna dettarne le regole del gioco per un sano uso familiare. L'approccio più corretto è un ribaltamento del paradigma corrente. Non dare più l'accesso a tutto Internet, tranne quello che non va bene (da filtrare, se ci si riesce), ma selezionare risorse affidabili e utili, tarate sul destinatario, bambino o adolescente. È il sistema della "biblioteca di casa" o walled garden, dove si trovano solo i libri che ho comprato o che mi hanno regalato, dei quali conosco il contenuto e quanto sono appropriati per i miei figli. Non metto in casa la Biblioteca Nazionale e poi chiudo sotto chiave tutto ciò che non è opportuno per i bambini.
Trovo parecchia resistenza a far accettare questo modello, soprattutto da parte di chi conosce meglio Internet. Nonostante questi “esperti” siano sempre più consapevoli dei pericoli della rete (i pedofili sono solo la punta dell'iceberg, ma fanno notizia), non vogliono rinunciare alla bellezza della navigazione senza limiti. Si lanciano nell'oceano e possono essere travolti dalla tempesta se non sono attrezzati ed esperti. Ma chi corre maggiori rischi sono proprio quelli che conoscono meno Internet: si lasciano facilmente irretire dalle sirene della libertà di conoscenza e si avventurano per i mari senza nessuna capacità di navigazione.
È quindi chiaro che abbiamo bisogno di formazione all’uso corretto di Internet e non di semplici corsi per "usare il browser". Non basta saper usare la vela per tentare una traversata atlantica solitaria: ci vogliono altre competenze, dalla meteorologia all'astronomia, tanto per citarne alcune.
Altrimenti anche la scienza e la fede ne soffriranno, perché sempre più gente farà di Internet la propria fonte privilegiata e, non sapendo selezionare con criterio, imparerà male. Quando ero bambino si usava affermare: “L’ha detto la TV” per dare credibilità a una notizia. Ora si dice: “L’ho trovato su Internet”. Ma è una scoperta, in buona parte dei casi, senza fondamento.