La natura e la regola. Alle radici del pensiero

Il saggio, suggerito e guidato da Odile Jacob (La nature e la règle, 1998), è strutturato come dialogo a due voci tra un maestro delle neuroscienze e "scienziato praticante", Jean-Pierre Changeux (1936), professore al Collège de France e membro dell'Académie des sciences, direttore del laboratorio di neurobiologia molecolare dell'Institut Pasteur, e il noto filosofo Paul Ricoeur (1913-2005), professore emerito all'università di Chicago e onorario all'università di Paris X. Tema del dibattito è l'uomo e il rapporto tra le sue componenti biologica e "culturale", e la relazione tra il "desiderio" (e la componente naturale dell'uomo) e la "norma", che la via civile necessita e stabilisce, fattori che tutti incidono sul suo comportamento morale ed etico e che dunque determinano la vita sociale nel suo sviluppo storico, politico e religioso. Dalla filosofia dei presocratici fino ai moderni (Spinoza, Cartesio, Kant, ecc.) il tema è stato uno dei punti cardine della riflessione fino ad oggi, momento in cui le ricerche scientifiche hanno portato scoperte ed elementi nuovi su cui la filosofia della mente e le scienze cognitive hanno concentrato i propri studi e formulato nuove teorie (si pensi anche a L'Io e il suo cervello, frutto della collaborazione tra K.R. Popper e J. Eccles). Le domande fondamentali che emergono nei primi quattro capitoli sono particolarmente attuali: esiste una mente distinta dal cervello, suo hardware? Il mentale, con tutto il suo sconfinato ambito costituito dalle sensazioni, dalle emozioni, dalla memoria e dalla coscienza, dalla creatività, dall'intelligenza e dall'intuizione di ciascuno, è riducibile ai suoi processi neurofisiologici? Se sì, come e quali potrebbero essere le implicazioni filosofiche e le conseguenze sul piano socio-culturale? L'"incontro necessario", come è intitolato il capitolo introduttivo, tra le due diverse descrizioni dell'organismo umano e in particolare del rapporto corpo-mente, e in più generale tra spirito e materia, dà origine ad un confronto aperto e vivace in cui il lettore, con una buona formazione di base alle spalle, è sollecitato ad entrare seguendo il botta e risposta, perseguito con l'intento di ricercare un discorso comune che possa porre le basi di un'etica naturale universale, in una visione unitaria che tenga conto della componente scientifica odierna. Negli ultimi tre dei sette capitoli, i due protagonisti cercano di vedere come e se, guardando anche alla storia biologica e culturale, sia possibile conciliare la componente "naturale" biologica umana e il suo equipaggiamento genetico con la definizione di una morale, di regole e norme di condotta che possano avere un ruolo edificante e un valore universale anche nei conflitti culturali, politici, sociali e religiosi. La conclusione su cui si ritrovano i due autori è che l'arte può rivelarsi un utile strumento per la sua funzione riconciliatrice, in quanto «la dimensione estetica — afferma lo scienziato — offre mezzi semplici di riunire, religare, senza correre i rischi che comportano i discorsi dogmatici» (p. 307) anche, se, continua il filosofo, «c'è molta poca considerazione per la bellezza. Penso anche alla bellezza del mondo, che il dispiegamento del "ventaglio del vivente" può di nuovo aiutare a celebrare. Celebriamo dunque la bellezza del mondo!» (p. 314). Certamente il dialogo, a tratti appassionante, lascia molte questioni aperte e concetti e problemi appena delineati. Tuttavia, il testo può essere un punto di partenza aggiornato e uno stimolo per approfondire e comprendere la profondità del tema; gli autori stessi scrivono nell'ultima pagina che «se soltanto contribuirà a suscitare una maggior riflessione nel contesto di uno scambio sincero tra scienze biologiche e scienze umane e sociali, questo dialogo avrà svolto un ruolo» (p. 315).