Gerald M. Edelman è direttore del Neurosciences Institute di San Diego e presidente del Dipartimento di Neurobiologia presso lo Scripps Research Institute di La Jolla (California). Nel 1972 ha ricevuto il premio Nobel per la fisiologia e la medicina. In questa opera l’A. comincia col riflettere sulla capacità dell’essere umano di creare opere d’arte, sistemi filosofici e scientifici, componimenti musicali o letterari, riflettere su una dimensione oltre la vita. Tutto questo universo umano viene chiamato dall’A. “seconda natura” ed è ciò che la scienza trova difficile da spiegare in termini riduzionistici. Le considerazioni di Edelman partono da questa constatazione. “Se la descrizione scientifica del mondo riguarda la natura, la creatività riflette la capacità del nostro cervello di dare origine a una seconda natura” (p. 98). Il problema fondamentale di Edelman è quello di conciliare la descrizione scientifica della coscienza, oggettiva, darwiniana, con l’esperienza soggettiva, privata, che ogni essere umano ha della coscienza stessa. Come può infatti uno scienziato indagare la coscienza in tutti i suoi aspetti – non solo anatomo-funzionali – nel momento in cui l’oggetto di indagine diventa la soggettività stessa? La sfida, secondo Edelman, non è tanto quella di delineare una teoria dell’emergere della coscienza – nel Capitolo III si può leggere un accenno a tale teoria, sviluppata ampiamente in altre opere, prima tra tutte Darwinismo neurale – quanto quella di armonizzare il sapere delle scienze della natura con quello delle scienze umane. La coscienza infatti è un aspetto della vita così complesso da richiedere un’unione di saperi e di prospettive, perché anche quando le scienze naturali riusciranno a costruire una ragionevole teoria scientifica della coscienza che spieghi come la materia si fa immaginazione, quella teoria non può sostituirsi all’esperienza: essere è altro dal descrivere. Toccando temi quali l’intelligenza artificiale, la relazione mente-corpo, i problemi epistemologici, Edelman conduce il lettore alla conclusione che la coscienza è, come il cervello, qualcosa di unico, plastico, un processo che nasce dal cervello stesso attraverso un paradigma evolutivo, un processo però che ad un certo stadio del suo sviluppo sfugge a descrizioni strettamente deterministiche. “Possiamo concludere che tra scienza e discipline umanistiche non vi è una separazione logicamente necessaria, ma solo un rapporto di tensione in cui la scienza è riconosciuta come una base fondamentale, ma non esaustiva né unica, della conoscenza” (p. 83). La coscienza pensa se stessa, il pensante pensa il pensiero: questo è forse il prodotto più raffinato che contraddistingue la nostra unicità. Un’unicità che Edelman, in quest’opera, mostra in tutta la sua complessità.