Il logico Kurt Gödel, autore dei teoremi d’incompletezza e indecidibilità che avevano sottratto alla logica la capacità di fornire dimostrazioni di verità assolutamente certa e fondata, propose anche una sua dimostrazione logica dell’esistenza di Dio, senza mai pubblicarla. Riprendendo la prova ontologica leibniziana, Gödel la rielaborò – come viene presentata e spiegata punto per punto in questo testo da Roberto Timossi – giungendo a dimostrare la necessità dell’esistenza di Dio in quanto unico essere dotato di tutte le “proprietà positive”.
Dopo che le geometrie non-euclidee avevano messo in discussione l'autoevidenza degli assiomi della geometria di Euclide, i teoremi di Gödel palesavano come in un qualsiasi sistema ben formalizzato non fosse sempre provata l'identificazione della verità con la coerenza logica; fatto questo che faceva definitivamente tramontare l'ipotesi dell'esistenza di una verità logica o formale di cui potersi dire assolutamente certi. I risultati dei teoremi di incompletezza e indecidibilità parrebbero in tal modo scoraggiare anche qualsiasi programma volto a dimostrare l'esistenza di Dio tramite un mero procedimento logico-formale; invece Gödel non si dimostrò di questa opinione, anzi si propose di riprendere la prova ontologica leibniziana con l'intenzione di corroborarla avvalendosi dei moderni strumenti della logica modale. Per capire questa sua decisione, che non dipende certo esclusivamente dal suo temperamento spontaneamente religioso, occorre tenere presente soprattutto due importanti componenti della sua impostazione culturale: il platonismo matematico e la grande ammirazione per Leibniz.
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La prova ontologica gödeliana fino a qualche hanno fa era poco nota, poiché essa risultava conosciuta esclusivamente da pochi amici dell'autore e rimase dopo la sua morte tra le carte inedite: soltanto nel 1987 è stata infatti pubblicata negli Stati Uniti all'interno di un volume che raccoglie diversi scritti del grande matematico. Tra i motivi per cui il logico moravo non pubblicò in vita la sua Ontologisches Beweis alcuni studiosi sostengono esservi stato il timore di venire frainteso, ovvero di vedere la sua dimostrazione non apprezzata per il suo valore logico-formale, ma interpretata come una deviazione verso il misticismo. È difficile stabilire come siano andate realmente le cose; quello che é certo e che se da un lato Gödel concepiva la sua prova come un teorema del tutto analogo ad altri teoremi logico-matematici, dall'altro lato essa rispondeva all'istanza di fondo che angustiava il suo animo fin da giovane e che egli riassumeva nella seguente domanda filosofica fondamentale: «È possibile ricondurre il mondo ad unità razionale?».
Dopo aver tentato nel 1949 di prospettare una soluzione originale delle equazioni della teoria generale della relatività di Albert Einstein sulla base dell'ipotesi di un Universo in rotazione su se stesso, con un tempo ciclico di settanta miliardi di anni e una linea temporale deformata (tutte ipotesi oggi scartate dal modello cosmologico standard), dopo aver cioè proposto una descrizione logica del cosmo, Gödel percepì che pure così al suo sistema continuava a mancare qualcosa di essenziale: la ragione dell'esistenza del mondo secondo un ordine logico-matematico. La soluzione di questo problema poteva venire secondo lui soltanto dalla dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio, ossia dalla necessità logica della presenza di un Ente che assommi in sé tutte le qualità positive. È dunque da presupposti sia logici sia esistenziali che è scaturita nella sua mente l'esigenza di concepire una nuova prova ontologica modale.
Chi legge l' Ontologisches Beweis di Gödel difficilmente riesce a non provare nello stesso istante ammirazione e sconcerto: ammirazione per il rigore logico della dimostrazione; sconcerto per l'arditezza della prova. Si tratta, infatti, di un teorema logico costituito da ventotto passaggi e strutturato con formule ben formate di logica simbolica (accompagnate da alcune annotazioni piuttosto scarne dell'autore), la cui conclusione equivale alla seguente perentoria affermazione: «Dio esiste necessariamente, come volevasi dimostrare».
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Premesso che con la lettera «G» si deve intendere «ente di natura divina» («G» sta infatti per «Gott», «Dio» in tedesco), abbiamo:
Definizioni:
1) Un ente è di natura divina [ «God-like» ] se e soltanto se ha quali proprietà essenziali tutte le proprietà positive e soltanto proprietà positive.
2) A è un'essenza di x se e soltanto se per ogni proprietà B , x include B necessariamente esclusivamente se A implica B.
3) x esiste necessariamente se e soltanto se ogni suo elemento essenziale risulta necessariamente esistente.
Assiomi:
1) Se una proprietà è positiva, allora la sua negazione non è positiva.
2) Ogni proprietà che include una proprietà positiva è a sua volta positiva.
3) Essere un ente di natura divina è una proprietà positiva.
4) Se una proprietà è positiva, allora é necessariamente positiva.
5) L'esistenza necessaria è una proprietà positiva.
Teoremi:
1) Una proprietà positiva è logicamente consistente [quindi è possibile che esista].
2) Se una cosa è un ente di natura divina, allora la proprietà dell'esistenza è un'essenza di questa cosa [ossia gli appartiene per essenza].
3) Necessariamente esiste qualcosa che è un ente dalla natura divina, ovvero esiste almeno una x tale che x è G.
Dimostrazioni:
Prima dimostrazione:
a. Se G è un ente di natura divina, allora [in base alla definizione 1] possiede tutte le proprietà positive e soltanto proprietà positive.
b. Ma G è un ente di natura divina.
c. Dunque, G possiede tutte le proprietà positive e soltanto proprietà positive.
Seconda dimostrazione:
a. Se G è un ente di natura divina, allora [stando all'assioma 3] è una proprietà positiva.
b. Ma G è un ente di natura divina.
c. Dunque, G è una proprietà positiva.
Terza dimostrazione:
a. Se G è una proprietà positiva, allora [in base dell'assioma 4] è necessariamente una proprietà positiva.
b. Ma G è una proprietà positiva [conclusione della seconda dimostrazione].
c. Dunque, G è necessariamente una proprietà positiva.
Quarta dimostrazione:
a. Se G possiede tutte le proprietà positive, allora [stando all'assioma 5] possiede anche l'esistenza necessaria in quanto è una proprietà positiva.
b. G possiede tutte le proprietà positive [conclusione della prima dimostrazione].
c. Dunque, G possiede anche l'esistenza necessaria.
Quinta dimostrazione:
a. Se G è un ente di natura divina, allora [in base al teorema 2] la proprietà dell'esistenza gli appartiene per essenza.
b. Ma G è un ente di natura divina.
c. Dunque, a G appartiene per essenza la proprietà dell'esistenza.
Sesta dimostrazione:
a. Se G è una proprietà positiva, allora [secondo il teorema 1] è logicamente consistente.
b. Ma G è una proprietà positiva [conclusione della seconda dimostrazione].
c. Dunque, G è logicamente consistente [ossia è possibile].
Settima dimostrazione:
a. Se G è consistente, allora esiste necessariamente [in base alla conclusione della quinta dimostrazione, la proprietà positiva dell'esistenza gli appartiene infatti per essenza].
b. Ma G è consistente [conclusione della sesta dimostrazione].
c. Dunque, G esiste necessariamente.
Come si può facilmente notare, la premessa maggiore della settima dimostrazione gödeliana è del tutto simile a quella leibniziana: «Se Dio è possibile [consistente], allora esiste necessariamente». Di fatto, l'esistenza di G (Dio) risulta o necessaria o impossibile, poiché in base al «Teorema 2» e alla «Quinta dimostrazione» si tratta di un essere unico nel suo genere a cui l'esistenza appartiene per essenza. Anche in base alla «Definizione 3», del resto, un ente divino esiste necessariamente se ogni suo elemento essenziale risulta necessariamente esistente: e questo è appunto il caso di Dio.
Per il logico-matematico moravo la natura divina rappresenta un'essenza e poiché a ogni essenza corrisponde un solo ente, l'essere la cui essenza implica l'esistenza deve risultare esclusivamente uno soltanto: Dio. Secondo Gödel non è dunque logicamente plausibile ammettere la possibilità di un unico essere dotato di tutte le «proprietà positive», inclusa ovviamente l'esistenza, e poi non riconoscergli una realtà effettiva, perché ciò rappresenterebbe una evidente contraddizione. Facciamo infine notare come il concetto di proprietà positive ricordi la definizione leibniziana di perfezione intesa come «ogni qualità semplice che sia positiva e assoluta» [G.W. leibniz, L'Essere perfettissimo esiste, in Scritti filosofici, Utet, Torino 1967, vol. I, p. 261].
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Nonostante l'indiscutibile genialità della prova gödeliana e la sua migliore strutturazione formale, anche ad essa sono dunque applicabili le critiche mosse all'argomento modale leibniziano, soprattutto per quanto concerne l'identificazione del possibile con il necessario e il passaggio diretto dal contesto di un'esistenza ipotetica o meramente logica al contesto dell'esistenza reale od ontologica. Non sussiste infatti alcuna dimostrazione in grado di provare la corrispondenza dei mondi possibili della logica modale con un mondo reale: questo perché non si può escludere a priori che non tutti i mondi logicamente ammissibili coincidano con un mondo realmente esistente. In breve, non vi è alcuna argomentazione capace di garantire l'assoluta identità tra esistenza possibile ed esistenza necessaria.
Concludiamo l'esposizione dell' Ontologisches Beweis gödeliana rammentando come l'ente di natura divina dotato di tutte le proprietà positive e necessariamente esistente non venne da Gödel relegato nel ruolo del «Dio della ragione» di fronte al quale - come ha scritto il filosofo tedesco Martin Heidegger - «l'uomo non può pregare, non gli può sacrificare e […] non può per timore cadere in ginocchio» [M. Heidegger, Identità e differenza , “Aut Aut”, 187-188 (1982), pp. 2-37]. A differenza della concezione un po' intellettualistica del divino quale «mente superiore» professata dall'amico Albert Einstein, il logico moravo considerava infatti Dio non solo un'entità razionale logicamente dimostrabile, ma anche un essere degno di venerazione.
R.G. Timossi, Prove logiche dell'esistenza di Dio da Anselmo d'Aosta a Kurt Gödel . Storia critica degli argomenti ontologici , Marietti 1820, Genova-Milano 2005, pp.437-445.