L'interessante e arguto saggio di Sergio Moravia (1940, Bologna), allievo di Eugenio Garin, affronta "L'enigma della mente", un weltknoten (un "nodo del mondo" secondo Schopenauer), dando al lettore un panorama il più possibile completo del mind-body problem (MBP) e proponendo, purtroppo soltanto nella parte finale, un'originale teoria del mentale in una prospettiva fenomenologica, centrata attorno al concetto di persona piuttosto che sulla mente in quanto tale. L'A. —professore di Storia della Filosofia all'Università di Firenze, co-fondatore della Società italiana degli studi sul XVIII secolo, e autore dalla fine degli anni '60 di numerosi saggi e articoli sull'illuminismo, su Nietsche e su Sartre— si pone come obiettivo quello d'indagare che cosa sia la mente, e in particolare di chiarire se oggetto della psicologia sia qualcosa di fisico oppure siano "modi dell'essere" umano. Nell'esaminare il vasto dibattito sul MBP —iniziato negli anni '50 con il saggio sistematico sull'argomento di H. Fiegl— sulle numerose proposte al riguardo e sulle diverse questioni sorte negli ultimi decenni al proposito, Moravia ha impostato la sua ricerca interpretativa cercando piuttosto di mettere in chiaro quali ne siano i presupposti, le implicazioni e i significati filosofici e fondativi più generali, a volte soltanto impliciti. Nei capitoli iniziali il testo presenta una storia del dibattito attraverso le maggiori tappe costituenti e gli argomenti più rilevanti per cogliere il senso del MBP e quale possa essere oggi una sua corretta impostazione, superando quella cartesiana, ormai obsoleta. Dopo aver delineato la genesi, aver dato il rilievo fondativo a H. Feigl, e illustrato la radicalizzazione del programma fisicalistico, l'A. passa ad esaminare le tesi materialiste della scuola australiana e le sue implicazioni antropologiche. In particolare, vengono poi analizzate la teoria dell'identità mente-corpo e quella della disappearance theory di tendenza antimentalistica (Feyerabend e Rorty). Nei capitoli centrali (4-7) il filosofo passa in rassegna le tesi del funzionalismo (Putnam e Fodor) e del monismo anomalo (D. Davidson), per poi soffermarsi sulla svolta linguistica ad opera di Wittgenstein e alcuni suoi seguaci (Malcom, Rorty) e la sua influenza sul mentale, per poi trarne le conseguenze che che portano alla teoria della "pluralizzazione esplicativa". La pars construens del testo (cap. 9-10) consiste nello spiegare come e perché sia necessario riconsiderare la filosofia del mentale come "filosofia dell'umano", del "personale", del "soggettivo" e come "i fenomeni mentali siano in effetti semplicemente fenomeni umani". Sulle orme di Ryle (1949), e dei contributi di rilievo di H. Dreyfus e di M. Grene, l'A. delinea quello che può essere considerato "il vero volto di cui è espressione e metafora il mentale". Il mentale è, sostiene Moravia con M. Grene, riconsiderando la sua fenomenologia, da collocarsi nel più ampio e complesso sistema personologico; il subjectum non è però l'uomo genericamente inteso e astratto, ma è l'uomo come "essere nel mondo" di Heidegger. È solo in questa dimensione infatti che, secondo l'autore, si possono definire il mentale e gli atti psichici costituiti a loro volta da valori, credenze, regole, leggi e fini; il soggetto è quindi l'homo persona di Binswanger (e non l'homo natura di cui si occupano le neuroscienze), inteso come parte e partecipante di un sistema che si manifesta come esistenza, soggettività e cultura.