La comparsa della vita: forse un caso, come voleva Monod, e per di più altamente improbabile? O forse un processo fondato esclusivamente su principi metafisici, come presentato da Teilhard de Chardin o da Bergson? La visione che propone Christian De Duve non trova piena corrispondenza con nessuna di queste due, e si propone come una nuova interpretazione: esclude l’idea di un progetto dall’interpretazione scientifica dell’evoluzione del mondo naturale, ma rifiuta il caso come forza centrale. L’A., di fede cristiana, rappresenta una voce più che autorevole nel campo della biologia cellulare e molecolare. Laureato in Medicina, ha dedicato interi decenni alla ricerca nel campo della Biochimica, investigando il metabolismo delle cellule, e ottenendo nel 1974 il premio Nobel. In seguito, ha focalizzato il suo interesse sulle proprietà generali delle cellule viventi e sull’origine e l’evoluzione della vita, che costituisce uno dei grandi problemi aperti della ricerca scientifica. Nel quadro della sua particolare prospettiva, l’A. presenta l’evoluzione della vita, fin dalle sue origini, esaminata in quanto processo naturale e “in funzione delle leggi fisico-chimiche antecedenti e immediate, e non in relazione ad un esito noto a noi oggi ma nascosto all’epoca in cui gli eventi ebbero luogo”. Espone da questo punto di vista ciò che è noto dei passaggi critici dell’evoluzione della vita sulla terra: la comparsa delle prime molecole organiche, la formazione di molecole in grado di perpetuare “informazione”, lo sviluppo di una struttura sopramolecolare complessa e la nascita della prima unità propriamente biologica e viva, la cellula; e poi la formazione della pluricellularità e l’evoluzione della mirabile diversità degli esseri viventi, fino alla comparsa della specie che si rivela capace di comprendere tutto ciò: l’essere umano. Chi è interessato ad un’apertura alla complessità di un’analisi interdisciplinare della realtà, troverà di particolare interesse l’ultimo capitolo (“Il senso della vita”). In questo, soprattutto, si trovano le personali interpretazioni dell’A., che intendono non tradire la professionale oggettività dello scienziato. La sua posizione, lontana da concezioni vitalistiche o finalistiche, dà una nuova razionalità al processo evolutivo riconoscendo all’uomo una posizione “privilegiata”, posizione che fu messa in discussione a partire dall’affermarsi dell’eliocentrismo e della selezione naturale darwinista. Secondo l’A., dal suo racconto dell’evoluzione “emerge un modello dominato all’inizio da fattori deterministici, ma poi sempre più influenzato dalla contingenza al procedere dell’evoluzione, anche se entro condizioni più vincolanti di quanto spesso si creda”, “costrizioni così stringenti da produrre obbligatoriamente vita e mente”. Così De Duve riassume la sua posizione: «Se l’universo non è privo di significato, qual è il suo significato? Per me il significato va ricercato nella struttura dell’universo, la quale è tale da produrre il pensiero attraverso la vita e la mente. Il pensiero, a sua volta, è una facoltà attraverso la quale l’universo può riflettere su se stesso, scoprire la propria struttura e apprendere entità immanenti come la verità, la bellezza, la bontà e l’amore».