L’opera di William Harvey Austin, risalente ormai ad alcuni decenni or sono, è probabilmente il primo lavoro che affronta in modo rigoroso e sistematico le ragioni teoretiche della rilevanza che gli asserti scientifici hanno per la teologia. L’A. segnala che le due principali obiezioni alla rilevanza delle scienze in teologia seguono due principali classi di argomenti: quella “strumentalista” e quella della “separazione dei saperi”. Alla prima classe appartengono le visioni strumentaliste tanto della scienza (relativismo, fenomenismo, strumentalismo), quanto della teologia (separazione fra storia e fede, spiritualismo, sentimentalismo, applicazione indefinita dei processi esegetici ed ermeneutici). Alla seconda classe appartengono tutte quelle visioni tese a separare teologia e scienze in termini di oggetto materiale e di linguaggio, nonché a radicalizzare le dimensioni soggettiva ed oggettiva in esse presenti. Nel primo caso, sostenere una visione strumentalista termina con l’indebolire l’accesso a proposizioni realmente veritative da ambo le parti; nel secondo caso, ritenere che teologia e scienze siano separate come lo sono la natura e il soprannaturale, o ciò che è materiale da ciò che è spirituale, diviene non più sostenibile quando si considera che la dottrina religiosa include affermazioni circa il rapporto fra Dio e il mondo materiale (uomo compreso). È in sostanza la ben nota e stereotipata visione che la Bibbia (e indirettamente la teologia) ci insegni “come si vada in cielo e non come vada il cielo”, che si intende qui superare. Finalità del volume, prima che offrire una propria sintesi o suggerimenti metodologici per un impiego fruttuoso dei risultati delle scienze in teologia, è quella di mostrare l’insufficienza della posizione che giudica le prime irrilevanti per la seconda. La bibliografia recente ci ha abituato a sintesi affrettate e spesso poco rigorose. Ripartire dalle condizioni di “insostenibilità della separazione”, come fa qui Austin, può essere più lungo ma senza dubbio più efficace.