L’A. è professore ordinario di antropologia teologica presso la Pontificia Università Lateranense, si interessa a problematiche di antropologia culturale ed è buon conoscitore del pensiero di Karl Rahner. In questo saggio egli estende l’interesse per l’antropologia verso tematiche interdisciplinari, suggerendo alcune basi che consentano alla teologia di affrontare e sviluppare l’importante confronto fra futuro del cosmo e futuro dell’uomo, confronto che si inquadra nel più ampio rapporto fra storia fisico-biologica dell’universo e storia della salvezza. L’A. si domanda nell’Introduzione: «si può avere speranza in un futuro che non si può prevedere? che significa che il futuro è promesso da Dio? chi è che si deve occupare del futuro: solo le scienze o anche altre forme di sapere?» (p. 7). La proposta dell’A. è mostrare come la teologia, in particolare l’escatologia, abbia un suo diritto di cittadinanza anche in un sapere sul cosmo fortemente condizionato dai risultati delle scienze. Ciò implica per la teologia elaborare una categoria di futuro e di speranza che regga il dialogo con le scienze e sia rispettosa delle loro acquisizioni, prima fra tutte quella di un universo in continua evoluzione e sviluppo e di una Terra il cui futuro dipende anche dalle scelte scientifiche e tecnologiche che gli uomini compiranno. Il volume consta di tre capitoli. Nel primo si esamina come la teologia abbia tematizzato la categoria di futuro e quale confronto ne derivi con la nozione di futuro proveniente dalla cultura, generalmente intesa. Nel secondo il confronto si sposta alle scienze naturali, cercando di vedere come sia possibile concepire la fede in un futuro di salvezza escatologica all’interno di una concezione evolutiva del cosmo, sia fisica che biologica. Nel terzo capitolo si offre una rilettura teologica del futuro alla luce delle riflessioni emerse nei capitoli precedenti, offrendo spunti di novità per un inquadramento teologico del rapporto fra uomo e natura e soffermandosi sui nuovi compiti morali dell’uomo. Al termine di ogni capitolo viene riportata una breve bibliografia ed una bibliografia generale in conclusione al volume. Le molteplici opere citate nelle bibliografie sono tuttavia di valore e impostazione diseguali, per cui un loro corretto discernimento è possibile solo dal lettore esperto. L’opera di Sanna rappresenta al momento ancora uno dei pochi tentativi di elaborazione teologica che cerchino di integrare il dato scientifico. Come tale, esso rappresenta forse la proposta di una traccia piuttosto che una sintesi compiuta. Lo si coglie, ad esempio, nella ricerca di soluzioni al problema del male così come manifestato da un universo aperto sul futuro, e dalla certa conflittualità con cui l’A. sottolinea la differenza fra la concezione statica della natura e del panorama della vita umana, propria dell’epoca classica e medievale, e quella evolutiva, propria dei nostri giorni. Per quest’ultimo aspetto, va ricordato che esistono letture della teologia medievale (e della stessa filosofia aristotelica) che potrebbero forse ridurre o rileggere tale differenza con categorie meno conflittuali. Resta in ogni caso vero che la teologia non può essere sollevata dall’onere di comprendere quanto le scienze naturali possono dirci sul futuro dell’uomo e del cosmo.