Arnold Gehlen è uno dei fondatori culturali, insieme a Plessner e Scheler, dell’antropologia filosofica. Essa nasce dall’esigenza di cogliere e pensare l’uomo nella sua interezza, confrontando e integrando i risultati delle indagini scientifiche con quelle sociologiche e antropologiche, cercando di superare la separazione tra scienze della natura e scienze dello spirito. Il tentativo di dare un’immagine sintetica e completa dell’essere umano si può ben scorgere nell’opera fondamentale di Gehlen che qui presentiamo, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo. L’A. parte da un’analisi comparata tra animale e uomo e giunge a individuare nella capacità di creare un ambiente culturale e sociale il carattere distintivo dell’essere umano.
Nella Parte Introduttiva e nella Parte Prima del testo, Gehlen illustra la sua tesi fondamentale, quella di una visione dell’uomo come “essere carente”, che farà da sfondo all’intera opera, argomentandola attraverso un confronto con i risultati dell’indagine scientifica, facendo riferimento anche a tesi di importanti scienziati. Se queste prime due parti riguardano l’analisi comparativa tra uomo e animali per stabilire la vera natura dell’uomo e la sua posizione nel cosmo, le Parti Seconda e Terza prendono in considerazione il linguaggio e le sue radici, una caratteristica che l’A. considera fondamentale al momento di stabilire la natura umana. Gehlen conclude le sue riflessioni accennando alla possibile origine della società attraverso uno sviluppo graduale che parte da un’analisi del totemismo.
Gehlen avvia la sua ricerca con una tesi che contaminerà e influenzerà in maniera altamente significativa tutta l’antropologia filosofica successiva. L’uomo, rispetto agli altri animali è caratterizzato da una “carenza” di istinti, da “primitivismi” e “non-specializzazioni” del suo corredo organico. L’uomo ha una serie di inadattamenti, inadeguatezze, carenze di sviluppo che in condizioni naturali non riuscirebbe a sopravvivere. L’essere umano è dunque, paragonato agli altri esseri viventi, un essere organicamente “carente”. Nonostante le sue insufficienze biologiche, però, riesce ugualmente a sopravvivere, adattarsi e conservarsi. Egli è un essere che può esperire il mondo, può trasformare la natura con il proprio lavoro, può in altre parole creare cultura. La cultura viene definita da Gehlen la “seconda natura”, “la natura umana, dall’uomo elaborata autonomamente, entro la quale egli solo può vivere; e la cultura ‘innaturale’ è il prodotto di un essere unico al mondo, lui stesso ‘innaturale’, costruito cioè in contrapposizione all’animale. Attraverso l’azione, quindi, l’uomo crea una compensazione alla sua debolezza organica, in definitiva ha bisogno di creare strumenti che siano come dei “prolungamenti” dei suoi arti, con i quali agire sulla realtà. La tecnica quindi si presenta come realizzazione peculiare dell’essere umano, compensazione a carenze e imperfezioni.
In base alle tesi formulate in precedenza, si può ben comprendere la motivazione che spinge l’A. a respingere la teoria darwiniana sull’origine dell’uomo. L’uomo appare come un “progetto particolare della natura”, non può derivare dagli altri animali; le sue enormi differenze, carenze e particolarità lo escludono da una spiegazione di tipo evolutivo come quella darwinista. Egli intende mostrare la validità delle sue affermazioni analizzando le teorie biologiche di vari scienziati. Il primo di essi è lo zoologo Portmann, di cui riporta la definizione del neonato come un “parto prematuro”, unico nella categoria dei vertebrati. Portmann aveva notato che al momento della nascita, il cervello dell’uomo pesa tre volte di più di quello di una scimmia antropomorfa appena nata, come pure il peso del suo organismo è maggiore; tuttavia l’uomo raggiunge solo intorno al primo anno di vita le caratteristiche proprie della sua specie, quali l’andatura eretta e la capacità di linguaggio.
Un altro scienziato preso in considerazione da Gehlen è l’anatomista olandese Bolk, il quale descrive le strutture anatomiche dell’uomo che ne fanno un essere particolare, unico nella varietà degli altri viventi. Queste strutture anatomiche sono ad esempio l’ortognatismo, la glabrezza, la depigmentazione della cute, la forma dei padiglioni auricolari, il peso del cervello, la struttura della mano e del piede. Tali caratteristiche sono ritenute da Bolk dei primitivismi in quanto strutture fetali divenute permanenti, strutture e organizzazioni che individuano la costituzione propria dell’uomo: “si può affermare che nell’uomo l’abbozzo embrionale resti conservato” (p. 118).
Di tutte queste teorie Gehlen si serve per sostenere la sua particolare visione della teoria dell’evoluzione concepita non come un continuum che vede l’uomo e le scimmie antropomorfe sulla stessa linea evolutiva, ma come un processo dal quale si diramano due linee divergenti: una che porta all’animale e l’altra che, attraverso un salto evolutivo, porta all’uomo. Le teorie scientifiche prima menzionate servono inoltre a Gehlen per corroborare la sua tesi di fondo: l’uomo è un animale carente privo di specializzazioni e con degli evidenti primitivismi. Tre caratteristiche fondamentali della natura umana sono legate a questa concezione dell’uomo come “essere carente”: i concetti di eccesso pulsionale,di plasticità, e di esonero. Una delle proprietà fondamentali della vita pulsionale umana è il continuo flusso di pressioni e stimoli. Mentre gli animali hanno un limitato numero di istinti che sono necessari al loro adattamento, l’uomo ha molte pulsioni necessarie per renderlo adattabile a tutti i tipi di ambienti: da qui il concetto di eccesso pulsionale. L’apertura e la capacità di connettersi con tutto il cosmo fa dell’uomo un essere dotato di enorme plasticità. La plasticità è quella capacità di dare risposte multiformi e polivalenti, di progettare e orientare l’azione; essa è assenza di istinti fissati, “capacità di evoluzione delle pulsioni”, “apertura delle pulsioni al mondo”. L’uomo ha quindi bisogno di affrancarsi dagli stimoli che tendono ad assoggettarlo; per dirigere la propria azione e per progettare i propri comportamenti ha bisogno della facoltà dell’esonero. L’esonero è la capacità che l’uomo ha di non soggiacere alla pressione degli istinti e di liberarsi da essi in modo da dirigersi verso forme di comportamento più raffinate quali ad esempio quelle di carattere simbolico.
Uno dei più importanti processi di esonero è costituito dal linguaggio. Ad esso Gehlen dedica tutta la Parte Seconda della sua opera. L’analisi del linguaggio permette a Gehlen di mostrare come la capacità linguistica offre sempre una connessione tra il mondo umano e quello dell’esperienza e come l’azione umana sia sempre modellata sul linguaggio stesso. La prima radice del linguaggio è la vita del suono, dove i suoni sono prodotti e riavvertiti; “ogni movimento è restituito a livello sensorio […] l’ambiente umano che mai manca attorno al bambino assume questi suoni e li rimanda” (p. 277). La seconda radice è l’apertura definita anche “l’espressione sonora in risposta a impressioni visive”. L’uomo deve scoprire il mondo proprio perché la sua natura non è fissata dagli istinti. L’“espressione” è un fenomeno caratteristico dell’uomo, aperto al mondo esonerato dagli istinti, in comunicazione aperta con la natura. Si stabilisce così un legame tra la visione e il suono. La terza radice del linguaggio è il riconoscere. Essa è il movimento di fonazione che ha per oggetto le cose. La quarta radice del linguaggio è il richiamo. I bisogni di un bambino vengono sempre soddisfatti dall’esterno, il richiamo provoca il soddisfacimento dei bisogni stessi. Esso è emesso nell’intenzione di ottenere aiuto. La quinta radice del linguaggio è il gesto sonoro. Si tratta del ruolo del suono come componente di esperienze e di comunicazioni. Gehlen dimostra qui la grande importanza della correlazione tra l’uso della mano e il linguaggio. Con questa radice viene infatti dimostrata la stretta correlazione che c’è tra linguaggio e azione.
Al termine della disamina delle radici del linguaggio Gehlen si chiede “dove è il punto germinale del pensiero”, fornendo questa risposta: “il punto in cui germina il pensiero è là dove noi, in un movimento esonerato e non imposto da un bisogno, in pari tempo ci volgiamo a una cosa e la ‘interroghiamo’ nello stesso movimento in cui la maneggiamo” (p. 279). La relazione tra pensiero, linguaggio e azione è qui espressa in maniera chiara e puntuale. L’apertura dell’uomo al mondo e la sua conseguente plasticità che deriva dalle sue non specializzazioni si attua proprio nella relazione tra questi diversi ambiti: linguaggio, pensiero e azione. Nella sua conclusione, Gehlen afferma che l’ominazione e l’evoluzione del linguaggio devono aver percorso strade parallele e che l’origine del linguaggio e il suo sviluppo sono una tappa fondamentale da conoscere per chi voglia indagare sull’origine della società.
Le teorie di Gehlen hanno influenzato gran parte dell’antropologia filosofica. Recentemente, anche con lo sviluppo delle scienze, sono state mosse molte critiche ai punti fondamentali delle sue speculazioni. Egli viene spesso accusato di non aver compreso gli aspetti più innovativi delle scienze, soprattutto le basi genetiche della teoria dell’evoluzione. L’evoluzione, infatti, non si misura come fa Gehlen, sulle caratteristiche macroscopiche degli organi, ma sulla ricchezza e complessità del patrimonio genetico. Il ruolo della genetica, infatti, sembrerebbe sconosciuto o comunque trascurato. Si potrebbe rimproverare a Gehlen di non aver saputo interpretare la cultura, la plasticità cerebrale, la complessità e la diversità dell’encefalo umano come specializzazione dell’uomo. Sorprende anche come l’A. abbia messo in disparte la teoria evolutiva: l’uomo infatti ha una sua specializzazione e questa è proprio la sua dimensione culturale. Attraverso di essa, e non più con l’istinto, l’essere umano ha imparato a interagire con l’ambiente. L’uomo ha semplicemente acquisito delle qualità tali da implicare che non fosse più vantaggioso agire per istinto, in maniera meccanica, come agirebbe un animale. In tutti i casi Gehlen ha il merito di essersi adoperato per superare, nel panorama antropologico, la scissione tra scienze dello spirito e scienze della natura, aprendo nuovi orizzonti sulla ricerca sull’uomo, sulla sua natura e sul suo posto nel mondo.