L'autrice è fra le personalità più note nel campo della filosofia della logica e della scienza e le sue opere sono modelli di competenza tecnica, rigore argomentativo, chiarezza espositiva. In questo volume ella si pone ad un livello di considerazione più elevato, entrando nel dibattito culturale circa il valore e la portata della scienza, in seno al quale, come recita il sottotitolo dell'opera, intende assumere una posizione intermedia fra i due estremi che hanno caratterizzato tale dibattito negli ultimi cinquant'anni circa, e che vengono qui denominati “scientismo” e “cinismo”. Mentre il primo termine suona familiare anche al lettore italiano, il secondo suona un poco strano, dal momento che con esso noi intendiamo di solito designare un atteggiamento pratico privo di remore e scrupoli, che irride ogni principio proponendosi esclusivamente il perseguimento dei propri gretti interessi. Ciò che la Haack intende per “cinismo” equivale sostanzialmente a quanto noi siamo soliti chiamare “antiscienza”, alludendo con questa denominazione alquanto generica a quel complesso di elaborazioni dottrinali, prospettive ideologico-culturali e atteggiamenti pratici che, per un verso, tendono a sminuire lo statuto privilegiato di cui la scienza ha lungamente goduto sul piano conoscitivo e, per altro verso, enfatizzando la contestualizzazione sociale dell'attività scientifica, sostengono la radicale dipendenza della scienza dalle dinamiche del potere e dai giochi di interesse e sottolineano i danni e i rischi insiti nello sviluppo scientifico-tecnologico, fino ad indicare in esso un fattore di pericolo per le sorti dell'umanità. Si tratta delle ben note tesi sostenute dai difensori dell'anarchismo metodologico, del relativismo socio-culturale delle forme del sapere, dell'equiparazione delle teorie scientifiche a particolari tipologie del discorso letterario, delle accuse di maschilismo rivolte alla scienza e, in sintesi, di quel modo “post-moderno” di considerare la scienza che oggi conosce un'ampia diffusione.
La via intermedia fra questi due estremi è costituita da una posizione che l'autrice stessa qualifica come di “senso comune critico” e che consiste nell'adozione di una forma di “moderato realismo” (ossia nell'ammissione che esiste un modo di cose, fatti ed eventi attorno a noi e che le diverse scienze si propongono di farci conoscere come è fatto e come funziona), accompagnata in primo luogo da un ridimensionamento critico dell'immagine troppo pretenziosa delle scienze che aveva condotto al “vecchio atteggiamento di deferenza”, consistente in una sorta di sacralizzazione della scienza, considerata come forma indefettibile del sapere, fonte di certezza, esempio di rigore conoscitivo, onestà intellettuale, integrità morale. Tale ridimensionamento conduce a riconoscere che l' “impresa scientifica” è largamente fallibile, sempre imperfetta e incompleta, spesso rozza e talora corrotta ma che, a dispetto di tutto ciò, non si riduce ad una pura questione di “fiducia”: le scienze naturali si sono indubbiamente rivelate come una delle imprese umane di maggior successo, non soltanto per il vastissimo e intrecciato sistema di conoscenze che ci hanno assicurato, non solo per le numerose applicazioni tecnologiche che hanno reso possibili a vantaggio della qualità della nostra vita, ma anche e soprattutto come testimonianza della capacità umana di investigare il vero, che esse hanno portato ad esprimersi al meglio. Quest'ultimo punto consente di comprendere meglio l'ancoraggio nel senso comune che la Haack sostiene: esso non si riduce al realismo minimale e alle “ovvietà” circa le acquisizioni delle scienze che abbiamo menzionato, ma si esprime nella convinzione che i metodi delle scienze altro non sono che applicazioni, affinamenti, ampliamenti di quanto gli esseri umani pongono in atto nel corso di qualunque indagine empirica ben condotta. Per questo l'autrice afferma che le scienze (soprattutto quelle naturali, ma anche quelle umane) non esauriscono l'ambito della conoscenza autentica e menziona come esempi, in diverse occasioni, quelli dello storico, del detective, del giornalista che conduce un'inchiesta, i quali adottano spontaneamente criteri d'indagine non dissimili per natura da quelli utilizzati dalle scienze in forme più sofisticate e agguerrite.
Fin qui la difesa della scienza appare consistere nel riconoscimento del suo carattere di “impresa umana”, come tale limitata, imperfetta e perfettibile, ma comunque capace di risultati significativi. Che dire allora degli attacchi dell'antiscienza? Qui le critiche dell'autrice sono diversamente articolate: nel caso delle teorie sociologiche della scienza, che ne esasperano l'aspetto di contestualizzazione socio-culturale fino a negarne la capacità di conoscienza oggettiva, ella opera un riconoscimento degli aspetti di verità contenuti in tali tipi di analisi, mettendo in luce, nello stesso tempo, che tutto ciò non giustifica le conseguenze estreme che ne vengono tratte. Ella può quindi proporre “un programma ragionevole nella sociologia della scienza” in cui i condizionamenti sociali dell'impresa scientifica rientrano in quelle caratteristiche di limitatezza umana della scienza che, come si è visto, non sopprimono il suo valore e la sua portata conoscitiva. Nel caso di altre posizioni (come quella della equiparazione della scienza a un genere letterario, o a certe teorizzazioni femministe) l'autrice esercita una decisa critica demolitrice, mettendo a nudo i numerosi equivoci su cui si basano.
La plausibilità della posizione di fondo sostenuta in quest'opera non risalta semplicemente dalla chiarezza delle argomentazioni presentate, dalla efficacia espositiva, dalla ricchezza di esemplificazioni tratte dalla storia della scienza, ma anche da più impegnative analisi di carattere epistemologico, cosicché questo libro risulta importante anche dal semplice punto di vista della filosofia della scienza. Ci limitiamo a segnalare le discussioni dedicate a distinguere concetti spesso fra loro confusi, come quelli di garanzia, giustificazione e conferma che una certa evidence (ossia un certo insieme di fatti provati) può offrire ad una data ipotesi o teoria. Distinzioni che rientrano in una dettagliata disamina del concetto stesso di evidence (o “evidenza fattuale” come potremmo tradurre). Qui vengono in luce le ben note qualità e competenze di espistemologo che consentono alla Haack di passare in rassegna in modo rapido e incisivo, ma anche impietosamente critico, una grande quantità di problemi, teorie, pretese soluzioni che hanno caratterizzato la filosofia della scienza di stampo analitico dal Circolo di Vienna in poi, senza timori reverenziali di fronte a grandi nomi e allo stesso tempo con spirito costruttivo nell'intento di sciogliere i nodi spesso artificiosi e proporre soluzioni diverse. L'immagine della scienza che la Haack propone con frequenza è quella della soluzione di un cruciverba: in un gioco di parole incrociate ci vengono fornite delle indicazioni che ci indirizzano verso la parola corretta (e queste equivalgono ai referti dell'esperienza fattuale), ma queste non sono univoche, e debbono risultare compatibili sia con il numero di caselle disponibili, sia con le intersezioni risultanti con altre righe e colonne già riempite.
Alcune parole possono risultare particolarmente sicure, altre meno; talora possiamo esser costretti a modificare quanto già scritto, ma alla fine riusciamo spesso a risolvere il nostro cruciverba, così come le scienze pervengono a stabilire ampie zone di acquisizioni sicure.
Se questi temi per così dire più tecnici rendono il volume particolarmente interessante ad un circolo di lettori più ristretto, due capitoli ne possono determinare l'interesse per un pubblico più ampio. Il primo tratta dell'uso delle scienze nella pratica legale, il secondo affronta il tema dei rapporti fra scienza e religione. Non ci soffermiamo sul primo che, fra l'altro, tratta in misura preponderante temi e situazioni che si inquadrano nella pratica dei tribunali statunitensi, non poco diversa da quella dei tribunali europei continentali.
Il secondo si inquadra pure in una situazione che, negli Stati Uniti, è assurta a livelli di rovente polemica (quella che si lega alla pretesa emersa in alcuni stati di porre sullo stesso piano, in sede di insegnamento scolastico, le teorie evoluzioniste e il racconto biblico della creazione). Ciò ha determinato una chiara situazione di tensione fra scienza e religione che riecheggia anche nelle pagine della Haack. Ella vuole per altro affrontare il tema su un piano più generale e, in sostanza, sostiene che la tensione è insopprimibile e implica, in una società matura, la progressiva emarginazione della religione di fronte alla razionalità scientifica. Per quanto marginale rispetto al resto dell'opera, questo capitolo può essere significativo circa l'equidistanza fra scientismo e antiscienza che l'autrice intende adottare. Si può vedere, infatti, che ella rimane scientista, sia pure in senso debole, ossia non più nel senso di attribuire alle scienze il possesso di conoscenze indefettibili e certe, quantitativamente limitate ma potenzialmente allargabili all'infinito, bensì nel senso di non riconoscere per davvero altri tipi di conoscenza che non siano quelli scientifici o certe forme di conoscenza di senso comune (abbiamo già detto che ella si limita a menzionare lo storico, il detective e il giornalista come esempi di persone impegnate in forme genuine di conoscenza diverse da quelle scientifiche). Nel suo libro, infatti, non v'è una discussione esplicita, ad esempio, circa la possibilità di parlare in senso autentico di conoscenza in campo metafisico o etico, ossia in settori in cui, pur accettando di avvalersi soltanto dell'esperienza e della ragione, la prima non coincide con la pura evidenza fattuale di tipo sensistico e non rappresenta l'unica garanzia di realtà.
Pertanto, si può essere d'accordo che la religione non ha la funzione di “riempire i buchi” lasciati aperti dentro la conoscenze scientifica e, aggiungiamo, quella di provvedere in senso lato conoscenze fattuali (e che tale compito può essere lasciato alla scienza), ma la sua specifica funzione non è questa, bensì quella di offrire conoscenze in grado di fornire un senso alla vita e a garanzia delle quali non è sufficiente la pura e semplice evidenza fattuale (anche se non può mancare, ma è la sua interpretazione quella che fa la differenza).
In conclusione, siamo di fronte ad un'opera di notevole qualità, di grande impegno intellettuale e culturale, da cui c'è moltissimo da imparare sia quando se ne condividano le tesi, sia quando si sia indotti a dissentire. Essa è originale non soltanto per le cose che dice e il modo in cui le dice, ma anche perché è uno di quei rari libri che stimolano a pensare con la propria testa.
Pubblicata sulla rivista Epistemologia, 28 (2005), pp.151-154