In questo discorso rivolto ai partecipanti al Congresso Mondiale di Astronomia del 7 settembre 1952, organizzato dalla International Astronomical Union, Papa Pio XII elogia il lavoro degli astronomi e degli scienziati, sia del passato sia contemporanei, per aver fatto conoscere le profondità del cosmo. Invitandoli a continuare le loro ricerche, dirige loro un interrogativo: «il mistero della natura è tanto ampio e ascoso, che lo spirito umano, per intrinseca limitatezza e sproporzione, non riuscirà mai a scandagliarlo interamente?». Alcuni commentatori pongono i contenuti di questo discorso in relazione alle questioni cosmologiche suscitate da una precedente Allocuzione di Pio XII alla Pontificia Accademia delle Scienze.
I. Il panorama del cosmo
La presenza di una così numerosa accolta d’insigni astronomi di ogni paese richiama, illustri Signori, al Nostro spirito l’immagine del panorama o modello del cosmo, a cui l’astronomia moderna è pervenuta, e che voi, mediante le incessanti osservazioni e i geniali studi, avete condotto alla presente perfezione. Delle une e degli altri vi siamo grati, specialmente perché la cognizione scientifica del cosmo e la sua esaltante contemplazione attraggono l’animo Nostro e vostro a considerazioni filosofiche di più universale valore, e lo innalzano sempre più verso quel termine esauriente ogni sapere e sigillo di ogni essere, conosciuto nella sua suprema verità, «l’Amor che muove il sole e l’altre stelle» (Par., XXXIII, 145).
Quantunque siamo consapevoli di parlare dinanzi ad eletti rappresentanti della scienza, ben più di Noi in essa versati, non possiamo tuttavia astenerci dal ricordare, almeno a larghi tratti, il mirabile progresso conseguito dall’astronomia e dalla astrofisica negli ultimi cinquant’anni, additandone le pietre miliari che valgano al tempo stesso da fondamenti a quelle più alte considerazioni.
Ciò che per gli astronomi del passato fu un enigma ed un sogno, e che per i contemporanei è invece divenuto chiara realtà, superante ogni antiveggenza, si può forse giustamente esprimere con queste parole: la conquista dello spazio cosmico. Osservazione, intelligenza, nuovi mezzi tecnici, hanno posto in mano alla scienza astronomica come un gigantesco compasso, che essa ha ogni giorno più aperto sull’universo, fino a poter abbracciare presentemente dimensioni trascendenti ogni aspettativa. Quante barriere, erette soprattutto dalle enormi distanze, sono cadute negli ultimi decenni sotto l’incoercibile spinta dello spirito investigatore e non mai pago dello scienziato!
Il secolo passato fu testimone dei primi laboriosi tentativi di esplorazione nelle profondità dello spazio, quando Bessel, Struve e Henderson misurarono le prime parallassi trigonometriche; sicché al volgere del secolo, con una ben giusta soddisfazione, si potevano registrare con sicurezza le distanze di circa 58 stelle fisse, lontane dal nostro sole fino a 30 0 40 anni-luce.
Ma già nel 1912 un nuovo metodo assai più efficace per misurare le distanze cosmiche era destinato a portare lo sguardo dell’uomo ben più lontano. In un determinato tipo di stelle variabili, le Cefeidi, Miss Leavitt scoprì una relazione fra il periodo della variazione della luce e la sua luminosità o grandezza. Quindi, dovunque nel cielo si scopriva una Cefeide, si poteva dal periodo della variazione della sua luce concludere alla sua luminosità assoluta e, paragonando questa con la luminosità apparente, facilmente calcolare la sua distanza. Contemporaneamente le osservazioni erano favorite dall’incremento della sensibilità nelle emulsioni fotografiche, dai progressi nella costruzione di telescopi sempre più potenti, i quali permisero di accrescere il raggio di penetrazione dell’occhio umano per più milioni di volte, fino a raggiungere impensate profondità dello spazio.
Il primo grande passo al di là delle stelle vicine fu compiuto dall’astronomo Shapley con le sue ricerche divenute classiche intorno alla distribuzione degli ammassi globulari nello spazio; ricerche le quali portavano con sé una completa trasformazione del modo di concepire la struttura del sistema galattico. Altre investigazioni intanto, quali per esempio quelle relative ai movimenti stellari, alla diminuzione della luce quando passa attraverso la materia oscura nello spazio interstellare, perfezionarono la nuova concezione. Si ebbe pertanto la certezza che la Via Lattea degli antichi, ispiratrice d’ingenui miti, è una immensa accumulazione di circa 100 miliardi di stelle, talune più grandi, altre più piccole del nostro sole, interpenetrata da vaste nuvole di gas e di pulviscolo cosmico. Soggetto anch’esso alla legge generale di gravitazione, l’intero sistema si mantiene in rotazione per gigantesche orbite intorno ad un centro situato nelle grandi nuvole stellari del Sagittario. Rassomigliante nel suo tutto ad una enorme lente biconvessa e semovente, esso presenta un diametro di circa 100.000 anni-luce ed uno spessore al centro di circa 10.000. E noi col nostro sistema solare non siamo, come si credeva una volta, al centro di questo sterminato ammasso di astri, ma da esso distanti circa 30.000 anni-luce, e sebbene vi giriamo intorno vorticosamente con la velocità di circa 250 km. al secondo, nondimeno per compiere un solo giro completo occorrono 225 milioni dei nostri anni solari.
Con legittimo orgoglio la scienza astronomica del nostro secolo si è aggiudicata il merito della conquista del sistema galattico. A questo primo e felice balzo doveva ben presto seguirne un altro, che avrebbe portato la conoscenza umana al di là della Via Lattea nella immensità dello spazio. Ma esso fu reso possibile soprattutto grazie ai giganteschi telescopi di Lick, di Yerkes e del Monte Wilson.
Allorché Ritchey negli anni 1917-19 scoprì alcune Novae nella nebulosa di Andromeda, l’ipotesi che queste stelle fossero collocate in una nebulosa extragalattica alla distanza di centinaia di migliaia di anni-luce incontrò sul principio poca fede negli scienziati. Soltanto quando Hubble valendosi del grande specchio (di 2,50 metri di diametro) del Monte Wilson riuscì a risolvere in singole stelle e in ammassi globulari le parti esterne della nebulosa di Andromeda e ad individuare alcune Cefeidi, la riluttanza degli oppositori crollò. Allora infatti si poté essere sicuri che queste nebulose a spirale sono in realtà grandi sistemi stellari, simili per la loro composizione e grandezza al nostro sistema galattico, però così distanti da non dare all’occhio se non l’impressione di una piccola macchia di nebbia luminosa. La distanza della nebulosa a noi più prossima quella di Andromeda, risultò essere di 750.000, e quella del Triangolo di circa 780.000 anni-luce. Instancabili nello scandagliare i cieli, gli astronomi giunsero in appresso a considerare anche nebulose apparentemente molto più esigue di quelle galassie, e a calcolare le loro rispettive distanze, misurando i diametri apparenti e le loro luminosità, paragonando questi dati con le caratteristiche conosciute delle nebulose più vicine.
Finalmente le ricerche spettroscopiche del Humason condussero alla scoperta di una legge insospettata: lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso aumenta proporzionalmente alla distanza della nebulosa, di modo che dalla quota di questo spostamento si può accertare la distanza stessa, per quanto debole sia la luce che giunge sino a noi, purché sia sufficiente per produrre uno spettro misurabile.
Nel corso di queste ricerche intorno alle nebulose extra-galattiche si è osservato che (qualora si considerano vaste aree e profondità del cielo) esse sono quasi ugualmente disseminate nello spazio cosmico, né finora si è potuta notare una qualsiasi diminuzione della loro densità. Nello spazio raggiungibile dal telescopio del Monte Wilson si calcolano circa 100 milioni di tali isole di stelle distribuite in una sfera dal diametro di circa un miliardo di anni-luce, ciascuna delle quali comprende circa 100 miliardi di stelle simili ai nostro sole.
Dopo questa rapida corsa ideale nell’immenso cosmo, ritorniamo sulla nostra piccola terra, la quale con la mole delle sue catene montuose, con le sconfinate distese dei suoi oceani e dei suoi deserti, con la violenza dei suoi uragani, delle sue eruzioni vulcaniche e dei suoi movimenti sismici, ci appare talvolta tanto vasta e potente. Eppure un raggio di luce percorrerebbe, in un salo minuto secondo, il giro del nostro equatore più di sette volte; in poco più di un secondo - veramente in un batter d’occhio - raggiungerebbe la nostra vicina, la luna; in poco più di otto minuti il sole, e in cinque ore e mezzo toccherebbe il più, lontano pianeta del nostro sistema, Plutone. Quelle stelle fisse più vicine, che nelle notti serene ci sembrano quasi a portata di mano sulle vette dei monti, non potrebbero esser raggiunte da un nostro messaggio luminoso se non dopo più di quattro anni-luce, mentre ne occorrerebbero 30.000 perché ne giungesse uno al centro della nostra Via Lattea. La luce che ci proviene dalla nebulosa di Andromeda è partita dalla sua sorgente circa 750.000 anni fa, mentre alcune nebulose lontanissime, che solo i più potenti strumenti ottici moderni a mala pena riescono a registrare, dopo lunghissima posa, sulla lastra fotografica, come stelle minutissime, distano da 500 a 1000 milioni di anni-luce.
Quali cifre, quali dimensioni, quali distanze di spazio e di tempo! Tuttavia è da credere che la scienza astronomica è lontana dal potersi dire arrivata ai termine della sua meravigliosa avventura. Chi può dire quali ulteriori sconfinamenti sapranno darci in un prossimo avvenire lo specchio da 5 metri del Monte Palomar e il rapido sviluppo della radio-astronomia ? Come piccolo apparisce l’uomo in questo grandioso ampliamento di spazio e di tempo, quasi una minutissima particella di polvere nella immensità dell’universo. Eppure!
II. L'opera dello spirito indagatore
Ciò che peraltro maggiormente colpisce chiunque si ponga dinanzi al quadro del cosmo, qui appena tratteggiato, e che è il frutto di lunghe e faticose ricerche non di un singolo, ma di intere generazioni di studiosi, appartenenti alle più diverse Nazioni, non è solo la gigantesca mole del tutto e delle parti o i suoi armonici movimenti, bensì il comportamento dello spirito indagatore dell’uomo nello svelare un così vasto panorama. Legato essenzialmente a condizioni corporee di minime dimensioni, esso è riuscito a impadronirsi idealmente dell’immenso universo, superando qualsiasi prospettiva che l’esiguo potere dei sensi era a prima. vista in grado di promettergli.
Lavoro davvero immane il suo, se si considera il punto di partenza della sua mirabile scalata ai cieli, poiché i sensi, dai quali esso ha preso necessariamente le mosse, dispongono di un potere di conoscenza ben limitata, ristretto generalmente al vicino ambito di spazio e di tempo. Il primo merito dello, spirito fu dunque di aver abbattuto lo stretto recinto imposto ai sensi dalle condizioni della loro propria natura, con l’escogitare mezzi e costruire ingegnosi strumenti per accrescere oltre ogni limite l’ampiezza e la precisione delle loro percezioni il telescopio, che quasi annulla le enormi distanze tra l’occhio e i lontani astri, dandone una immediatezza tangibile; la lastra fotografica, che raccoglie e fissa le più deboli luci delle più lontane nebulose. A mano a mano che lo spirito ha così avvalorata la virtù dei sensi, dell’aumentata loro potenza si è valso per approfondire le indagini sulla natura, escogitando mille metodi artificiosi per svelare i più sottili e reconditi fenomeni. In questo modo esso raccoglie i più piccoli effetti che continuamente si ripetono, per conseguire un integrale percettibile; e viceversa inventa strumenti, quali la fotocellula e la camera di Wilson, per investigare i singoli processi atomici estremamente fini della materia radioattiva e dei raggi cosmici. Sempre più perscrutando, esso trova le leggi che presiedono ai processi energetici, e perviene così a cambiare forme di energie, che sono fuori dell’ambito della percezione sensibile, come le onde elettriche e i raggi infrarossi ed ultravioletti, in altre che rientrano nella osservazione diretta e molto precisa dei sensi.
Lo spirito interroga la natura negli esperimenti del laboratorio, e ne deduce le leggi valide, frattanto, per le ristrette condizioni dei suoi tentativi. Non ancora soddisfatto, prova ed estende l’ambito della loro applicazione per mezzo di osservazioni astrofisiche. La conoscenza pratica e teorica degli spettri molecolari lo rende capace di avventurarsi nelle dense atmosfere dei pianeti superiori e di accertare la composizione, la temperatura, la densità di questi gas. Valendosi dei fatti e delle teorie della scienza spettroscopica, leva lo sguardo scrutatore alle stelle fisse, raccogliendo la conoscenza esatta della composizione, della temperatura, della densità e della ionizzazione delle loro misteriose atmosfere. Con l’aiuto della teoria moderna dei quanti lo spirito indagatore legge nelle righe spettrali, anche prima che sia possibile di eccitarle nel laboratorio, e ne spiega l’appartenenza e l’origine. Neppure le profondità del globo solare sfuggono all’acume del suo sguardo armato dalle teorie astrofisiche, di guisa che riesce a seguirne la dissociazione della materia, e quasi assiste ai processi nucleari che si compiono nel centro del sole, e che valgono a compensare le perdite dovute alle sue irradiazioni nel corso di miliardi di anni. Impavido e ardito, lo spirito umano non si arresta dinanzi ai più formidabili cataclismi di una Nova o Supernova, misura le immani velocità dei gas erompenti e cerca di scoprire le loro cause. Si lancia a seguire le vie delle fuggenti galassie, rifacendone indietro il percorso per i miliardi di anni del tempo passato, quasi spettatore dei processi cosmici svoltisi nel primo mattino della creazione.
Che cosa è dunque lo spirito di questo piccolo uomo, fisicamente smarrito nell’oceano dell’universo, che ha osato chiedere ai suoi sensi d’infinitesimale esiguità di scoprire il volto e la storia dell’immenso cosmo, e l’uno e l’altra ha svelato? Una sola risposta può darsi di lampante evidenza, cioè che lo spirito dell’uomo appartiene ad un ordine dell’essere essenzialmente differente e superiore a quello della materia, sia pure questa di smisurata mole.
III. Lo Spirito creatore eterno
Si affaccia infine spontanea la domanda: il cammino intrapreso dallo spirito dell’uomo, che finora torna a suo incontrastato onore, sarà poi indefinitamente ad esso aperto ed incessantemente percorso fino a svelare l’ultimo degli enigmi che l’universo ha in serbo? O, al contrario, il mistero della natura è tanto ampio e ascoso, che lo spirito umano, per intrinseca limitatezza e sproporzione, non riuscirà mai a scandagliarlo interamente? La risposta delle menti robuste, che più profondamente sono penetrate nei segreti del cosmo, è ben modesta e riservata. Siamo, essi pensano, all’inizio; molto cammino resta a fare e sarà fatto indefessamente; tuttavia non vi è alcuna probabilità che anche il più geniale indagatore potrà mai arrivare a conoscere, e anche meno a risolvere, tutti gli enigmi racchiusi nell’universo fisico. Questi perciò postulano e indicano l’esistenza di uno Spirito infinitamente superiore: dello Spirito creatore divino, il quale tutto ciò che esiste crea, conserva, governa e pertanto con suprema intuizione conosce e scruta, oggi come all’alba del primo giorno della creazione. Spiritus Dei ferebatur super aquas (Gen. l , 2).
Felice e trascendente questo incontro, attraverso la contemplazione del cosmo, tra lo spirito umano e lo Spirito creatore. Spirito in verità divino, e non quasi un’anima del mondo, con esso confusa, come sognò il panteismo. L’universo stesso della nostra esperienza si ribella a questo errore, confessando di essere un tutto composto, nonostante la sua unità dinamica, e mostrando, accanto alle sue innegabili bellezze ed armonie, le evidenti sue imperfezioni, inconciliabili con la divina pienezza dell’Essere. Spirito divino, distinto e differente dal mondo, non però fuori del mondo, appartato quasi in solitudine sdegnosa, che l’opera sua abbandonerebbe alla sua sorte, come affermano le teorie deistiche, ma, al contrario, presente al mondo, come creatore, conservatore e governatore onnipotente, a cui il mondo è legato nel suo intimo essere ed operare in una dipendenza essenziale. Spirito divino, inoltre, che alla mente dello scienziato, il quale sappia trarre un senso dal complesso di tutta la realtà esistente, si rivela ben diverso dal freddo cosmo per un afflato di bontà e di amore, che tutto pervade e spiega, ed in modo particolare si concentra e si rivela nella creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, e che perciò non disdegna di continuare a far oggetto di ineffabili amorose operazioni, quale la Redenzione mediante la sua misteriosa Incarnazione. L’ampliamento pertanto della concezione cosmica, che ha sovvertito giustamente l’antica idea geo- e antropocentrica e ha rimpiccolito il nostro pianeta, per così dire, fino alle dimensioni di un pulviscolo astrale, e l’uomo a quelle di un atomo sul pulviscolo, confinando l’uno e l’altro in un angolo dell’universo, non costituisce un ostacolo, - come alcuni hanno affermato, discorrendo del mistero della Incarnazione -, né per l’amore, né per l’onnipotenza di Chi è puro spirito, e, come tale, possiede una infinita superiorità sulla materia, quali che possano essere di questa le dimensioni cosmiche in spazio, tempo, massa ed energia.
In tal guisa, illustri Signori, oltre alla profonda stima che nutriamo per la vostra e per ogni altra scienza, un motivo di più, fondato in più alti e universali orizzonti, Ci spinge a formulare questo augurio. Possa la moderna concezione della scienza astronomica, che è stata l’ideale di tanti grandi del passato, come di un Copernico, di un Galileo, di un Kepler, di un Newton, essere ancora feconda di meravigliosi progressi alla moderna astrofisica, e far sì che, grazie alla concorde collaborazione, di cui è esemplare promotrice la «International Astronomical Union», il quadro astronomico dell’universo consegua un sempre più profondo perfezionamento.
E affinché la eterna Luce di Dio vi guidi e rischiari nei vostri studi intesi a svelare le orme delle sue perfezioni e a raccogliere gli echi delle sue armonie, invochiamo su tutti i presenti i celesti favori, pegno dei quali discenda su di voi la Nostra Apostolica Benedizione.
da Pio XII, Discorsi agli intellettuali (1939-1954), Studium, Roma 1955, pp. 111-118.