Parola, Logos e creazione, dall’Esortazione apostolica Verbum Domini, nn. 8-13

Dimensione cosmica della Parola

8. Consapevoli del significato fondamentale della Parola di Dio in riferimento all’eterno Verbo di Dio fatto carne, unico salvatore e mediatore tra Dio e l’uomo,[1] ed in ascolto di questa Parola, siamo condotti dalla rivelazione biblica a riconoscere che essa è il fondamento di tutta la realtà. Il Prologo di san Giovanni afferma, in riferimento al Logos divino, che «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3); anche nella Lettera ai Colossesi si afferma in riferimento a Cristo, «primogenito di tutta la creazione» (1,15), che «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (1,16). E l’autore della Lettera agli Ebrei ricorda che «per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile» (11,3).

Questo annuncio è per noi una parola liberante. Infatti, le affermazioni scritturistiche indicano che tutto ciò che esiste non è frutto di un caso irrazionale, ma è voluto da Dio, è dentro il suo disegno, al cui centro sta l’offerta di partecipare alla vita divina in Cristo. Il creato nasce dal Logos e porta in modo indelebile la traccia della Ragione creatrice che ordina e guida. Di questa certezza gioiosa cantano i salmi: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 33,6); ed ancora: «egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto» (Sal 33,9). L’intera realtà esprime questo mistero: «I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento» (Sal 19,2). Per questo è la stessa sacra Scrittura che ci invita a conoscere il Creatore osservando il creato (cfr Sap 13,5; Rm 1,19-20). La tradizione del pensiero cristiano ha saputo approfondire questo elemento-chiave della sinfonia della Parola, quando, ad esempio, san Bonaventura, che insieme alla grande tradizione dei Padri greci vede tutte le possibilità della creazione nel Logos,[2] afferma che «ogni creatura è parola di Dio, poiché proclama Dio».[3] La Costituzione dogmatica Dei Verbum aveva sintetizzato questo dato dichiarando che «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé».[4]

La creazione dell’uomo

9. La realtà, dunque, nasce dalla Parola come creatura Verbi e tutto è chiamato a servire la Parola. La creazione è luogo in cui si sviluppa tutta la storia dell’amore tra Dio e la sua creatura; pertanto la salvezza dell’uomo è il movente di tutto. Contemplando il cosmo nella prospettiva della storia della salvezza siamo portati a scoprire la posizione unica e singolare occupata dall’uomo nella creazione: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Questo ci consente di riconoscere pienamente i doni preziosi ricevuti dal Creatore: il valore del proprio corpo, il dono della ragione, della libertà e della coscienza. In ciò troviamo anche quanto la tradizione filosofica chiama «legge naturale».[5] In effetti, «ogni essere umano che accede alla coscienza e alla responsabilità fa l’esperienza di una chiamata interiore a compiere il bene»[6] e, dunque, ad evitare il male. Come ricorda san Tommaso d’Aquino, su questo principio si fondano anche tutti gli altri precetti della legge naturale.[7] L’ascolto della Parola di Dio ci porta innanzitutto a stimare l’esigenza di vivere secondo questa legge «scritta nel cuore» (cfr Rm 2,15; 7,23).[8] Gesù Cristo, poi, dà agli uomini la Legge nuova, la Legge del Vangelo, la quale assume e realizza in modo eminente la legge naturale, liberandoci dalla legge del peccato, a causa del quale, come dice san Paolo, «in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo» (Rm 7,18), e dona agli uomini, mediante la grazia, la partecipazione alla vita divina e la capacità di superare l’egoismo.[9]

Il realismo della Parola

10. Chi conosce la divina Parola conosce pienamente anche il significato di ogni creatura. Se tutte le cose, infatti, «sussistono» in Colui che è «prima di tutte le cose» (cfr Col 1,17), allora chi costruisce la propria vita sulla sua Parola edifica veramente in modo solido e duraturo. La Parola di Dio ci spinge a cambiare il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto.[10] Di ciò abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo, in cui molte cose su cui si fa affidamento per costruire la vita, su cui si è tentati di riporre la propria speranza, rivelano il loro carattere effimero. L’avere, il piacere e il potere si manifestano prima o poi incapaci di compiere le aspirazioni più profonde del cuore dell’uomo. Egli, infatti, per edificare la propria vita ha bisogno di fondamenta solide, che rimangano anche quando le certezze umane vengono meno. In realtà, poiché «per sempre, o Signore, la tua parola è stabile nei cieli» e la fedeltà del Signore dura «di generazione in generazione» (Sal 119,89-90), chi costruisce su questa Parola edifica la casa della propria vita sulla roccia (cfr Mt 7,24). Che il nostro cuore possa dire ogni giorno a Dio: «Tu sei mio rifugio e mio scudo: spero nella Tua parola» (Sal 119,114) e come san Pietro possiamo agire ogni giorno affidandoci al Signore Gesù: «sulla Tua parola getterò le reti» (Lc 5,5).

Cristologia della Parola

11. Da questo sguardo alla realtà come opera della santissima Trinità, mediante il Verbo divino, possiamo comprendere le parole dell’autore della Lettera agli Ebrei: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (1,1-2). È molto bello osservare come già tutto l’Antico Testamento si presenti a noi come storia nella quale Dio comunica la sua Parola: infatti, «mediante l’alleanza stretta con Abramo (cfr Gen 15,18), e per mezzo di Mosè col popolo d’Israele (cfr Es 24,8), egli si rivelò, in parole e in atti, al popolo che così s’era acquistato, come l’unico Dio vivo e vero, in modo tale che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e, parlando Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza alle genti (cfr Sal 21,28-29; 95,1-3; Is 2,1-4; Ger 3,17)».[11]

Questa condiscendenza di Dio si compie in modo insuperabile nell’incarnazione del Verbo. La Parola eterna che si esprime nella creazione e che si comunica nella storia della salvezza è diventata in Cristo un uomo, «nato da donna» (Gal 4,4). La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di fronte alla persona stessa di Gesù. La sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all’umanità. Da qui si capisce perché «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».[12] Il rinnovarsi di questo incontro e di questa consapevolezza genera nel cuore dei credenti lo stupore per l’iniziativa divina che l’uomo con le proprie capacità razionali e la propria immaginazione non avrebbe mai potuto escogitare. Si tratta di una novità inaudita e umanamente inconcepibile: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14a). Queste espressioni non indicano una figura retorica, ma un’esperienza vissuta! A riferirla è san Giovanni, testimone oculare: «noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14b). La fede apostolica testimonia che la Parola eterna si è fatta Uno di noi. La Parola divina si esprime davvero in parole umane.

12. La tradizione patristica e medievale, nel contemplare questa «Cristologia della Parola», ha utilizzato un’espressione suggestiva: il Verbo si è abbreviato.[13] «I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell’Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia, che anche san Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell’Antico Testamento. Lì si leggeva: “Dio ha reso breve la sua Parola, l’ha abbreviata” (Is 10,23; Rm 9,28) … Il Figlio stesso è la Parola, è il Logos: la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile».[14] Adesso, la Parola non solo è udibile, non solo possiede una voce, ora la Parola ha un volto, che dunque possiamo vedere: Gesù di Nazareth.[15]

Seguendo il racconto dei Vangeli, notiamo come la stessa umanità di Gesù si mostri in tutta la sua singolarità proprio in riferimento alla Parola di Dio. Egli, infatti, realizza nella sua perfetta umanità la volontà del Padre istante per istante; Gesù ascolta la sua voce e vi obbedisce con tutto se stesso; egli conosce il Padre e osserva la sua parola (cfr Gv 8,55); racconta a noi le cose del Padre (cfr Gv 12,50); «le parole che hai dato a me io le ho date a loro» (Gv 17,8). Pertanto Gesù mostra di essere il Logos divino che si dona a noi, ma anche il nuovo Adamo, l’uomo vero, colui che compie in ogni istante non la propria volontà ma quella del Padre. Egli «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). In modo perfetto, ascolta, realizza in sé e comunica a noi la Parola divina (cfr Lc 5,1).

La missione di Gesù trova infine il suo compimento nel Mistero Pasquale: qui siamo posti di fronte alla «Parola della croce» (1Cor 1,18). Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è «detto» fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare. Suggestivamente i Padri della Chiesa, contemplando questo mistero, mettono sulle labbra della Madre di Dio questa espressione: «È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita».[16] Qui ci è davvero comunicato l’amore «più grande», quello che dà la vita per i propri amici (cfr Gv 15,13).

In questo grande mistero Gesù si manifesta come la Parola della Nuova ed Eterna Alleanza: la libertà di Dio e la libertà dell’uomo si sono definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa, in un patto indissolubile, valido per sempre. Gesù stesso nell’Ultima Cena, nell’istituzione dell’Eucaristia, aveva parlato di «Nuova ed Eterna Alleanza», stipulata nel suo sangue versato (cfr Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20), mostrandosi come il vero Agnello immolato, nel quale si compie la definitiva liberazione dalla schiavitù.[17]

Nel mistero luminosissimo della risurrezione questo silenzio della Parola si manifesta nel suo significato autentico e definitivo. Cristo, Parola di Dio incarnata, crocifissa e risorta, è Signore di tutte le cose; egli è il Vincitore, il Pantocrator, e tutte le cose sono così ricapitolate per sempre in Lui (cfr Ef 1,10). Cristo, dunque, è «la luce del mondo» (Gv 8,12), quella luce che «splende nelle tenebre» (Gv 1,5) e che le tenebre non hanno vinto (cfr Gv 1,5). Qui comprendiamo pienamente il significato del Salmo 119: «lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (v. 105); la Parola che risorge è questa luce definitiva sulla nostra strada. I cristiani fin dall’inizio hanno avuto coscienza che in Cristo la Parola di Dio è presente come Persona. La Parola di Dio è la vera luce di cui l’uomo ha bisogno. Sì, nella risurrezione il Figlio di Dio è sorto come Luce del mondo. Adesso, vivendo con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce.

13. Giunti, per così dire, al cuore della «Cristologia della Parola», è importante sottolineare l’unità del disegno divino nel Verbo incarnato: per questo il Nuovo Testamento ci presenta il Mistero Pasquale in accordo con le sacre Scritture, come loro intimo compimento. San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, afferma che Gesù Cristo morì per i nostri peccati «secondo le Scritture» (15,3) e che è risorto il terzo giorno «secondo le Scritture» (15,4). Con ciò l’Apostolo pone l’evento della morte e risurrezione del Signore in relazione alla storia dell’Antica Alleanza di Dio con il suo popolo. Anzi, ci fa capire che tale storia riceve da esso la sua logica ed il suo vero significato. Nel Mistero Pasquale si compiono «le parole della Scrittura, cioè, questa morte realizzata “secondo le Scritture” è un avvenimento che porta in sé un logos, una logica: la morte di Cristo testimonia che la Parola di Dio si è fatta sino in fondo “carne”, “storia” umana».[18] Anche la risurrezione di Gesù avviene «il terzo giorno secondo le Scritture»: poiché secondo l’interpretazione giudaica la corruzione cominciava dopo il terzo giorno, la parola della Scrittura si adempie in Gesù che risorge prima che cominci la corruzione. In tal modo san Paolo, tramandando fedelmente l’insegnamento degli Apostoli (cfr 1 Cor 15,3), sottolinea che la vittoria di Cristo sulla morte avviene attraverso la potenza creatrice della Parola di Dio. Questa potenza divina reca speranza e gioia: è questo in definitiva il contenuto liberatore della rivelazione pasquale. Nella Pasqua, Dio rivela se stesso e la potenza dell’Amore trinitario che annienta le forze distruttrici del male e della morte.

Richiamando questi elementi essenziali della nostra fede, possiamo così contemplare la profonda unità tra creazione e nuova creazione e di tutta la storia della salvezza in Cristo. Esprimendoci con un’immagine, possiamo paragonare il cosmo ad un «libro» – così diceva anche Galileo Galilei –, considerandolo come «l’opera di un Autore che si esprime mediante la “sinfonia” del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un “assolo”, un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo “assolo” è Gesù… Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera».[19]

 



[1]Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa Dominus Iesus (6 agosto 2000), 13-15: AAS 92 (2000), 754-756.
[2]Cfr In Hexaemeron, XX,5: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 425-426; Breviloquium, I, 8: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 216-217.
[3]Itinerarium mentis in Deum, II, 12: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 302-303; cfr Commentarius in librum Ecclesiastes, Cap. 1, vers. 11, Quaestiones II, 3: Opera Omnia, VI, Quaracchi 1891, p. 16.
[4]Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 3; cfr Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2, De revelatione: DS 3004.
[5]Cfr Propositio 13.
[6]Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009, n. 39.
[7]Cfr Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2.
[8]Cfr Pontificia Commissione Biblica, Bibbia e morale. Radici bibliche dell’agire cristiano (11 maggio 2008), Città del Vaticano 2008, n. 13, 32, 109.
[9]Cfr Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009, n. 102.
[10]Cfr Benedetto XVI, Omelia durante l’Ora Terza all’inizio della I Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi (6 ottobre 2008): AAS 100 (2008), 758-761.
[11]Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 14.
[12]Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 1: AAS 98 (2006), 217-218.
[12]«Ho Logos pachynetai (o brachynetai)». Cfr Origene, Peri Archon, I, 2, 8: SC 252, pp. 127-129.
[14]Benedetto XVI, Omelia nella solennità della Natività del Signore (24 dicembre 2006): AAS 99 (2007), 12.
[15]Cfr Messaggio finale del Sinodo, II, 4-6.
[16]Massimo il Confessore, La vita di Maria, n. 89: Testi mariani del primo millennio, 2, Roma 1989, p. 253.
[17] Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 9-10: AAS 99 (2007), 111-112.
[18] Benedetto XVI, Udienza Generale (15 aprile 2009): L’Osservatore Romano, 16 aprile 2009, p. 1.
[19] Id., Omelia nella solennità dell’Epifania (6 gennaio 2009): L’Osservatore Romano, 7-8 gennaio 2009, p. 8.