Discorso all’Assemblea plenaria del Segretariato per i non credenti, in occasione del Convegno di studio su “Scienza e non credenza”

Signori Cardinali, cari Fratelli nell’Episcopato, cari amici,

1. È una gioia per me incontrare questa mattina, per la prima volta, i partecipanti all’Assemblea plenaria del Segretariato per i non credenti, con il suo nuovo Pro-Presidente e i suoi nuovi membri. Si tratta in effetti di sviluppare l’impulso già dato da Papa Paolo VI con il caro Cardinale Franz König e il rimpianto Padre Vincenzo Miano.

Il tema che adesso studiate, “Scienza e non credenza”, è di un’importanza capitale, e la Santa Sede è desiderosa già da lungo tempo di promuoverne l’approfondimento. Esso si situa bene nella finalità del vostro Segretariato che ha ricevuto come compito sia lo studio dell’ateismo che il dialogo con i non credenti. È ben chiaro per tutti voi, lo so, che non si tratta di uno studio da perseguire in modo accademico, ma d’un lavoro di riflessione pastorale, che non esclude né rigore di metodo né ricerca approfondita. Certamente, voi non potete dialogare, come gli altri due Segretariati, con delle istituzioni internazionali adeguate; il vostro compito implica piuttosto i rapporti con le Conferenze Episcopali secondo le diverse situazioni socio-culturali.

2. Con riferimento a questo ultimo aspetto, il vostro tema di ricerca è molto ricco, se si considera che la scienza è un fatto di cultura, che comporta conseguenze importanti sulla mentalità, sia che si tratti di scienze della natura che di scienze umane.

Cercare di comprendere la totalità del reale è un’ambizione legittima che onora l’uomo e che il credente condivide. Non c’è dunque opposizione a questo livello, ma piuttosto a quello delle mentalità, quando esse sono dominate da una concezione scientista, secondo la quale il dominio della verità si identificherebbe con ciò che può essere conosciuto e verificato sperimentalmente. Una tale mentalità positivistica segna nel profondo la cultura moderna derivata dalla filosofia detta “dei lumi”. È dunque una tale filosofia che si oppone in maniera ideologica alla fede, ma non la scienza in se stessa. Al contrario, la ricerca appassionata dei “come” chiede una risposta ai “perché”.

Accade la stessa cosa, in un certo senso, per le scienze umane, che conoscono un crescente sforzo e il cui dominio è allora più difficilmente definibile. Esse non soccombono ad una pretesa scientifica ben più di quanto non diano prova della loro reale scientificità, quando i loro promotori tendono a presentare come modello ideale di questo tipo di conoscenza una concezione che riduce l’uomo – che è il soggetto ad un oggetto di studio, di ricerca e di sperimentazione, con l’esclusione della realtà propriamente spirituale?

3. Lo sviluppo delle scienze, attraverso l’aumento di razionalità che comporta, si richiama in ultima analisi ad una visione della totalità che essa non può fornire: il senso del senso. Perché se è vero che la scienza è la forma privilegiata di conoscenza, non ne consegue per questo che il sapere scientifico sia la sola forma legittima del sapere. In questa prospettiva radicalmente riduttiva, la fede non apparirebbe altro che come una ingenua rappresentazione della realtà, collegata ad una mentalità mitologica. Al contrario, in una prospettiva totalizzante, ciò che importa e ben distinguere gli ordini specifici, e, lungi dall’opporsi ai contenuti, proporre la loro integrazione entro una epifania della verità.

È certo che la presa in considerazione della totalità del reale è cosa delicata e difficile. Talvolta vi è una riduzione di un ordine all’altro; talvolta al contrario si pensa di poter sprezzare ogni articolazione. Bisogna riconoscere qui una doppia tentazione per i credenti: il razionalismo e il fideismo.

4. Per il resto, più che di un confronto astratto tra non credenza scientifica e fede cristiana, si tratta di un dialogo costruttivo tra gli uomini, dove la dinamica della razionalità non si oppone per nulla alla trascendenza della fede nella sua specificità, ma, in un certo senso, la richiama. È nell’esperienza della vita che appare necessario superare il vuoto interiore causato dal cedimento dei sensi, quando la totalizzazione delle attività dell’uomo si situa entro un universo chiuso e non è più assunta entro una prospettiva che la supera, entro un sovrarazionale che, lungi dall’essere un non-razionale o un infrarazionale, è il fondamento e il fine della razionalità.

5. Bisogna segnalare anche un rischio inerente al metodo della ricerca scientifica stessa. Essa ha un suo oggetto e sue proprie esigenze. Ma, nella misura in cui essa impregna tutto il pensiero, tutto il modo di vedere l’esistenza, essa può trascinare nell’ambito della fede la perdita della certezza propria di quest’ultima, nella quale il sapere è anche amore. Così, questo spirito di ricerca perpetuo può portare a rimettere in causa i doni essenziali della fede e, senza negarli, a sospendere il giudizio e l’affermazione, sin tanto che non ha chiarito a se stessa tutte le ragioni del credere e tutti gli aspetti del mistero cristiano, come se ci si aspettasse altre scoperte riguardanti il credo stesso. Certamente bisogna, come diceva l’apostolo Pietro, essere sempre capaci di rendere conto della speranza che è in noi (cf. 1Pt 3,15). E si tratta di un reale lavoro scientifico da perseguire assiduamente in teologia, in esegesi, in morale; ma poggiandosi su un dato rivelato all’interno di una adesione globale già data a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, che non mette provvisoriamente tra parentesi le affermazioni certe del Magistero. C’è per voi, certamente, una evidenza; ma gli spiriti imbevuti di ricerca scientifica possono trovarvi un disagio o un ostacolo, senza comprendere lo specifico e la trascendenza della fede, e rischiano di rimanere sulla soglia di quest’ultima.

6. È importante illuminare questa difficoltà come quelle più radicali che ho segnalato prima, ed aiutare le nostre generazioni a superarle.

Come ho detto il 10 ottobre scorso, a proposito del tema che voi studiate, “una catechesi insufficientemente informata della problematica delle scienze esatte come delle scienze umane, nella loro diversità, può creare ostacoli in una intelligenza, invece di aprire il cammino dell’affermazione di Dio”. È il caso di quando si verifica un vero sfasamento tra l’immagine attuale del mondo costruito dalle scienze – anche soprattutto a causa della divulgazione delle scienze al grande pubblico – e le espressioni tradizionali della fede, ripetute talvolta senza preoccuparsi della mentalità corrente.

7. Per concludere, come dimenticare che gli studiosi stessi riconoscono che l’oggettività e la razionalità, per quanto importanti esse siano, non appagano il bisogno che ha l’uomo di capire il suo destino? Ma ciò non è sufficiente a condurre al riconoscimento di un Dio personale e trascendente. E certi si volgono verso una sorta di panteismo a colorazione mistica. Ripudiano lo scientismo, quella scienza smarrita al di là delle sue frontiere, respingono altrettanto le Chiese istituite, in ragione di una rivendicazione di autonomia umana e di critiche di ordine socio-politico, congiunte con il relativismo che generano la scoperta di diverse religioni e la moltiplicazione delle sette.

L’incontro della scienza e della fede pone problemi che il credente può risolvere ragionevolmente. Ma il mistero della fede non può vivere che in maniera esistenziale. E l’incontro multiforme dell’ateismo, della non credenza, dell’indifferenza richiedono l’esistenza di credenti con convinzioni ben radicate e che vivano una esperienza cristiana, che cioè possiedano una solida formazione, che non sia separata dalla preghiera e dalla testimonianza evangelica. La fede è un dono di Dio, una grazia, e ancora una volta, essa suppone l’amore.

8. Le università cattoliche, i filosofi e i teologi, i pensatori e gli scrittori, da parte loro, hanno un ruolo considerevole da ricoprire: presentare una antropologia vera e credibile, attraverso le diverse culture, terreno fondamentale di incontro. Come ho detto all’UNESCO il 2 giugno scorso: “L’uomo vive una vita veramente umana grazie alla cultura” (Giovanni Paolo II, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/1 [1980] 1639). Si tratta di mostrare come l’uomo – e al giorno d’oggi l’uomo determinato dalle scienze e dallo spirito scientifico – divenga pienamente uomo aprendosi alla pienezza del Verbo Incarnato: “Ecco l’uomo”.

Bisogna affermare l’importanza per la Chiesa di una pastorale della intelligenza. E il Segretariato per i non credenti vi deve giocare un ruolo importante d’incitamento, d’approfondimento, di suggestioni, di proposizione, in seno alla Curia romana ed al servizio delle Chiese locali impegnate nella sfida dell’ateismo e nel dramma della non credenza, in collegamento certamente con le competenze universitarie. Ciò potrà anche aiutare numerosi credenti a testimoniare i valori che costituiscono la loro ragione di vivere, a trovare le parole per condividerle, e a non temere di affermarsi come testimoni di Cristo nel nome stesso della ricerca ostinata della Verità che, attraverso secoli di ricerca scientifica, costituisce la grandezza dell’umanità.

Queste riflessioni non esauriscono evidentemente questo vasto argomento. Ci ritorneremo. Desidero che troviate oggi un incoraggiamento a perseverare nel vostro lavoro. Continuate a tracciare un cammino verso il Vangelo, a gettare ponti. Che lo Spirito Santo vi illumini e vi fortifichi! Con la mia affettuosa benedizione apostolica.