Vincenzo Balzani, professore ordinario di Chimica all’Università di Bologna, è uno dei più prestigiosi chimici italiani e internazionali. Per la sua attività scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti, fra i quali la Medaglia d'oro Cannizzaro della SCI, la Porter Medal in Fotochimica e la nomina come Centenary Lecturer della Royal Chemical Society. È stato Presidente della European Photochemistry Association ed è membro della American Association for the Advancement of Science, della Accademia Nazionale delle Scienze e dell'Accademia dei Lincei. È stato inoltre nominato “Grande Ufficiale, Ordine al Merito della Repubblica Italiana” per meriti scientifici. I suoi principali temi di ricerca riguardano la fotochimica, la chimica supramolecolare, i dispositivi e le macchine molecolari, e l'aspetto chimico della nanotecnologia. Si interessa anche al tema dell'energia ed è il coordinatore di un appello rivolto al Governo riguardo “Le scelte energetiche per il futuro dell'Italia” (www.energiaperilfuturo.it) che è stato firmato da alcune migliaia di docenti e ricercatori di Università e Centri di ricerca.
In occasione dell’Anno Internazionale della Chimica, il Portale di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede gli ha rivolto alcune domande.
Fin dalla sua comparsa sulla terra, l'essere umano ha rivolto lo sguardo verso il cielo interrogandosi sul cosmo, ponendo così le premesse per la futura nascita dell'Astronomia come scienza. Al tempo stesso, anche il desiderio di indagare l'infinitamente piccolo, interrogandosi sulla struttura intima delle cose, ha certamente catturato la sua attenzione, ponendo le premesse per la successiva nascita di quello che oggi chiamiamo Chimica. Prof. Balzani, lo studio della Chimica conserva anche oggi qualcosa di questo originario desiderio?
Certamente. Il fascino esercitato dall'infinitamente piccolo non è minore di quello esercitato dall'infinitamente grande. Da quando l'uomo ha capito che il mondo materiale, e anche il suo stesso corpo, è formato da atomi e molecole, ha sentito il bisogno di conoscere meglio la natura e le leggi che regolano l'azione di queste entità. Ha così scoperto un mondo nuovo e anche il linguaggio della materia, dove le lettere sono gli atomi, un centinaio, riuniti in un alfabeto che si chiama Tavola Periodica, e le parole sono le molecole, molti milioni, presenti in natura o prodotte artificialmente. E ha anche scoperto che, come le parole, anche le molecole hanno composizione, struttura, proprietà e funzioni specifiche, tanto da poterci fare del bene o del male.
Quando pensiamo alla Chimica siamo subito portati a sottolineare la sua capacità di aver individuato i "mattoni" fondamentali delle sostanze materiali, e dunque la sua capacità di scomporli, modificarli, sintetizzandone di nuovi per i molti impieghi che il progresso chiede alla scienza. Quali orientamenti dovrebbe seguire la ricerca scientifica per servire l'uomo, il suo sviluppo e il suo habitat?
Goethe si opponeva all'uso del microscopio dicendo che se c'è qualcosa che non si può vedere ad occhio nudo non si deve andare a vedere perché evidentemente è nascosta per qualche buona ragione. Oggi, invece, il chimico sa che solo "andando a vedere" nel piccolo, fino alle dimensioni del nanometro (miliardesimo di metro) si possono ideare, progettare e costruire nuove molecole aventi proprietà specifiche e capaci di svolgere nuove funzioni. Dopo aver capito come è fatto il mondo ed il suo stesso corpo, l'uomo oggi è in grado di modificare sia l'uno che l'altro. Certamente alcuni chimici fanno ricerca essenzialmente per dimostrare la propria intelligenza (d'altra parte, diventare come Dio è una nascosta aspirazione di scienziati di tutti i campi). Personalmente penso che la possibilità di intervenire sul mondo e sull'uomo vada considerata come un privilegio da cui deriva una grande responsabilità nei confronti degli altri uomini e, per uno scienziato credente, anche nei confronti di Dio. La ricerca scientifica, quindi, deve essere guidata dall'etica.
Chimica e simmetria, forse perfino chimica e bellezza, sono due termini quasi sinonimi. Uno sguardo alla Tavola Periodica degli Elementi o alla struttura di un cristallo basterebbe a rivelarlo. Cosa si prova a conoscere più da vicino l'ordine delle strutture della materia e le forme con cui ci si manifestano? La meraviglia è ancora di casa nei laboratori chimici?
Sì, la chimica, oltre che essere utile ed importante, è anche bella. Un artista ungherese, Vizi Béla, ha creato bellissime sculture prendendo come modelli molecole che hanno forme simmetriche e armoniche. La Tavola Periodica, che esprime con molte sfumature le somiglianze e le differenze fra le proprietà dei vari elementi, è a tutti gli effetti un'icona, l'icona della Chimica. Nessuna altra scienza ha un simile documento di identità così esauriente e così preciso.
La meraviglia, poi, è certamente di casa nei laboratori chimici, come in ogni altro laboratorio di ricerca. La ricerca parte dalla curiosità, che ci porta a fare domande alla Natura sotto forma di esperimenti. La conoscenza che deriva dai risultati degli esperimenti molto spesso è motivo di meraviglia, che porta a fare altre, più approfondite domande, sotto forma di nuovi esperimenti, che a loro volta portano a nuova conoscenza e causano nuova meraviglia. Gli scienziati sanno che ogni scoperta scientifica genera più domande di quelle a cui dà risposta. Per esprimere questo concetto nelle mie conferenze cito quanto ha scritto Joseph Priestley, il primo scienziato che ha indagato sula fotosintesi: "Più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine dell'oscurità entro cui il cerchio è confinato".
Assieme ad una crescente meraviglia, il crescere della conoscenza porta anche alla consapevolezza di quanto il Creato sia più grande di noi. E' un sentimento che spesso esprimo con una battuta tratta da uno scritto di Martin Buber: quando si chiede ad un saggio "Hai acquistato conoscenza, che ti manca?", la risposta sarà: "Così è in verità. Se tu hai acquistato conoscenza, allora soltanto sai quel che ti manca".
La storia della scienza ci mostra che la chimica moderna è nata come emancipazione dall'alchimia, una pratica che certamente impiegava l'osservazione e l'esperimento, ma aveva ancora una visione in buona parte deduttiva sulle forze e le energie della materia. Al tempo stesso, l'alchimia possedeva una sorta di rapporto sacrale con la natura e con l'Artefice di tutte le cose: ci è stata infatti tramandata anche una "preghiera dell'alchimista". A livello più generale, c'è a suo avviso, nella storia della chimica, qualche eredità che varrebbe la pena di riscoprire o valorizzare?
Sì, ci sono molte eredità "laiche" che andrebbero valorizzate, molte storie di scienziati che più che cercare il successo personale, si sono messi in vario modo al servizio della comunità. Penso, ad esempio, che andrebbe valorizzata l'opera di Giacomo Ciamician, il chimico dal quale il mio dipartimento ha preso nome. Amatissimo dai suoi studenti e dall'intera città, Giacomo Ciamician agli inizi del secolo scorso fu il primo scienziato a capire che i combustibili fossili sono in quantità limitata e che il loro uso causa danni alla salute e all'ambiente. Ciamician sostenne, inascoltato, la necessità di fare ricerche per capire il meccanismo della fotosintesi naturale al fine di poterla imitare con processi artificiali capaci di convertire l'energia solare che arriva con continuità sulla Terra in energia chimica immagazzinabile in un combustibile artificiale. Questa ed altre idee preconizzate da Ciamician sono solo da pochi anni oggetto di approfondite ricerche in tutto il mondo poiché ci si è finalmente resi conto che bisogna uscire realmente dall'era dei combustibili fossili ed entrare in una nuova era, che sarà caratterizzata dall'uso delle energie rinnovabile ed in particolare dell'energia solare.
Quali suggerimenti, prof. Balzani, vorrebbe dirigere ai giovani che scelgono lo studio della chimica, magari attratti da personaggi che anche in Italia hanno contribuito enormemente al suo sviluppo, come Amedeo Avogadro o Stanislao Cannizzaro? Per essere un buon chimico è sufficiente solo possedere una preparazione scientifica specializzata oppure conviene anche coltivare una visione filosofica e sapienziale nel porci di fronte alla natura per scoprire le sue leggi e la sua struttura intima?
La preparazione scientifica è necessaria, ma non sufficiente per diventare un vero scienziato. Oggi c'è il fondato pericolo che, a causa della estrema specializzazione necessaria per compiere scoperte interessanti, i giovani ricercatori finiscano per chiudersi nei loro laboratori finendo per ignorare i problemi della società in cui vivono. C'è insomma il pericolo di una frattura fra scienza e società, fra università e città, frattura che bisogna assolutamente ricomporre. Ho letto che il nome "scienziato" è relativamente recente e che un tempo il nome usato era "filosofo naturale". Non sarebbe male ricordarlo, particolarmente di fronte ad una scienza che può avere un impatto molto forte sulla natura e quindi deve essere accompagnata dalla saggezza per decidere fra bene e male.