Riproponiamo un commento del prof. Nicola Dallaporta pubblicato sul Sole 24ore dal cosmologo italiano all’indomani della presentazione dei risultati della Commissione nominata da Giovanni Paolo II per il riesame storico-culturale della vicenda di Galileo Galilei, il 31 ottobre del 1992. Durante i suoi lunghi anni di lavoro a Padova, Dallaporta ha riscosso una stima significativa a motivo della sua profonda formazione storico-filosofica, oltre che scientifica, pubblicando anche saggi su temi filosofici e religiosi. In questo intervento, egli offre una sintesi dell’itinerario e delle dichiarazioni della Chiesa cattolica in merito al caso legato al nome dello scienziato pisano.
L’interesse che la stampa ha riservato, fin da venerdì scorso, all’annuncio che il Papa avrebbe fatto cenno a Galileo durante il discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze è sintomo che l’«affaire» Galilei è tuttora vivo nella coscienza della nostra cultura. Desta però stupore notare che ciò che ha unito i commenti di questi giorni sia la errata considerazione che con il discorso di ieri Giovanni Paolo II, nella sala regia del Palazzo Apostolico, alla presenza di una significativa rappresentanza mondiale della scienza, qual è quella costituita dagli Accademici Pontifici, e dei rappresentanti diplomatici di tutti i Paesi, abbia inteso chiudere «definitivamente» la questione dei rapporti della Chiesa con Galileo. La stampa ha inoltre utilizzato con abbondanza il termine di «riabilitazione», in realtà poco adeguato alle circostanze. E che tale interpretazione sia errata è indicato da almeno due ordini di motivi. Difatti, a parte la considerazione che, anche nel campo della ricerca storica, mai si può affermare che una questione sia «definitivamente» chiarita, bisogna ricordare che la chiusura» formale della controversia tolemaico-copernicana da parte della Chiesa è già avvenuta da più di un secolo e mezzo, e precisamente nel 1820. Con il Suo discorso, il Santo Padre ha chiuso i lavori della Commissione da lui stesso istituita all’indomani di un altro importante discorso in occasione del centenario della nascita di Albert Einstein affinché studiasse la controversia tolemaico-copernieana in tutti i suoi aspetti. Il più recente frutto del lavoro di quella commissione è un volume cui il Papa ha fatto riferimento, pubblicato in questi giorni dall’editore Olschki di Firenze. Si tratta di Copernico. Galilei e la Chiesa. Fine della controversia (1820). Gli Atti del Sant’Ufficio, curato da Walter Brandmüller, professore all’Università di Augusta in Germania ed esperto di storia della Chiesa nell’epoca moderna, che si è avvalso della collaborazione del dottor E.J. Greipi per l’edizione di alcuni importantissimi documenti, fino ad ora inaccessibili, conservati presso l’archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’ex Sant’Ufficio. Nel libro viene ricostruita la vicenda, poco studiata anche se già nota che condusse il Sant’Ufficio, nel 1820, a pronunciarsi finalmente in senso positivo sulla questione della compatibilità del sistema cosmico eliocentrico, elaborato da Copernico e da Galileo, con la fede cattolica.
Lo spunto alla riapertura del caso fu la richiesta del canonico Giuseppe Settele, Insegnante alla «Sapienza» di Roma, di avere l’«imprimatur» dell’autorità religiosa per la pubblicazione del suo volume Elementi di Astronomia, nel quale presentava l’eliocentrismo come ormai certa e provata verità scientifica. La persona deputata a concedere il permesso di pubblicazione, l’allora Maestro del Sacro Palazzo Filippo Anfossi, rifiutò invero la concessione appellandosi agli antichi decreti che il Sant’Ufficio aveva emanato nel 1616 e nel 1633 con i quali era stato imposto di presentare l’eliocentrismo solo come «ipotesi» scientifica e di fatto era stato condannato Galileo al silenzio.
Ma la caparbietà del canonico Settele nel voler andare fino in fondo alla questione e l’intelligenza del padre Maurizio Olivieri Commissario del Sant’Ufficio nel 1820, condussero a una riapertura e a un riesame dell’intera questione. La vicenda si concluse con un decreto, approvato dal Papa, Pio VII, che permetteva l’insegnamento dell’eliocentrismo non più solo come ipotesi scientifica. Il padre Anfossi fece ricorso contro questa decisione e corse addirittura il rischio di essere egli stesso condannato dal Sant’Ufficio, che lo mise definitivamente a tacere con un altro decreto, anche questo confermato da Pio VII, nel 1823.
Dal punto di vista formale e giuridico, dunque, la questione della cosiddetta «riabilitazione» di Galileo e definita da allora.
Ma si badi: la Chiesa anche nel 1820, non affermò di avere «sbagliato» nel condannare Galileo. In realtà, come ormai universalmente noto e ancor maggiormente chiarito con la pubblicazione dei Documento e processo a Galileo Galilei a cura dell’Accademia delle Scienze e dell’Archivio Segreto Vaticano nel 1984, la condanna di Galileo era di tipo disciplinare e non ci fu mai da parte della Chiesa un pronunciamento di tipo dottrinale sull’eliocentrismo. Nondimeno, resta vero che il trattamento inflitto a Galileo ebbe importanti conseguenze e soprattutto fece sorgere una barriera tra il mondo della scienza e la Chiesa, ritenuta ostile allo sviluppo degli studi e alla modernità del sapere. Anche questo ha ricordato il Papa, che ha parlato di una «tragica incomprensione».
La realtà dei fatti, esaminati senza acrimonia, tende piuttosto a dare indicazioni diverse. Quando Galileo affermo la validità del sistema eliocentrico non poté darne le prove scientifiche, che sarebbero venute solo molti decenni più tardi. Ciò non toglie che la sua fu certamente l’intuizione esatta di un «fisico di genio», come l’ha definita il Papa nel suo discorso. Il cardinale Bellarmino, già nel 1615 scriveva che se si fossero potute fornire prove scientifiche della rotazione terrestre attorno al Sole si sarebbe dovuto riconoscere di non essere capaci di leggere la Sacra Scrittura piuttosto che affermare che nella Bibbia vi fosse qualcosa di contrario a quanto scientificamente dimostrato. Nei decenni successivi mano a mano che il progresso delle scienze apportò chiarificazioni e prove del sistema eliocentrico, anche la Chiesa fece alcuni passi importanti. Nel 1710 venne pubblicato, con permesso ecclesiastico dato a Firenze, l’edizione del Dialogo dei due massimi sistemi, e con ciò fu risolta, in via di fatto, la questione galieliana. Negli anni centrali del Settecento l’astronomo gesuita Giuseppe Boscovich diffuse in Italia la teoria eliocentrica e quella della gravitazione universale, nel frattempo formulata da Isaac Newton, e condusse importanti ricerche, tutte sostenute e finanziate dall’allora Papa Benedetto XIV. Fu questo stesso Papa a fare riesaminare l’intera questione dalla Congregazione dell’Indice, che nel 1757 decise di cancellare dall’elenco dei libri proibiti tutti i volumi che parlavano di eliocentrismo.
I due secoli intercorsi tra la condanna di Galileo (1633) e la decisione finale del Sant’Ufficio (1820) non sono dunque trascorsi in quell’immobilismo che spesso viene attribuito alla Chiesa di fronte allo sviluppo scientifico.
Erra dunque chi ha voluto vedere nelle parole che il Papa ha rivolto ieri agli Accademici pontifici una tardiva «riabilitazione» di chi non ne ha davvero bisogno. Grande importanza hanno invece gli insegnamenti che il Papa ha detto debbono trarsi da quella vicenda. In particolare egli ha parlato della necessità di saper tenere ben distinti i diversi ambiti del sapere, ma nello sforzo comune di capire ciascuno le prospettive e le metodologie altrui, con grande rispetto reciproco, salvaguardando l’autonomia della scienza e quella della fede e contribuendo insieme a meglio comprendere e delineare l’unica realtà.
da Il Sole 24 ore, domenica 1 novembre 1992.