Il saggio, diviso in sei capitoli (intitolati rispettivamente La sfida dello «stolto»; Fede e ateismo; L’uomo contro Dio; L’oppio dei popoli; Il destino di un’illusione; Lo scandalo del male), è dedicato ad un’analisi storica dell’ateismo quale è stato espresso dai suoi principali sostenitori, prima di tutto filosofi, ma anche letterati e soprattutto alcuni scienziati, con una speciale attenzione a modernità e postmodernità. Il suo punto di partenza è costituito dalle riflessioni dei filosofi italiani Cornelio Fabro e Augusto del Noce, dei quali si intende sviluppare le acquisizioni riconoscendo che l’ateismo moderno, pur iniziato sotto gli auspici della divinizzazione dell’uomo, abbia avuto da ultimo esiti oggettivamente nichilistici. L’autore, Roberto Giovanni Timossi, filosofo e giornalista che si occupa da tempo di questioni interdisciplinari che si intersecano tra scienza, filosofia, teologia e religione, si rivolge qui ad un pubblico interessato ma non necessariamente specialista. Il libro, infatti, nasce dall’attenzione nutrita dall’A. verso la società contemporanea e gli uomini che la compongono, con una considerazione quasi sociologica: la sempre maggiore estensione dell’area della non credenza o dell’ateismo, che, assurto al rango di trait d’union tra culture e filosofie differenti, molte delle quali con un ruolo di primo piano nell’odierno mondo globalizzato (dalle filosofie analitiche a quelle continentali alle teologie della morte di Dio), coinvolgerebbe ormai all’incirca un miliardo di persone. L’A. nota che nel panorama culturale ed ideologico postmoderno, caratterizzato dall’incertezza e dal pluralismo, l’ateismo e l’indifferenza per il problema dell’esistenza di Dio costituiscono spesso un elemento comune e condiviso (altrimenti difficile da rintracciare) e sono presentati intenzionalmente come l’unica convinzione umana di validità generale. La nostra società vede una crescente secolarizzazione e «desacralizzazione», che porta al cosiddetto «ateismo pratico», la forma di non credenza oggettiva più diffusa in Occidente (che offre a sua volta l’humus per l’affermazione esplicita del «nichilismo teorico»): i singoli individui mantengono l’adesione formale ad una prassi religiosa (come ad esempio chiedere il battesimo dei figli), ma nell’esistenza quotidiana, plasmata dalla mentalità dominante, pensano e agiscono etsi deus non daretur. In questo contesto, il ruolo riconosciuto alla scienza in modo pressoché unanime ha favorito l’attribuzione alla ricerca scientifica, più specificamente alla sua divulgazione, il compito di rispondere alle domande ultime sull’uomo, non di rado con il fine dichiarato di rendere metodologicamente inutile l’ipotesi dell’esistenza di Dio. Nasce quindi, nel XX secolo, l’«ateismo scientifico» (ben distinto dall’ateismo filosofico), spesso militante e strettamente collegato con la cultura scientifica e la sua divulgazione nell’opinione pubblica: si tratta di uno dei principali interessi dell’A. Lo studio tocca così autori come Nietzsche, Feuerbach, Marx, Heidegger, Sartre, Foucault, Bloch, Adorno, Russel e Carnap, Freud, Leopardi e Camus, ma, soprattutto, alcuni uomini di scienza, tra cui Weinberg, Dawkins, Hawking e Dennett. Lo scopo dell’indagine, dunque, è aprire una via d’uscita dall’ateismo, date la ferma volontà dell’A. di non rassegnarsi al nulla e la sua convinzione che, se esiste, tale via potrà essere percorsa solo dopo un’indagine critica delle ragioni dell’ateismo stesso.