Albert Einstein: la mia testimonianza

Tutte le idee fondamentali di Einstein sulla teoria della relatività e sulla teoria dei quanti furono il frutto dei suoi primi anni di studio. Tuttavia Einstein ha lavorato, studiato, scritto articoli scientifici durante tutta la sua vita. E meditava incessantemente sui problemi della fisica.

Infatti, dopo il 1921 e fino alla sua motte, Einstein ha ripetutamente affrontato un profondo e difficile problema, costruendo e ricostruendo teorie, respingendole e riprendendole, ora soddisfatto dei suoi risultati e ora scartandoli quando non si dimostravano all'altezza dei suoi alti criteri di bellezza e semplicità logica. La tenacia nell'applicarsi a un problema per anni, nel ritornarci sempre di nuovo: ecco il tratto caratteristico del genio di Einstein. Come ho già accennato, Einstein continuo per oltre vent'anni ad affrontare il problema del moto finche esso venne finalmente risolto. L'altro problema su cui Einstein ha studiato per più di venticinque anni rimane ancora insoluto. Se ne troverà mai la soluzione?

Nella teoria della relatività generale abbiamo vista che il campo geometrico e anche il campo gravitazionale. Le equazioni di campo della teoria della relatività generale sono le equazioni di questa campo gravitazionale o geometrico. Esso e determinato da masse da te, dalle loro velocita note, e anche dal campo elettromagnetico . Nella teoria della relatività generale le masse, le loro velocita e il campo elettromagnetico prodotto da particelle cari­ che in movimento, appaiono tutti come una parte della fisica. Ma il campo gravitazionale e diverso. Esso, ed esso solo, caratterizza la geometria del nostro mondo. Einstein, e forse, ancor prima di lui, Herman Weyl, uno dei più grandi matematici contemporanei, considerarono questa differenza tra i campi gravitazionali e i campi elettromagnetici come qualcosa di artificioso. La teoria della relatività generale tratta questi due campi in due maniere completamente diverse. Il campo gravitazionale e anche un campo geometrico. Nel campo gravitazionale si ha, per così dire, un aspetto fisico e uno geometrico. Nel campo elettromagnetico si ha invece solo l'aspetto fisico.

Il campo elettromagnetico è un campo, e anche di esso dovrebbe essere possibile una interpretazione geometrica. D'altra parte, le masse e le loro velocita sono concetti strani, che mal si adattano alla cornice di una teoria di campo. Sono i residui della vecchia fisica newtoniana . Dal punta di vista di una teoria di campo, in­ vece di dire « Questa e una particella » si dovrebbe piuttosto dire « Questa e una regione in cui il campo e fortissimo».· Invece di dire «Una particella si muove », si dovrebbe dire « 11 campo varia nel tempo e la regione in cui il campo e forte si sposta ». Non c'è posto in una pura teoria di campo per il concetto di particelle e del loro moto, come non c'è posto per un campo elettromagnetico che non possa essere interpretato anche come campo geometrico. Dunque la teoria della relatività generale, che associa gli aspetti di campo e di materia che tratta diversamente i campi gravitazionali ed elettromagnetici, dovrebbe essere considerata solo una struttura temporanea. Una vera teoria unitaria di campo dovrebbe comprendere in un solo sistema unitario di campo tanto le equazioni del campo gravitazionale quanta quelle del campo elettromagnetico, tutte necessarie per la caratterizzazione della geometria del nostro mondo. I concetti di particelle e del loro moto dovrebbero essere considerati in una teoria unitaria di campo come concetti di regioni in cui il campo e forte e delle variazioni di tali regioni nel tempo e nella spazio.

Col passare del tempo, la necessita di una teoria unitaria di campo e divenuta sempre più stringente. Quando il successivo sviluppo storico mise in risalto l'importanza della teoria dei quanti, il programma di una teoria unitaria generale divenne sempre pili vasto. Da una sa­ lida teoria di campo dovremmo oggi potere ottenere non solo le equazioni gravitazionali e quelle del campo elettromagnetico, ,ma anche le equazioni per le particelle elementari che sono governate dalla teoria dei quanti. E possibile realizzare un piano cosi ambizioso? Molti fisici pensano di no, ma Einstein pensava di sì. Benché Einstein non fosse del tutto isolato nelle sue convinzioni (esse, per esempio, sono condivise anche da Schroedinger), la maggioranza dei fisici considera questi tentativi troppo formali e troppo speculativi.

Questo è dunque il problema su cui Einstein ha lavorato, con pochi collaboratori, nell'ultimo quarto di secolo, seguendo sempre la sua via, non approvando la piega che la fisica ha preso di recente nell'intento di ottenere rapidi risultati trascurando i grandi problemi cosmici.

Se guardiamo all'influenza esercitata dall'opera di Einstein sul pensiero moderno, ci rendiamo canto di quanto essa sia grande. Tuttavia, se guardiamo a tutti gli sforzi di Einstein, alla mole della sua produzione scientifica, constatiamo con stupore che solo una parte relativamente piccola di questo lavoro ha influenzato lo sviluppo della scienza.

Quanti articoli ha scritto Einstein! Articoli ingegnosi, frutto di lavoro , di pensiero, di lavoro e ancora lavoro! Pure egli stesso considererebbe oggi alcuni di quegli articoli antiquati, errati o artificiosi. Quando parlavo di questa problema con Einstein, egli mi diceva: « L 'uomo ha poca fortuna ».. Lo scienziato e come un'o che spari le sue cartucce alla cieca e si stupisca quando indovina un colpo. In tutta la storia della fisica sono pochi (se ci sono) quelli che hanno indovinato tanti colpi quanti ne ha indovinati Einstein. Ma presumere che uomini come Einstein non sparano a vuoto nemmeno una cartuccia significherebbe fraintendere il carattere della creazione scientifica e la piccolezza dell'umana fortuna .

Einstein non è considerato soltanto un grande fisico, ma anche un grande filosofo. Egli stesso si considerava un filosofo. Spesso mi diceva: « Io sono più un filosofo che un fisico». Anni fa, a Praga, ascoltavo la conferenza tenuta dal professor Sommerfeld a una riunione della Società di Fisica. Egli parlava a un pubblico numeroso: « Ho chiesto ad Einstein, che io considero il più grande filosofo vivente: " C'è una realtà al di fuori di noi? " Ed Einstein mi rispose: "Si, io credo in essa"».

Non basta dire che Einstein era un filosofo. Questa definizione potrebbe essere fraintesa, poiché la parola filosofia e spesso usata in almeno due significati diversi. Essa designa, da un lata, la filosofia speculativa, che fu la sola filosofia esistente fino al diciannovesimo secolo, e la cui storia e legata a nomi di uomini come Kant, Hegel e Bergson. Questa filosofia ha ben poco a che fare con Einstein. Essa si basa sulla credenza che certe questioni intorno all'esistenza e alia natura del nostro mondo esterna non siano prive di senso: che abbia senso parlare di essere e di non essere, che alcune affermazioni siano « sintetiche a priori». Questi filosofi parlano a lungo di intuizione, di immaginazione, di cosa in se, cercando di esprimere in parole l'ineffabile mondo delle esperienze e delle opinioni.

Ma c'è un altro significato della parola filosofia, accettato dalla scuola dei filosofi moderni noti col nome di positivisti logici o empiristi logici. Secondo questa scuola, la filosofia non è una scienza a sé m un'attività di chiarificazione, e non ci sono problemi puramente filosofici. 0 essi appartengono ad altri campi del pensiero umano, o sono privi di senso. La filosofia tradizionale, cioè la filosofia speculativa, si occupò in altri tempi dei problemi che furono in seguito assorbiti dalla scienza: dalla fisica, dalla matematica, dalla biologia , dalla psicologia. Per il positivista logico il filosofo, nel moderno significato della parola, e un uomo il cui interesse è rivolto ai fondamenti del nostro sapere, alla chiarificazione dei suoi concetti basilari.

Solo in questa senso Einstein può essere chiamato un filosofo, e in questa senso egli è uno dei più grandi filosofi che ci siano mai stati. I problemi su cui i filosofi avevano oziosamente speculato, problemi di tempo, di spazio e di geometria, sono stati assorbiti nel campo della fisica grazie all'opera di Einstein. I fondamenti della fisica sono diventati più chiari; i concetti privi di senso dell'esistenza di un etere e di un sistema di coordinate inerziale sono stati scartati. La fisica è divenuta più razionale e le vuote speculazioni filosofiche sono state messe al bando. In questa senso il lavoro di Einstein appartiene alia filosofia, e in questa senso quasi non esiste una linea di demarcazione ben definita tra la fisica e la filosofia.

Einstein considera tutti i concetti fisici come libere creazioni della mente umana. La scienza stessa è una creazione della mente umana , una libera invenzione.

Questa libertà è limitata soltanto dal nostro desiderio di inquadrare sempre meglio la crescente ricchezza delle nostre esperienze in uno schema sempre più soddisfacente dal punta di vista logico. Questa drammatica lotta per una sempre maggiore comprensione sembra continuare all'infinito. La storia della scienza ci insegna che, per quante difficoltà noi possiamo risolvere mediante progressi rivoluzionari, a lungo andare ne creiamo sempre di nuove. Dalla complessità progrediamo verso la semplicità grazie a idee nuove e inaspettate. Qui ricomincia il processo evoluzionistico, che ci conduce a nuove difficoltà e a nuove contraddizioni. Vediamo così nella storia della scienza una catena di evoluzioni e rivoluzioni. Ma non è possibile tornare indietro! Come lungo una spirale, noi raggiungiamo livelli sempre pili alti di discernimento, attraverso i gradini consecutivi di mutamenti evoluzionistici e rivoluzionari.

Che cosa esprime la nostra scienza? Forse la struttura del nostro mondo esterno? Ma c'è un mondo esterno? L'idealista direbbe: «No, il mondo esterno è una emanazione della mia mente ». II realista direbbe: « Sì, esiste un mondo esterno ». II positivista logico direbbe:

«La domanda non ha senso, e io mi rifiuto di rispondere a domande prive di senso ». Quale sarebbe la risposta di Einstein? Non abbiamo bisogno di indovinarla, perché l'abbiamo nelle sue stesse parole. Nel suo saggio Il mondo come io lo vedo, pubblicato nel 1929, Einstein scrisse:

La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero. Esso è la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la scienza. Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare e rimanere rapito in timorosa ammirazione, è come morto: i suoi occhi sono chiusi. Questo scrutare nei misteri della vita, anche se misto alla paura, ha dato origine alla religione. Sapere che ciò che per noi è impenetrabile esiste realmente, manifestandosi come la più alta saggezza e la più radiosa bellezza che le nostre povere facoltà possono comprendere solo nelle loro forme più primitive - questa conoscenza, questa sentimento, e al centro della vera religiosità. In questo senso, e solo in questa senso, io appartengo alla schiera degli uomini profondamente religiosi.

Einstein sapeva bene che dal punta di vista puramente razionale la proposizione « Cia che per noi e impenetrabile esiste realmente » e priva di senso. Ma essa acquista un significato se viene innalzata dal livello razionale delle credenze e delle convinzioni allivello emotive delle esperienze e dei sentimenti religiosi. A questo livello è impossibile tenere un linguaggio razionale, e tutto ciò che io possa fare è citare le parole di Einstein. Esse rappresentano infatti il suo credo religioso, che una certa affinità con quello di Spinoza.

Einstein esercita una grande influenza sul nostro mondo contemporaneo grazie alla sua dottrina, al suo pensiero, ai suoi scritti. Egli non fu mai un uomo d'azione. E tuttavia mi chiedo se ci sia mai stato in tutta la storia della scienza un altro uomo che abbia esercitato un'attrazione cosi grande sulla fantasia degli uomini di tutto il mondo. Se vogliamo avere un quadro completo dell'influenza esercitata da Einstein sui nostro mondo non dobbiamo trascurare quella che ha esercitato come uomo.

Einstein nacque il 14 marzo 1879, in Germania, nove anni dopo che Bismarck aveva sconfitto la Francia e unificato la Germania, nove anni dopo la Comune di Parigi. Egli visse durante il fiorire dell'imperialismo tedesco e durante la sua sconfitta. Lo vide di nuovo rifiorire e di nuovo sconfitto.

In che misura può servire la conoscenza della vita di Einstein per la comprensione di Einstein? Molti libri sono stati scritti sui genio. Infinite discussioni sono state sostenute per decidere fino a che punta il genio si formi per un dono ereditario o per virtù delle circostanze. Ben­ che io non conosca la letteratura su questa argomento, sono incline a pensare che questa problema sia del tutto privo di senso. Anche se fosse possibile far distinzione tra ereditarietà e circostanze, non vedo come si possano imporre delle regole a un genio. E mi sembra altrettanto sciocco cercare di dare una definizione del genio. Il genio è un fenomeno rarissimo, ed è caratterizzato proprio dal fatto che sfugge a ogni classificazione. Non esige per il genio alcun altro denominatore comune. Questo è, a mio parere, il suo solo tratto caratteristico. Per essere più specifico: io ho lavorato con Einstein per alcuni anni e durante questo tempo ho potuto compiere l’indimenticabile esperienza di osservarlo e ammirarlo. Credo di averlo conosciuto e capito non meno bene di chiunque altro. Per altri quattro anni, attraverso le pagine della storia, ho studiato e cercato di comprendere l’opera di un altro genio, Evariste Galois. Qualunque definizione si possa dare del genio, non ci può essere dubbio che tanto Galois quanta Einstein sarebbero considerati due geni da tutti gli scienziati. Essi tuttavia ci appaiono tanto diversi l'uno dall'altro quanto è umanamente possibile. Nella tragica vita di Galois noi vediamo i forti vincoli che lo legavano alla società in cui viveva. Egli era come preso nelle maglie di una mortale ragnatela da cui era impossibile sfuggire. Egli pativa i colpi e le ingiustizie del mondo esteriore; il suo cuore sanguinava e la sua vita si consumava rapidamente. Quanto era diverso da lui Einstein! Il suo cuore non sanguinava mai ed egli si muoveva attraverso la vita quasi del tutto indifferente alle gioie e alle emozioni. Per Einstein la vita era un interessante spettacolo a cui egli assisteva con scarso interesse, mai lacerato dalle tragiche emozioni dell'amore e dell'odio. Egli era uno spettatore obiettivo dell'umana follia, e i sentimenti non intaccavano i suoi giudizi. Il suo interesse era solo intellettuale, e tutte le volte che egli parteggiava per un'idea ( e quante volte lo ha fatto!) gli si poteva credere più che a chiunque altro, perché nelle sue decisioni l'« Io » non era coinvolto. La grande intensità del pensiero di Einstein era tutta diretta all'esterno, verso il mondo dei fenomeni. Nessuno aveva mai espresso questa sua indifferenza verso il mondo degli umani interessi pili chiaramente di Einstein medesimo nel suo Il mondo come io lo vedo:

Il mio appassionato interesse per la giustizia e la responsabilità sociale è sempre stato in curiosa contrasto con una spiccata assenza del desiderio di una associazione diretta con uomini o donne. Io sono un cavallo fatto per il tiro a uno, e non sono tagliato per lavorare in pariglie o in tiri a quattro. Non ho mai appartenuto con tutto il cuore a un paese o a uno stato, alla mia cerchia di amici o anche alia mia stessa famiglia. Questi legami sono stati sempre accompagnati da un vago senso d'indifferenza, e il desiderio di ritirarmi in me stesso aumenta col passare degli anni. Questo isolamento è talvolta amaro, ma io non rimpiango di essere escluso dalla comprensione e dalla simpatia degli altri uomini. Con ciò, non lo nego, io perdo qualcosa, ma di questa perdita io sono ricompensato col rendermi indipendente dalle abitudini, dalle opinioni e dai pregiudizi degli altri, e non sono tentato di riporre la pace del mio spirito su fondamenta così instabili.

Dunque, lo scenario esteriore della vita di Einstein è di poca importanza. Egli dev'essere stato timido e scontroso come un bambino. La sua capacita di riflessione dev'essersi mani festata ben presto. La più forte impressione rimastagli dalla sua fanciullezza fu l'osservazione di un ago magnetico. Questa fatto egli richiamava assai spesso quando parlava dei suoi giovani anni. Egli non era eccezionalmente brillante come studente, né alle scuole medie né all'università. E se non l'avessi saputo direttamente da Einstein, avrei potuto facilmente scoprirlo da me. Il tratto più caratteristico del suo lavoro è l'originalità e l'ostinatezza, la capacita di percorrere per anni e anni un sentiero solitario: non la capacita d'imparare, ma quella di pensare e di comprendere. Le scuole e le università di tutto il mondo premiano gli uomini che sanno agevolmente percorrere una strada battuta. Colui che sa ha dunque un vantaggio su colui che pensa.

(…)

Il suo più importante intervento negli affari di questo mondo si ebbe nel 1939. La storia del modo in cui i fisici tentarono invano di interessare l'esercito e la marina al progetto atomico è raccontata nella Relazione Smith con sottili sottintesi e omissioni. Fu la famosa lettera di Einstein a Roosevelt a rompere la rigidezza della mentalità militate. Einstein , che disprezzava la violenza e le guerre, è considerato il padre della bomba atomica. Questo per due ragioni: perché la storia moderna della sviluppo dell'energia atomica comincia con la relazione di Einstein sull'equivalenza tra massa ed energia, e perché la storia della bomba atomica comincia con la lettera di Einstein.

In questi tempi oscuri in cui l'aria è satura di vuote banalità, di sciocche argomentazioni, di pettegolezzi di piccoli uomini, da un senso di sollievo ascoltare la chiara voce della ragione. Ed è l'intima coscienza del mondo che ci dice (Solo allora saremo liberi):

La scienza ha fatto sorgere questo pericolo, ma il vero problema è nella mente e nel cuore degli uomini. Noi non cambieremo i cuori di altri mediante meccanismi, ma solo cambiando i nostri cuori e parlando onestamente. Dobbiamo essere generosi nel dare al mondo la conoscenza che noi abbiamo delle forze della natura, dopa aver preso le opportune precauzioni contro ogni abuso.

Noi dobbiamo essere non solamente disposti, ma attivamente premurosi di sottometterci a un'autorità superiore necessaria per la sicurezza del mondo. Dobbiamo renderci conto che non possiamo fare contemporaneamente progetti di pace e di guerra. Quando saremo limpidi di cuore e di mente, solo allora troveremo il coraggio di superare la paura che incombe sui mondo. Mentre cerco di comprendere l'appello di Einstein all'immaginazione di tanti suoi simili, mi viene in mente uno strano paragone. In un villaggio dell'India c'è un vecchio e saggio santone. Egli siede sotto un albero e non parla mai. La gente guarda i suoi occhi rivolti al cielo. Essa non conosce i pensieri di questa vecchio, perché egli sta sempre zitto. Ma ciascuno si forma un'immagine tutta sua del santone, un'immagine che lo conforta. Ciascuno legge nei suoi occhi la profonda saggezza e la grande bontà . E ciascuno porta del cibo all'albero sotto cui siede il vecchio, felice che con questa piccolo sacrificio egli possa avere qualcosa in comune coi solenni pensieri del santone.

Nella nostra civiltà noi non abbiamo villici primitivi né santoni in muta contemplazione. Pure vediamo sui nostri giornali la fotografia di un uomo che non andava mai dal barbiere, che non portava cravatta né calze, i cui occhi sembravano distogliersi dalle piccole cose di questo mondo. Egli non lottava per il suo benessere personale. Si curava ben poco di tutte le case che contano tanto nella nostra vita. Se parlava in difesa di una causa non lo faceva per la sua gloria personale. Ci conforta sapere che sia vissuto fino a pochi anni fa un uomo come questo, un uomo i cui pensieri erano rivolti verso le stelle. Noi gli diamo la nostra ammirazione perché ammirandolo proviamo a noi stessi che anche noi aspiriamo alle lontane stelle.

Einstein è divenuto per molti un simbolo, un monumento che gli uomini hanno eretto, un simbolo di cui essi hanno bisogno per loro conforto. E forse, in ultima analisi, essi hanno ragione. Forse la vera grandezza di Einstein sta nel semplice fatto, che, benché nella sua vita egli abbia sempre fissato le stelle, ha pure cercato di rivolgere ai suoi simili uno sguardo di bontà e di compassione.

 

L. INFELD, Albert Einstein, Giulio Einaudi, Torino 1952, pp. 131-139 e 144-145