I. Diversi tipi di riduzionismo - II. Gerarchia ed emergenza - III. Comprensione scientifica - IV. Aspetti filosofici e teologici del riduzionismo - V. Considerazioni conclusive: la realtà è un’unità a molti livelli.
Un riduzionista ritiene che un sistema complesso non sia nient’altro che la somma delle sue parti, per cui si può dar ragione del sistema “riducendone” la considerazione a quella dei singoli costituenti. Un antiriduzionista, al contrario, ritiene che il tutto sia maggiore della somma delle parti, per cui vi sono proprietà “olistiche” che non possono essere descritte in termini dei puri elementi costituenti.
I. Diversi tipi di riduzionismo
Il «riduzionismo strutturale» (constitutive reductionism) ammette che, quando un sistema complesso venga effettivamente decomposto nei suoi elementi, le parti che ne risultano siano esclusivamente quelle che corrispondono agli elementi costituenti che ci si aspetterebbe di trovare. Ad esempio, un organismo vivente potrebbe essere suddiviso fino alle molecole che lo compongono, senza che alla fine vi sia rimasto alcun “ingrediente” extra, come potrebbe essere la “scintilla della vita”, che il vitalismo invoca come fattore che distingue gli esseri viventi dalla materia inanimata. Questo tipo di riduzionismo trova un’accoglienza assai vasta. Tuttavia esso non comporta in alcun modo la tesi che i viventi siano “nient’altro” che agglomerati di molecole, perché la loro scomposizione porta di fatto alla morte dell’organismo. Il riduzionismo di questo genere è molto vicino al «riduzionismo metodologico» (methodological reductionism), che rappresenta la strategia scientifica, altamente praticata, consistente nello studiare il “tutto” frantumandolo nelle sue parti costituenti. Ancora una volta, il successo della strategia non implica però che ogni aspetto rilevante del “tutto” possa essere studiato in questo modo.
Un secondo tipo di riduzionismo potrebbe essere chiamato «riduzionismo concettuale» (conceptual reductionism), nel quale si sostiene che i concetti applicabili al tutto possono essere interamente espressi in termini di concetti che si applicano alle parti. La dizione «riduzionismo epistemologico» (epistemological reductionism) è pure in uso per designarlo. Un esempio ben riuscito di una “riduzione” di questo genere è offerto dall’impiego della teoria cinetica dei gas per ridurre il concetto di temperatura (sorto nell’ambito della termodinamica della materia macroscopica) all’esatto equivalente, rappresentato dell’energia cinetica media delle molecole del gas. Ma ci sono anche molti altri esempi che stanno ad indicare come riduzioni di questo tipo non siano sempre possibili. Le singole molecole d’acqua non possiedono la proprietà dell’umidità, che rappresenta invece una proprietà concettualmente irriducibile del comportamento di un grande insieme di queste molecole (essa è generata dalle forze intermolecolari che sono all’origine della proprietà macroscopica chiamata “tensione superficiale”). Inoltre le scienze biologiche impiegano molti concetti essenziali per il loro lavoro, come convenienza, adattamento, organo, sessualità, nicchia ecologica, ecc., che non possono essere tradotti in enunciati relativi alle sole molecole.
Un terzo tipo è il «riduzionismo causale» (causal reductionism). Esso comporta che le cause agenti sul tutto producano semplicemente la somma degli effetti delle singole cause agenti sulle parti. Nel caso dell’umidità, una simile riduzione sembra riuscire, partendo dall’ipotesi ragionevole che la tensione superficiale sia interamente generata dall’azione delle forze molecolari. Dal momento che ad entrambi i livelli si ha a che fare con proprietà puramente energetiche, la traduzione da un livello all’altro sembra plausibile. Viceversa, non è del tutto chiaro come la somma delle scariche delle sinapsi neuronali possa combinarsi per produrre i qualia (percezioni, emozioni) mentali, dal momento che sembra esserci una chiara differenza qualitativa tra i due livelli. Il riduzionismo causale è un parente stretto del «riduzionismo ontologico» (ontological reductionism), che equivale ad affermare che il tutto è la somma delle parti. È possibile, in realtà, sostenere il riduzionismo strutturale e rifiutare il riduzionismo causale, come fanno molti. Una strategia che consente di sostenere questa posizione è quella di abbracciare il “contestualismo” (contextualism), che consiste nel ritenere che il comportamento degli elementi costituenti dipenda dalla natura del tutto che essi vanno a costituire.
II. Gerarchia ed emergenza
Nel caso si sostengano tutti e tre i tipi di riduzionismo — posizione, questa, che potremmo chiamare “riduzionismo forte” — la vera ontologia che risulta essere alla base di tutto, è esclusivamente quella dei costituenti fondamentali. Tutto il resto è una semplice elaborazione conseguente. E, da questo punto di vista, la fisica delle particelle elementari viene ad essere la disciplina fondamentale: tutte le altre cose, compreso il resto della fisica, attraverso la biologia e, più in su, attraverso la psicologia, l’antropologia e la sociologia non sarebbero altro che corollari. Ci troveremmo ad avere l’equivalente moderno dell’antica asserzione che tutto è fatto «di atomi e di vuoto». Naturalmente questa sarebbe solo un’affermazione di principio, dal momento che la derivazione di quei corollari sarebbe ben al di là delle umane possibilità. Già in fisica, la descrizione, pienamente adeguata, di un pezzo macroscopico di materia comporta l’esame del comportamento di un insieme di atomi dell’ordine numerico di 1023. In altre parole le prese di posizione riduzioniste, o antiriduzioniste, sono sempre di carattere metafisico. Possono essere motivate da estrapolazioni dei risultati delle scienze naturali e umane, ma non possono mai essere pienamente sostenute solo con argomenti scientifici.
Perciò, in pratica, c’è una gerarchia delle scienze, nella quale la scienza “superiore” attinge alle risorse di quella “inferiore”, ma necessita anche, per rivolgersi ai problemi posti dai fenomeni particolari che costituiscono il suo oggetto proprio, di far ricorso al proprio stile di argomentazione e al proprio apparato concettuale. La chimica si rapporta alla fisica in questo modo e la biologia si rapporta ad entrambe. Al di sopra della biologia si colloca la successione delle scienze umane: psicologia, antropologia, sociologia. La gerarchia è ordinata in un modo naturale che viene a dipendere da un qualche concetto di “complessità crescente”. Benché vi siano delle difficoltà tecniche nel definire con precisione il significato di “crescita della complessità”, è intuitivamente convincente il fatto che una successione come quella del tipo quark, molecola, cellula, entità pluricellulare, essere cosciente, essere autocosciente, rappresenti una scala ascendente di tal genere. È importante riconoscere che non è semplicemente la “grandezza” a costituire l’essenza della complessità, ma il grado di intrinseca interrelazione e reciprocità presente tra le parti. Sebbene l’universo osservabile contenga qualcosa dell'ordine di 1022 stelle, la cosmologia è un soggetto molto più semplice della biologia umana.
I livelli di una gerarchia possono essere distinti grazie all’“emergenza” di alcune proprietà che si presentano ad un livello superiore, delle proprietà cioè che non si manifestano ai livelli più bassi. La vita e la coscienza rappresentano i due esempi di emergenza forse a noi più noti e che maggiormente ci meravigliano. Una domanda critica è se il fenomeno dell’emergenza sia semplicemente l’espressione di un antiriduzionismo concettuale, o se abbia un più profondo significato ontologico. Abbiamo visto come l’emergenza dell’umidità dell’acqua sembri essere semplicemente un esempio del genere “concettuale”, in cui delle proprietà energetiche, ad un livello, producono delle proprietà energetiche al livello superiore, in una maniera del tutto non problematica. Viceversa, l’emergere della coscienza sembra resistere ad un tentativo di comprensione in termini di emergenza puramente concettuale. C’è una lacuna davvero notevole tra la gli aspetti metodologicamente riduzionistico-concettuali dei processi neuronali le più semplici esperienze mentali coscienti, come l’aver fame, o il vedere un colore azzurro, e non vi è nessun collegamento ovvio tra i due livelli. Riconoscere questo fatto solleva la questione se, in questo caso, non sia necessario condividere anche un antiriduzionismo di tipo “causale”. Se l’esecuzione delle intenzioni mentali è un atto libero della persona umana, sembrerebbe questo il caso in cui agisce una causalità olistica irriducibile (intenzione umana).
Infine, osserviamo che coloro che hanno una forte tendenza verso il riduzionismo, come Francis Crick (La scienza e l’anima, Milano 1994) e Richard Dawkins (Il gene egoista, Milano 1992), non scendono, però, al di sotto del livello della propria disciplina nei loro intenti esplicativi, ma si accontentano di inquadrare le loro considerazioni al livello delle molecole, o dei geni, senza spingersi fino al livello dei quarks.
III. Comprensione scientifica
È utile, a questo punto, annotare un certo numero di indicazioni, che provengono dalla scienza moderna e che incoraggiano l’adozione di una posizione antiriduzionista.
a) Contrariamente a quanto avviene in un quadro interpretativo fisico di tipo newtoniano, che considera gli atomi come corpi che si muovono nel vuoto inteso come un contenitore spaziale, la relatività generale di Einstein lega insieme lo spazio, il tempo e la materia, in una stretta e intrinseca interrelazione.
b) L’effetto EPR [dal nome di A. Einstein, B. Podolski e N. Rosen, scienziati che ne teorizzarono per primi l'esperimento] mostra come, quando due entità quantistiche interagiscono tra loro, esse rimangono reciprocamente interconnesse; per quanto grande sia la distanza a cui esse si trovano ed indipendentemente da questa, esse si comportano in effetti come un unico sistema. Dunque, il mondo subatomico non può essere descritto in termini atomistici.
c) I “sistemi fisici complessi” manifestano molte proprietà che non possono essere previste con la sola considerazione dei loro costituenti separati. Ad esempio, gli elettroni in movimento che appartengono agli atomi dei metalli possiedono una struttura dei livelli energetici a bande. Ciò significa che esistono degli intervalli di energia che sono loro accessibili ed altri che non lo sono. E questo è in contrasto completo con il modo di comportarsi degli elettroni liberi, le cui energie possono assumere qualsiasi valore.
d) La “teoria del caos” (cfr. Gleick, 1989) è lo studio di quei sistemi che sono altamente sensibili alle condizioni iniziali. In essi, il più piccolo cambiamento che avvenga nell’intorno dei valori delle condizioni iniziali, cambia completamente il comportamento futuro e dunque la prevedibilità di tutto il sistema. Questi sistemi sono assai diffusi e la loro vulnerabilità ambientale significa che non sono genuinamente isolabili. Essi devono essere trattati olisticamente, insieme a tutto il loro contesto.
e) La “teoria della complessità” (cfr. Kauffman, 1995) si occupa del comportamento di quei sistemi complessi (cfr. supra, c), i cui costituenti sono legati fra loro con delle specifiche relazioni. Questa nuova scienza, che attualmente sta ancora mettendo i suoi primi passi, e che si basa in larga misura sulla modellizzazione al computer, ha mostrato che sistemi di questo genere sono in grado di generare spontaneamente un numero impressionante di forme o modelli (patterns) nel campionario complessivo del loro comportamento. Questo ha suggerito a qualcuno che, quando sarà stata trovata una teoria adeguatamente formulata, essa non coinvolgerà solo la descrizione delle relazioni esistenti tra i costituenti, ma anche quella sorta di capacità di tipo olistico di dare origine a modelli o comportamenti unitari o ricorrenti, che è stata denominata “informazione attiva” (cfr. Polkinghorne, 2000).
f) Le cellule biologiche sono sistemi biochimici di elevata complessità interrelazionale. Anche se è divenuto ormai convenzionale parlare del DNA come di portatore di informazione, questo contenuto informazionale è significativo ed è attivato soltanto all’interno dell’intero contesto della cellula vivente. Se isolato, il DNA non è niente di più che una struttura chimica molto complessa.
g) Il premio Nobel Roger Sperry, studioso del cervello, ha introdotto il concetto di causalità top-down [influenza dall'alto verso il basso], cioè una causalità del tutto sulle parti che egli riteneva intervenisse nelle interrelazioni causali che intercorrono tra mente e cervello (cfr. Sperry, 1983). L’idea della causalità top-down è stata successivamente adottata da un certo numero di altri autori.
IV. Aspetti filosofici e teologici del riduzionismo
1. Razionalità. Il riduzionismo forte si trova a diretto confronto con il problema della natura della razionalità. Se la realtà non è altro che interazione di particelle elementari, allora tutto accade a caso e chi può dire che i movimenti della bocca di automi di forma umana siano le articolazioni di un discorso razionale? Chi o cosa può certificare che il modo di parlare sia valido e veritiero? Il riduzionista forte taglia proprio il ramo su cui cerca di stare seduto, mettendo in pericolo quegli argomenti che egli ritiene difendano la sua posizione.
2. Metafisica. Le classiche posizioni filosofiche del fisicalismo o dell’idealismo hanno entrambe un carattere essenzialmente riduzionista, dal momento che riducono la realtà semplicemente al dato materiale, o a quello mentale. Il dualismo sostanziale, di tipo platonico o cartesiano, è essenzialmente antiriduzionista, nel senso che riconosce uno statuto di realtà sia al dato materiale che a quello mentale. Tuttavia ha incontrato molti problemi, la cui radice sta nella difficoltà di spiegare come il mentale e il materiale entrino in relazione reciproca. Ma vi sono anche numerose altre posizioni filosofiche contemporanee che hanno ugualmente un carattere antiriduzionista.
Una è il “monismo duale” (dual-aspect monism) — a volte chiamato “fisicalismo non riduzionista” — che afferma esservi un solo genere di sussistenza (substance), ma che esso può essere esperito secondo due poli complementari, quello del “materiale” e quello del “mentale”. Un simile modo di trattare il rapporto mente/materia è antiriduzionista. In un modo diverso, anche la “filosofia del processo” di Alfred North Whitehead (1861-1947) si oppone al riduzionismo: essa si basa su una metafisica dei singoli eventi o “occorrenze reali” (actual occasions). Questi possono rispondere a gradi di complessità diversificati e non li si può “ridurre” ad un denominatore comune. Un’altra proposta antiriduzionista è stata avanzata da Niels Bohr (1885-1962) quando ha suggerito di esportare dalla meccanica quantistica il suo concetto di “complementarità”, utilizzandone le virtualità come un modo concettuale per collegare la vita e la materia. Bohr ha sottolineato il fatto, già rilevato, che ridurre il vivente alle sue parti molecolari non serve che ad ucciderlo e che le due procedure alternative, quella di accostarvisi nella sua interezza olistica, oppure quella di operarne una decomposizione materiale, sono tra loro incompatibili. Nessuna delle due formulazioni metafisiche, comunque, è priva di difficoltà.
3. Teologia. Non c’è bisogno di sottolineare l’interesse della teologia ad una prospettiva antiriduzionistica di comprensione della realtà. A partire da Lucrezio (ca. 98-54 a.C.), quanti hanno portato avanti l’ipotesi che non esistono altro che gli atomi e il vuoto hanno anche terminato con lo sposare l’ateismo. La realtà di tutto ciò che è mentale e spirituale è d’importanza vitale per la religione, e la realtà di tutto ciò che è materiale è d’importanza vitale per il cristianesimo, la religione del Verbo fatto carne. La teologia dovrebbe sentirsi confortata dal fatto che vi è un sufficiente incoraggiamento, sia da parte di una scienza correttamente elaborata, sia da parte di una filosofia ben perseguita, a difendere la posizione antiriduzionista.
V. Considerazioni conclusive: la realtà è un’unità a molti livelli
1. Insufficienza della prospettiva riduzionista. La conoscenza che risulta dalla nostra indagine del mondo — riproponiamo qui quanto già sviluppato in altro luogo (cfr. Polkinghorne, 1987, pp. 128-129 e 143-145) — può dunque venire organizzata in una gerarchia corrispondente alla complessità del sistema o disciplina considerata come fondamentale: fisica, chimica, biochimica, biologia, psicologia, sociologia, teologia. Ma che relazione c’è tra questi differenti livelli di descrizione? Il “riduzionista” integrale ha la risposta pronta: alla fine, tutto si riduce alla fisica. Il resto non è altro che un'increspatura epifenomenica sulla superficie di un sostrato fisico, proprio come le onde generate dal vento in un campo di grano non sono nient'altro che il movimento di molte spighe. Questa risposta è molto semplice, ma non è plausibile. Un autoritratto di Rembrandt è allora solo un insieme di macchioline di colore, o un sonetto di Shakespeare nient'altro che ghirigori d'inchiostro sopra un foglio di carta? Questo è ciò che rimane smontando il quadro o il sonetto. Non troveremo certo un ingrediente “extra”, qualcosa come lo spirito dell'arte o della poesia. Mi sembra che un «riduzionismo strutturale» possa venir accettato, che si possa sottoscrivere cioè la tesi per cui le unità a partire dalle quali sono costituite le entità del mondo fisico siano proprio le particelle elementari studiate dalla fisica di base. In biologia il vitalismo sembra ormai morto definitivamente. I successi della biologia molecolare non ci spingono certo a credere nella necessità di una misteriosa entelechia o di un élan vitale per trasformare la materia inanimata in un essere vivente. Il riduzionista radicale sceglie però una posizione più forte, accettando un «riduzionismo concettuale» che nega l'emergere, con la crescente complessità dell'organizzazione, di livelli di significato totalmente nuovi e di possibilità che non sono in linea di principio riducibili a quelli che a loro soggiacciono. Perché il «riduzionismo strutturale» non giunga al «riduzionismo concettuale», si rende necessaria un'attenta analisi del grado in cui una vera “novità” può apparire a questi crescenti livelli di organizzazione. Fino a che punto l'intero è più della somma delle sue parti? Questo risultato viene sicuramente raggiunto attraverso l'effetto di potenziamento generato dalla mutua interazione cooperativa, resa possibile da componenti che si integrano in un'unità più grande.
Credo che abbia ragione chi difende l’autonomia della propria disciplina contro le pretese imperialistiche della fisica. Gli animali sono certamente composti di atomi, ma non per questo la biologia si riduce a un complicato corollario della fisica atomica. E sintomatico che, per essere compresi, i concetti biologici abbiano bisogno dell'ambiente vivente nel quale trovano la loro espressione. Proviamo a considerare una frase di questo tipo: «la biologia molecolare ci ha permesso di comprendere più a fondo dal punto di vista biochimico come il programma genetico sia codificato nel DNA e come l'RNA trasferisca le parti appropriate di quel piano per controllare la produzione delle proteine». In questa frase c'è senz'altro una confusione di linguaggi. La biochimica può parlare della dinamica molecolare degli amminoacidi che si aggregano per formare proteine. Il linguaggio informativo del “programma” e del “piano” si riferisce, però, a un tipo di discorso differente e disgiunto, che comincia ad avere senso solo in un contesto cellulare.
2. Scienze e teologia. Del grande fisico sperimentale dell'Ottocento Michael Faraday, che era credente e cristiano praticante, è stato detto, forse a torto, che quando entrava in laboratorio dimenticava la religione e che quando ne usciva dimenticava la scienza. Spero che non fosse vero. Viviamo in un unico mondo e scienza e teologia ne esplorano aspetti differenti. Nonostante le ovvie differenze, le due discipline hanno in comune il fatto che entrambe richiedono tentativi correggibili di comprendere l’esperienza. Si occupano infatti entrambe di esplorare il modo in cui le cose sono e a questo, infine, si sottopongono. Esse sono perciò in grado di interagire l'una con l'altra: la teologia, spiegando la fonte dell'ordine e della struttura che la scienza assume e conferma nella sua indagine del mondo; la scienza, attraverso lo studio delle condizioni adatte alla creazione, che devono essere soddisfatte da ogni descrizione del Creatore e della sua attività. La loro relazione non è priva di rompicapi, ma coloro che prendono con uguale serietà quanto viene raccontato dalla scienza e dalla religione non sono affatto obbligati né a dividere la loro riflessione in compartimenti stagni, né a cercare compromessi in malafede.
La realtà è un'unità a molti livelli. Posso percepire un'altra persona come un aggregato di atomi, ma anche come un sistema biochimico aperto in interazione con l'ambiente, o come un esemplare di homo sapiens, come un oggetto di bellezza, o come qualcuno i cui bisogni meritano il mio rispetto e la mia compassione, o infine come un fratello per cui Cristo è morto. Tutti questi aspetti sono veri e coesistono in maniera misteriosa in quell'unica persona. Se ne negassi uno, significherebbe che sminuisco sia quella persona che me stesso, che tento di capirla; significherebbe non rendere giustizia alla ricchezza della realtà. Una giustificazione del teismo è che nel Dio Creatore, il fondamento di tutto ciò che è, questi livelli differenti trovano il loro spazio e la loro garanzia. Egli è la fonte della connessione, colui il cui atto creativo contiene in sé le prospettive del mondo della scienza, dell'estetica, dell'etica e della religione, come espressioni della sua ragione, gioia, volontà e presenza.
Questo carattere di intreccio del mondo creato trova la sua espressione più piena nel concetto di sacramento, un segno esteriore e visibile di una grazia interiore e spirituale, una meravigliosa fusione degli interessi di scienza e teologia. E così, nella Eucaristia, il pane e il vino che, nelle parole della liturgia, “la terra ha dato e l'uomo ha fatto”, divengono il corpo e il sangue di Cristo, la fonte della vita spirituale. Il più grande sacramento, paragonati al quale tutti gli altri sono solo specificazioni e “ombre”, è l'incarnazione in cui «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Il Verbo, il lógos, combina due nozioni, una greca e una ebraica. Per i Greci il lógos era il principio razionale ordinatore dell'universo. Per gli Ebrei la parola del Signore era l'attività di Dio nel mondo. La scienza delinea un mondo di ordine razionale che si sviluppa attraverso lo svolgimento di un processo, una fusione di intuizioni greche ed ebraiche. La teologia afferma che il mondo, nel suo aspetto scientifico, è un'espressione del “mondo di Dio”, in quanto, «tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3).
Documenti della Chiesa Cattolica correlati:
Fides et ratio, 88.
R.W. SPERRY, Science and Moral Priority, Columbia Univ. Press, New York 1983; A.R. PEACOCKE, God and the New Biology, Dent, London 1986, capp. 1-4; H. MARGENAU, Il miracolo dell'esistenza, Armando, Roma 1987; J.C. POLKINGHORNE, Scienza e fede, Mondadori, Milano 1987; J. GLEICK, Caos, Rizzoli, Milano 1989; I.G. BARBOUR, Religion in an Age of Science, Harper and Row, New York 1990, pp. 165-171; T. e I. ARECCHI, I simboli e la realtà, Jaca Book, Milano 1990; E. AGAZZI (a cura di), The Problem of Reductionism in Science, Kluwer, Dordrecht 1991; G. NICOLIS E I. PRIGOGINE, La complessità. Esplorazioni nei nuovi campi della scienza, Einaudi, Torino 1991; G. BASTI, Il rapporto mente-corpo nella filosofia e nella scienza, ESD, Bologna 1991; G. DEL RE, Una chiave di lettura: l'essere e la verità come fondamenti della scienza, in T. Torrance, Senso del divino e scienza moderna, LEV, Città del Vaticano 1992, pp. 5-37; M. CINI, Un paradiso perduto. Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, Feltrinelli, Milano 1994; S. KAUFFMAN, At Home in the Universe, Oxford Univ. Press, New York 1995; J. BARROW, Impossibilità. I limiti della scienza e la scienza dei limiti, Rizzoli, Milano 1999; F. BERTELÈ, A. OLMI, A. SALUCCI, A. STRUMIA, Scienza, analogia, astrazione. Tommaso d'Aquino e le scienze della complessità, Il Poligrafo, Padova 1999; J.C. POLKINGHORNE, Credere in Dio nell'età della scienza, R. Cortina, Milano 2000.