Inside Out è un film di animazione prodotto da Pixar Animation Studios e Walt Disney Pictures e rilasciato nel 2015. La storia narrata nel film, diretto da Peter Docter, è ambientata nella mente di una bambina di undici anni, Riley Andersen, adottando il punto di vista di cinque emozioni (personificate): Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto. Le cinque emozioni influenzano il comportamento di Riley agendo su una consolle situata all’interno di un Quartier Generale: ogni volta che un'emozione entra in azione nasce un ricordo, rappresentato da una piccola sfera del colore abbinato (corrispondente) all'emozione che lo ha provocato. L’evento centrale del film è la reazione di Riley al trasloco della sua famiglia dal Minnesota (dove la bambina è nata e cresciuta) a San Francisco. Se all’inizio della storia l’emozione “leader” nella mente di Riley è Gioia, alla fine del film prende spazio importante Tristezza, l’emozione di cui la stessa Gioia non capiva la funzione. Inside Out non è un banale film di animazione, per la sua realizzazione infatti sono stati consultati numerosi psicologi, tra cui Dacher Keltner e Paul Ekman: quest’ultimo, oltre a essere uno degli psicologi contemporanei più famosi al mondo, è considerato il “padre” del modello più influente nell’indagine sulle emozioni, la Teoria delle Emozioni di Base. Grazie al contributo di Ekman, dunque, nel film emergono alcuni punti centrali di questa teoria: Inside Out è quindi un ottimo spunto per introdurre il dibattito contemporaneo sulle emozioni.
L’idea centrale è che le emozioni siano delle entità che mediano tra uno stimolo esterno o interno e una reazione (manifestazione): le emozioni sarebbero quindi qualcosa di reale (ad esempio, “programmi” che nel film vengono personificati) che influenza il comportamento di un soggetto (nel caso del film, attraverso una consolle). Le emozioni interpretano una situazione (stimolo) e attivano una reazione conseguente: nel film, ad esempio, quando alla piccola Ridley vengono presentati dei broccoli reagisce emettendo un suono di disgusto [yuk!] e lanciandoli via, perché Disgusto (l’emozione personificata) ha “attivato” una reazione.
Queste entità sono poi un numero limitato: il film ne mostra solo cinque, anche se l’intenzione era utilizzare le sei emozioni studiate da Ekman all’inizio della sua carriera (gioia, tristezza, rabbia, disgusto, paura e sorpresa, tuttavia le ultime due vennero ritenute troppo simili). Un numero limitato di emozioni è quindi in grado di spiegare la varietà delle manifestazioni emozionali di un individuo. Nel finale del film vengono mostrati vari ricordi (rappresentati da sfere colorate) che contengono più colori, e dunque più emozioni diverse che si “mescolano” (ad esempio sfere gialle e blu, rispettivamente i colori di Gioia e Tristezza).
Tali manifestazioni sono poi prototipiche: i vari episodi di rabbia, paura, gioia, tristezza e disgusto hanno ognuno delle caratteristiche specifiche (ad esempio l’espressione facciale, il tono di voce, il comportamento, ecc.). Le manifestazioni emozionali hanno un’importante funzione comunicativa e sociale: nel film ne è un chiaro esempio la scena della cena, dove lo scambio di battute tra Riley e i genitori viene presentato attraverso le emozioni dei vari personaggi. La madre e il padre “leggono” lo stato emozionale della figlia attraverso le sue manifestazioni (ad esempio il tono di voce) e reagiscono di conseguenza: la rabbia manifestata da Riley innesca a sua volta una reazione di rabbia nel padre.
Nel film viene anche esplicitata la funzione adattiva delle emozioni (centrale nel modello di Ekman): ogni emozione ha la funzione di far fronte a situazioni ricorrenti. Ad esempio, Paura ha il compito di “tenere Riley al sicuro”, ovvero proteggere la protagonista da danni fisici e psicologici, Disgusto ha quello di prevenire avvelenamento fisico e sociale (l’esempio dei broccoli), Rabbia reagisce di fronte alla percezione di un’ingiustizia. La stessa emozione si “attiva” in vari contesti e permette di far fronte a stimoli molto diversi tra loro. Questa caratteristica “adattiva”, che nel modello di Ekman è data dal processo evolutivo, non è esclusiva degli uomini: anche gli animali (ad esempio cani e gatti, come viene mostrato nelle scene durante i titoli di coda) reagiscono emotivamente (possiedono quindi questi “programmi”) agli stimoli.
Se è vero, come si è detto, che la Teoria delle Emozioni di Base formulata da Ekman è il modello più influente nelle scienze affettive, è altrettanto vero che a questo modello sono state mosse numerose critiche e che sono stati proposti modelli alternativi molto validi. Il modello proposto in Inside Out è stato fortemente criticato da una psicologa canadese, Lisa Feldman Barrett, nell’articolo How Pixar’s ‘Inside Out’ Gets One Thing Deeply Wrong. Barrett è una dei sostenitori più influenti di un modello alternativo alla Teoria delle Emozioni di Base, il costruzionismo psicologico. Il costruzionismo critica gli assunti principali della Teoria (in particolare il fatto che esistano delle entità biologiche come le “emozioni”), affermando invece che ciò che viene comunemente definito “emozione” è una costruzione della mente umana a partire da elementi più semplici e non emozionali.
Barrett sostiene che il modello proposto in Inside Out si adatta bene al pensiero comune sulle emozioni ma è scientificamente errato. Secondo Barrett, infatti, per più di un secolo gli scienziati hanno ritenuto che nel cervello esistano dei “blob” di circuiti neurali – così come personificati nel film - che attivano un episodio emozionale con tutte le manifestazioni annesse: ogni volta che si ha un episodio emozionale, uno dei “blob” si è attivato. Ma questo, secondo Barrett, anche se si adatta con l’esperienza quotidiana delle emozioni (ovvero il percepire le emozioni come discrete, separate le une dalle altre e con manifestazioni prototipiche) e viene rappresentato in un bel film è, alla luce degli attuali studi neuroscientifici, totalmente sbagliato. Se si vuole utilizzare un film come metafora, i processi emozionali nel cervello non sono come Gioia e i suoi amici ma più come gli Avengers, che salvano il mondo lavorando insieme come una squadra. Gli Avengers sono un gruppo di supereroi dell’universo fumettistico Marvel (la composizione del gruppo è cambiata più volte nei fumetti; nel film del 2012 prodotto da Marvel Studios comprende Capitan America, Iron Man, Hulk, Thor, Vedova Nera e Occhio di Falco), ognuno dotato di poteri e abilità, la cui missione è difendere la Terra da vari super cattivi (alieni, esseri di altre dimensioni, robot, ecc.). Gli episodi emozionali sono costruiti da sistemi o processi (generali, non esclusivamente emozionali) che lavorano insieme: ad esempio un sistema è legato alla percezione del proprio corpo, un altro alla propria esperienza passata, un altro ancora alla percezione degli stimoli o l’interpretazione della situazione. Così in The Avengers quando gli alieni attaccano la Terra e i supereroi hanno bisogno di un piano, non c’è nessun supereroe che ha il potere di creare “buoni piani” (come nel cervello non c’è nessun “programma” che produce la “rabbia”): al contrario, ogni supereroe contribuisce alla missione con le proprie abilità. Il gruppo ha anche poteri intercambiabili: se in una situazione c’è bisogno di super forza e Hulk non è presente, Thor o Iron Man possono comunque essere idonei nel frangente. Similmente nel cervello, diverse combinazioni di processi possono essere adatti allo stesso compito (un episodio emozionale “dello stesso tipo” può essere costruito da diverse combinazioni di processi). Il “modello Avengers” può sembrare contro-intuitivo rispetto al “modello Inside Out”, tuttavia, sostiene Barrett, la scienza è piena di verità contro-intuitive: la Terra è sferica anche se appare piatta, il sole sembra muoversi da est a ovest anche se in realtà è la Terra che ruota, la fisica teorizza che l’universo sia composto da stringhe vibranti in undici dimensioni e così via.
Un approccio profondamente diverso, ma che nel contempo riprende alcune assunzioni della Teoria delle Emozioni di Base e del costruzionismo psicologico è l’approccio dinamico alle emozioni sviluppato dalla filosofa Giovanna Colombetti. Tale approccio si basa su due sistemi teorici molto specifici: l’enattivismo e la teoria dei sistemi dinamici.
La tesi principale dell’enattivismo è che le strutture cognitive della mente emergerebbero dalle dinamiche senso-motorie ricorrenti fra l’agente incarnato (“embodied”) e inserito in un ambiente (“embedded”), le quali permettono all’azione di essere guidata percettivamente (la percezione è vista come azione, non come un processo passivo ma un’attività esplorativa dell’organismo nell’ambiente). L’idea centrale è quindi che esista una profonda continuità tra vita e mente che si traduce nel fatto che la vita è condizione sufficiente per la mente: le strutture cognitive di quest’ultima emergono dalle dinamiche senso-motorie tra un organismo e l’ambiente. La mente non è quindi una proprietà che appare a un certo livello dell’evoluzione (o un’immateriale sostanza pensante cartesiana) ma è una caratteristica di tutti gli organismi viventi in quanto tali ed è essenzialmente legata al corpo.
La mente, in quanto incarnata, legata intrinsecamente a un corpo, è sempre “affettiva”: l’affettività, secondo Colombetti, è definibile come “mancanza di indifferenza” o “sensibilità per la propria esperienza”, la capacità di essere “toccati” in modo significativo da ciò che si sta esperendo. Tutti i sistemi viventi sono affettivi in senso ampio, poiché l'affettività dipende dalle proprietà della vita in quanto tale: anche i sistemi viventi più semplici (come un organismo unicellulare) sono in relazione con un ambiente dal quale sono “toccati personalmente”; esiste un'asimmetria tra il sistema vivente e il resto del mondo, che consiste in una prospettiva o punto di vista dal quale il mondo, per quel determinato organismo, assume significato.
L’altro paradigma teorico a cui Colombetti fa riferimento è la teoria dei sistemi dinamici: una branca della matematica che descrive l’evoluzione temporale di sistemi complessi, ovvero sistemi composti da più parti interagenti tra loro, il cui comportamento è il risultato di queste interazioni, dove queste ultime sono talmente numerose e interconnesse che non è possibile risalire a come ogni singola parte contribuisca al comportamento complessivo del sistema.
Combinando questi due strumenti teorici viene a nascere così una “scienza affettiva dinamica” in cui gli episodi emozionali sarebbero da vedersi come forme di auto-organizzazione che coinvolgono vari processi (neurali, muscolari, ecc.) vincolati da configurazioni stabili. Come tali essi non sono dunque né il prodotto predefinito di un programma affettivo né il risultato di un processo di categorizzazione: sono quindi flessibili e fortemente dipendenti dal contesto (in particolare, come viene sottolineato nell’enattivismo, dalla relazione continua tra ambiente, corpo e cervello); nello stesso tempo, tuttavia, le possibili variazioni sono vincolate da fattori biologico-evolutivi e socio-culturali, poiché attrattori e repulsori (elementi del sistema dinamico) tendono a influenzare l’organizzazione dei vari processi verso una relativa stabilità. In questo modo, Colombetti riesce a dar conto sia della grande variabilità sia della universalità (intesa come stabilità di alcune forme) degli episodi emozionali.
Quale modello è più adatto a descrivere cosa sono le emozioni? Il dibattito, ad oggi, è lungi dall’essere concluso. Le due posizioni principali, la Teoria delle Emozioni di Base e il costruzionismo psicologico, appaiono estremamente articolate e presentano numerose varianti al loro interno; l’approccio dinamico cerca nel contempo di superare le difficoltà di entrambi gli approcci attraverso una formulazione innovativa e rigorosa. Questi paradigmi ovviamente non si riducono alla “lettura” di un film, ma lo scontro su “cosa sono le emozioni” si gioca anche sull’ultimo film di animazione uscito al cinema.