Il sacerdote gesuita Angelo Secchi (Reggio Emilia, 1818 – Roma, 1878) può essere ricordato a pieno titolo tra i “padri fondatori” della moderna Astrofisica.
I limiti dell’astronomia classica
Quando Secchi iniziò ad occuparsi di astronomia l’attività degli astronomi era ancora principalmente dedicata a studiare la posizione ed il moto degli oggetti celesti (calcolo delle orbite dei pianeti, compilazione di cataloghi delle posizioni e delle luminosità). Soltanto pochi corpi celesti (pianeti e loro satelliti, nebulose) potevano essere risolti dai telescopi per studiarne la morfologia.
Nella prima metà dell’Ottocento l’astronomo Friedrich W. Bessel (1784-1846) aveva ottenuto una stima della distanza delle stelle misurando il loro spostamento apparente sulla volta celeste dovuto alla diversa posizione della Terra nella sua orbita intorno al Sole (effetto di parallasse). Grazie alle sue precise misure angolari si rese conto che nessuna stella risultava avere una parallasse superiore al secondo d’arco, ossia nessuna stella risultava avere una distanza dalla Terra inferiore a 200.000 volte la distanza Terra-Sole. Nel 1835 Bessel riuscì per la prima volta a determinare la distanza di una stella (61 Cygni): circa 650.000 volte la distanza della Terra dal Sole. Davanti a distanze così immense si perse la speranza di poter ottenere una qualsiasi informazione diretta sulla fisica e sulla composizione chimica delle stelle. Così scriveva il filosofo Auguste Comte (1798-1857) in quegli anni:
«Qualsiasi ricerca sulle stelle che non sia in ultima analisi riducibile a semplici osservazioni visuali è necessariamente vietata. [...] Noi possiamo determinare le loro forme, le distanze, le loro grandezze e i loro movimenti, ma non potremo mai studiare, in alcun modo, la loro composizione chimica e la loro struttura mineralogica e, a maggior ragione, la natura dei corpi organizzati che vivono sulla loro superficie» (A. Comte, Cours de philosophie positive, 2 vol., Bachelier, Parigi 1835, nostra traduzione, p. 8).
La nascita dell’Astrofisica
Comte non immaginava certamente che proprio in quegli anni stava nascendo una nuova scienza in grado di fornire informazioni sulla “composizione chimica” delle stelle. Era passato ormai più di un secolo da quando Newton (1643 - 1727) aveva compiuto i primi esperimenti sulla scomposizione della luce, ma nessuno si era accorto fino ad allora della presenza di sottili bande scure che attraversavano lo spettro dal rosso al violetto. Il primo ad osservarle ed ad individuarne sette fu - proprio all’inizio del XIX secolo - un altro fisico e chimico inglese, William Hyde Wollaston (1766-1828). Alcuni anni dopo, tra il 1814 e il nel 1818, il fisico tedesco Joseph von Fraunhofer (1787-1826) arrivò a classificare più di 570 linee scure nello spettro solare. La scoperta suscitò molto interesse, ma Fraunhofer non riuscì a capire l’origine di quelle righe.
Solo alla metà del secolo due ricercatori dell’università di Heildelberg, Robert Bunsen (1811-1899) e Gustav Kirchhoff (1824-1877), compresero come quelle sottili righe scure potessero essere associate alla presenza di particolari elementi chimici: era l’inizio dell’analisi chimica dell’universo attraverso la spettroscopia. In prima approssimazione si può immaginare che la superficie incandescente della stella emetta uno spettro continuo. L’atmosfera presente sopra la superficie assorbe la radiazione a fissate lunghezze d’onda - dipendenti dagli elementi chimici presenti - si formano così delle righe scure di assorbimento nello spetro continuo (v. Figura 1). In realtà non c’è una separazione netta tra la superficie e l’atmosfera, tutti gli strati emettono e riassorbono parte della radiazione, ma l’effetto netto di questi processi è che meno energia è irradiata in corrispondenza delle righe di assorbimento. Le righe spettrali diventarono così dei preziosi indicatori degli elementi chimici presenti nell’atmosfera della stella osservata.
Fig. 1. Analisi spettroscopica della luce emessa da una stella. La stella emetterebbe idealmente uno spettro continuo (spettro superiore), ma a causa degli elementi chimici presenti negli strati superficiali dell’atmosfera stellare la radiazione che effettivamente raggiunge l’osservatore presenta diverse righe di assorbimento (spettro inferiore).
La prima classificazione stellare
Padre Secchi fu tra i primi a cogliere l’importanza di questa nuova tecnica per lo studio del Sole e delle altre stelle:
«quando pareva che fosse per isterilirsi il campo delle ricerche astronomiche, e che a noi fosse restato solamente a spigolare dove altri avea riccamente mietuto; ecco che una nuova scoperta viene ad aprire uno sterminato orizzonte, che finirà un giorno per rivelarci la natura fisica degli astri, e col mostrarci la qualità della materia che li compongono. Questa è la spettroscopia e le sue applicazioni fatte da Kirchhoff e Bunsen» (A. Secchi, Le scoperte spettroscopiche in ordine alla ricerca della nature dei corpi celesti, Tipografia delle Belle Arti, Roma 1865, p 4).
Costretto a lasciare Roma per i moti del 1848 si recò prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti (Georgetown), qui poté entrare in contatto con numerosi scienziati ed essere aggiornato su gli ultimi sviluppi della fisica e dell’astronomia. Rientrato a Roma nel 1850 come insegnante presso il Collegio Romano e per dirigere l’Osservatorio si preoccupò da subito di migliorane gli spazi, ottenendo - nel 1852 - il permesso di trasferirlo in nuovi locali sul tetto della chiesa di S. Ignazio. Come principali strumenti per le osservazioni poteva disporre di un telescopio rifrattore Cauchoix (con apertura 16,9 cm) e - dopo il 1854 - anche del telescopio rifrattore Merz (con apertura 24,4 cm) (vedi Figura 2). Per gli studi di spettroscopia fece realizzare, sempre da Merz, un prisma obiettivo utilizzabile su entrambi i telescopi ed in grado di fornire l’immagine spettrale di una sorgente di luce puntiforme (vedi Figura 3).
Fig. 2. Sala dell’equatoriale Merz (incisione di G. Della Lonca in Triplice omaggio alla Santità di Papa Pio IX nel suo giubilo episcopale, Tipografia della Pace, Roma 1877).
Grazie a questa strumentazione poté intraprendere un progetto sistematico di classificazione delle stelle a partire dalle caratteristiche degli spettri. Già nel 1863 pubblicò uno studio basato su un primo insieme di osservazioni (Sugli spettri prismatici della luce de’corpi celesti in Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del Collegio Romano, 31 luglio 1863); questa classificazione fu poi via via migliorata fino ad arrivare a quella presentata nel saggio Le Stelle. Saggio di astronomia siderale (1877) basata sull’osservazione di più di quattromila spettri. Quest’ultima classificazione comprendeva quattro tipo stellari basati sulle caratteristiche degli spettri di emissione più un quinto tipo contenente marcate righe di emissione.
Il primo tipo è costituito da stelle di colore bianco-azzurrognolo come Sirio. «Tutte queste stelle, che chiamansi comunemente bianche, benché in realtà seino leggermente turchine, offrono uno spettro che è formato dall’insieme ordinario dei 7 colori, interrotto da quattro grandi linee nere, la prima nel rosso, l’altra nel verde-azzurro, le due ultime nel violetto» (Secchi, Il Sole, Tipografia della Pia Casa di Patronato, Firenze 1884, p. 400-401).
In un secondo gruppo sono raccolte le stele di colore bianco-giallastro come il Sole. «Lo spettro di queste stelle è perfettamente simile a quello del nostro Sole, cioè formato di righe nere e finissime, serratissime, e che occupano la stessa posizione di quelle dello spettro solare» (ivi, p 402).
In un terzo tipo egli collocò stelle con un colore che «tira più o meno al rosso o all’arancione» (ivi, p 403) come α di Orione. «Lo spettro del terzo tipo è molto straordinario; e si compone di un doppio sistema di fasce nebulose e di righe nere» (ivi , p 403).
«Il quarto tipo è ancora più straordinario» (ivi , p 403) queste poche stelle, non sono necessariamente più fredde di quelle del terzo tipo, ma soltanto chimicamente diverse.
Fig. 4-I. Spettri di assorbimento caratteristici delle stelle del I, II, III e IV tipo (A. Secchi, Le Stelle, Fratelli Dumolard, Milano 1877).
Da ultimo aggiunse anche una quinta classe di corpi celesti e caratterizzato dalla presenza di pronunciate righe di emissione nei loro spettri. «Vi è un’accezione singolarissima, formata da una quinta classe di stelle di pochissimo numerose, che ci danno lo spettro diretto dell’idrogeno» (ivi, p 409).
Fig. 4-V. Spettro di emissione caratteristico delle nebulose - V tipo (A. Secchi, Le Stelle, Fratelli Dumolard, Milano 1877).
Grazie a questo lavoro pioneristico Secchi viene giustamente considerato come il fondatore della classificazione spettrale. L’opera da lui iniziata fu poi portata avanti ed estesa da numerosi astronomi; si ricordi in particolare la classificazione di Harvard realizzata tra fine Ottocento e i primi decenni del Novecento e basata su una sistematica osservazione dello spettro di circa 225.000 stelle.
Ulteriori potenzialità della spettroscopia
L’analisi degli spettri stellari aprì così la possibilità di indagare la composizione chimica dei corpi celesti. Questa non è però l’unica informazione che è possibile ricavare tramite lo studio della spettroscopia.
Già nel trattato su Le Stelle troviamo la descrizione di come, in linea di principio, sia possibile indagare «i moti assoluti nella direzione del raggio visuale» (Le Stelle, p 193). Se la sorgente luminosa si trova in moto verso l’osservatore le onde si troveranno accorciate rispetto a quelle emesse quando la sorgente era in quiete (vedi Figura 5-a, blueshift); viceversa se la sorgente si sta allontanando dall’osservatore la lunghezza d’onda risulterà maggiore (vedi Figura 5-b, redshift).
Fig. 5-a. Effetto Doppler sullo spettro dovuto ad un moto di avvicinamento della sorgente verso l’osservatore: blueshift.
Fig. 5-b. Effetto Doppler sullo spettro dovuto ad un moto di allontanamento della sorgente dall’osservatore: redshift.
L’effetto Doppler è facilmente verificabile per le onde sonore[1], mentre per avere misure attendibili di velocità radiali di corpi celesti ottenute grazie ad esso sarà necessario aspettare la fine del XIX secolo. Saranno proprio osservazioni di questo tipo che porteranno Edwin Hubble a formulare la nota legge di espansione dell’universo alla base del modello cosmologico del Big Bang.
Lo spettro elettromagnetico contiene un’ulteriore fonte di informazione codificata forma delle singole righe spettrali. Si può infatti stabilire una relazione tra la larghezza delle righe e le condizioni (temperatura, pressione, densità) in cui si trovavano gli elementi atomici al momento dell’emissione della radiazione. L’allargamento delle righe fornisce in questo modo ulteriori informazioni sulle proprietà fisiche della stella osservata.
Da ultimo ricordiamo come anche la presenza di un campo magnetico possa alterare i livelli energetici di un determinato elemento chimico e quindi modificarne lo spettro (effetto Zeeman). A livello astrofisico quest’effetto permette di determinare i campi magnetici stellari o nelle nubi molecolari interstellari.
Con la sua opera pioneristica padre Secchi aiutò a scoprire le potenzialità della spettroscopia ed aprire così un nuovo canale di indagine del cosmo in grado di rivelare non solo la posizione dei corpi celesti ma molte altre proprietà chimiche e fisiche. Un contributo determinate per la nascita della “Nuova Astronomia”, la moderna Astrofisica.
Bibliografia
A. Altamore e S. Maffeo (a cura di), Angelo Secchi e l’avventura scientifica del Collegio Romano, Edizioni Quater, Foligno 2013.
M. G. Fracastoro, Angelo Secchi, pioniere dell’astrofisica, in Scienza e Fede. I protagonisti, a cura di I. Tagliaferri e E. Gentili, Istituto geografico De Agostini, Novara 1989.
R. O. Gray e C.J. Corbally, Stellar Spectral Classification, Princton University Press, Princeton 2009.
Note
[1] «Queste variazioni pel suono furono comprovate sperimentalmente da Fizeau ed ognuno può verificarle nel fischio della locomotiva che presenta tono ben diverso nell’accostarsi e nell’allontanarsi quando il treno passa fischiando avanti all’osservatore» (A. Secchi, Le Stelle, Saggio di astronomia siderale, Fratelli Dumolard, Milano 1877, pp. 193-194).