La creazione di profili specialistici è qualcosa di necessario. Lo reclamano le esigenze del progresso conoscitivo ed è logico che la formazione universitaria, specie nelle sedi più prestigiose, sia qualificata proprio dal livello di competenza e di specializzazione fornito ai propri studenti. Al tempo stesso, sebbene possa sembrare paradossale, il sistema educativo contemporaneo lascia poco margine per un reale “approfondimento”. “Approfondire” significa qui “andare a fondo” o, ancora, “raggiungere il fondamento”, indicando primariamente il reale ancoraggio del proprio settore a ciò che non passa, a ciò che non è soggetto a quello che oggi sovente è chiamato “aggiornamento professionale”. Approfondimento diventa allora sinonimo di cultura. Per molti versi la specializzazione odierna si configura come il reale contraltare dell’approfondimento: è disancoraggio della propria disciplina dalle altre, ma anche disancoraggio dal Fondamento (con la F maiuscola). La persona colta, capace di dialogo interdisciplinare maturo e non solo dettato da finalità pragmatiche, dovrebbe saper colmare questo gap; il “dialogo tra” (inter) propone infatti un fecondo modello relazionale che mira a una ragione non più costretta da un solo metodo e da un solo oggetto, bensì allargata e capace di muoversi con disinvoltura tra più discipline, mantenendo sempre la propria specialità ma al contempo preparata a scandagliarne i presupposti filosofici.
Di questi temi ha voluto occuparsi la seconda edizione della Summer School organizzata dalla SISRI (Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare), alla quale chi scrive ha preso parte insieme ad una ventina di giovani provenienti da tutta Italia e da alcune università straniere. Il titolo della Scuola era a suo modo provocante: “Allargare i confini della ragione: il profilo della persona colta tra specializzazione e interdisciplinarità”. Svoltasi a Prati di Tivo (TE) dal 29 luglio al 5 agosto, sullo sfondo della natura incontaminata del Gran Sasso (tale da poter osservare più volte il cielo stellato, cosa ormai rara dalle nostre città), la Scuola è stata frequentata da studiosi provenienti da diversi settori scientifici, in buona parte dottorandi o giovani docenti. Le lezioni e gli interventi hanno avuto per tema cosa intendere per “ragione allargata”, proponendo un modello di razionalità necessariamente relazionale, sempre pronta a mettere in discussione il proprio sapere e a coglierne le relazioni con gli in altri.
La tensione fra specializzazione e profondità, è stata declinata secondo tre prospettive: metafisica, etica e culturale. Alberto Peratoner, docente di Antropologia filosofica, Metafisica e Teologia filosofica presso la Facoltà Teologica del Triveneto, ha proposto un modello di persona umana articolato nei termini di ragione, sapienza e cultura. La cultura personale, quella cioè che definisce l’uomo colto, non deve essere confusa solamente con il sapere tante cose; piuttosto, l’organicità del sapere deve procedere da una unità o, meglio, da una coerenza di affetti, pensiero e attività, tale per cui qualsiasi cosa debba essere qualificante per me. L’unificazione del senso e la circolarità interdisciplinare verrebbero così a qualificare un’antropologia in costante dialogo con il reale e non più chiusa in se stessa. Peratoner ha proposto il superamento di una ragione meramente discorsiva e calcolante, chiedendole di restare costantemente impegnata in un recupero della razionalità dell’universo affettivo e, per così dire, qualitativo; disponibile, cioè, a restare nella costitutiva e fruttuosa tensione verso l’unificazione dell’esperienza, superando la frammentazione del sapere che, in ultima istanza, si configura come frammentazione dell’umano e incapacità di render conto del reale nella sua interezza. E così l’unità dei saperi risulta essere non semplicemente la somma dei frammenti di esperienza, ma qualcosa di più, qualcosa che eccede le parti. “Intelligenza”, infatti, significa leggere dentro la realtà, oltre il piano meramente sensibile e quantitativo.
Nelle lezioni di Prati di Tivo, Peratoner ha sostenuto che la meraviglia, esperienza primaria dell’uomo che si apre alla natura e che Aristotele pone all’inizio della filosofia, è irriducibile al quantitativo, perché immediatamente sapienziale. Se l’esperienza non fosse sapienziale sarebbe a-umana (quantunque non dis-umana). La persona (per-sonans) fa “risuonare” il reale dentro di sé, risponde al reale perché interpellata, è responsabile fin dal primo sguardo meravigliato sul creato. E nel creato – e qui giungiamo all’elemento teologico come fondante la prospettiva di una ragione non spezzata, ma integra – emerge il Mistero, da cogliersi inizialmente nel silenzio, una vibrazione che attraversa tutto e che conferisce unità e senso alle cose e alla nostra esperienza delle cose. Vedere Dio nel mondo, considerare gli enti come un ritaglio del pensiero di Dio posto in essere, significa non disperdere la coscienza, aderire fedelmente alla realtà nelle due direzioni della verticalità (l’asse cristico e trascendente) e dell’orizzontalità (l’asse storico e immanente).
In continuità con il discorso di Peratoner si sono collocate le lezioni di Giampaolo Ghilardi, docente di Bioetica e ricercatore di Filosofia morale presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma. La complessità del reale, ha affermato, cresce con l’affinarsi delle singole discipline secondo un circolo vizioso per il quale più la scienza più si specializza e più perde di vista l’intero. Nel caso specifico, le successive rivoluzioni industriali (macchina a vapore, elettricità, elettronica, digitale e robotica) rappresentano altrettante svolte nella storia umana tale per cui ogni volta è richiesto un adeguamento antropologico non indifferente – non nel senso di un'abdicazione dell’umano davanti alle nuove tecniche, ma di una elaborazione di una scala valoriale adeguata all’intelligenza del nuovo assetto produttivo e sociale. La digitalizzazione quale presupposto della cosiddetta quarta rivoluzione industriale apre nuovi orizzonti (cloud computing, intelligenza artificiale, Internet of things…) che devono essere correttamente guidati e indirizzati.
Facendo riferimento alla medicina, ma allargando virtualmente il discorso a tutta la scienza e alla tecnica, Ghilardi ha messo in luce la necessità di distinguere il “soggettivo” dal “personale”: la conoscenza, se è, è personale, e ciò non ne pregiudica di certo l’oggettività. In altri termini, una conoscenza freddamente oggettiva, che rispecchia l’ideale positivista dell'imparzialità obiettiva, non esiste né mai potrà esistere perché a conoscere è sempre una persona. Nella misura in cui una persona conosce, l’oggetto conosciuto passa inevitabilmente attraverso la sua sensibilità, il suo interesse, le sue capacità. L’ideale weberiano per il quale lo studio riesce tanto meglio quanto più il conoscente è distaccato dal conosciuto è fallace, perché non è reale. Il contesto delle discipline mediche, approfondito da Ghilardi, è specialmente significativo: oltre alla competenza e alla autorevolezza, un medico necessita anche e soprattutto della aristotelica éunoia, traducibile come “benevolenza verso l’ascoltatore”, ovvero al medico tocca di voler bene al paziente, di piegarsi su di esso, di mostrarsi interessato alla persona nella sua interezza. Al contrario, un medico freddamente impassibile (nel senso weberiano del distacco) non sarebbe degno di fede, tant’è che oggi la persuasività del medico verso il paziente è drammaticamente in declino.
Ispirandosi alle riflessioni di John Henry Newman raccolte nella sua An Idea of University (1852) e a quelle di due contemporanei, Allan Bloom e Martha Nussbaum, Antonio Petagine, professore di Storia della filosofia medievale alla Pontificia Università della Santa Croce, ha tracciato un quadro realistico della condizione in cui versa l’istruzione in Occidente. Le materie umanistiche, notoriamente saperi utilitaristicamente meno spendibili, sono sempre più trascurate a favore di discipline immediatamente produttive. Ma “inutile” non deve essere confuso con “vano”: le materie umanistiche (storia, filosofia, letteratura…) non mirano direttamente all’utile, e pertanto sono, a rigore, inutili; insieme, però, non sono per nulla vane. La statunitense Martha Nussbaum, richiamata da Petagine, ha più volte posto l’attenzione sul pericolo di una educazione mutilata. Senza le materie umanistiche, sostiene la Nussbaum, la democrazia è in pericolo perché diminuisce il numero di cittadini a fronte di una massiccia presenza di tecnici. Ma è il filosofo Allan Bloom ad aver elaborato una severa critica al sistema educativo statunitense nel libro La chiusura della mente americana (1987), un testo profetico le cui conclusioni possono applicarsi anche all’Europa odierna. Petagine è stato attento nell’esporre le conclusioni di Bloom: il relativismo culturale, il declino della lettura, la politicizzazione della cultura, l’attitudine nichilista, la degenerazione delle relazioni in semplici rapporti, la sostituzione del bene con il benessere e con il piacere, il conformismo esasperato, la critica all’autorità e il ripiegamento sull’opinione pubblica… Tutto questo ed altro ancora rende impossibile un discorso strutturato e sincero con il reale e fra le persone. In più, la crisi dei saperi fa sentire il suo peso sull’accademia in generale: le scienze naturali sono forti ma spesso chiuse in se stesse, le scienze sociali sono disconnesse l’una dall’altra, le discipline umanistiche sono in grave crisi d’identità.
Marco Vanzini, docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università della Santa Croce, ha esposto con chiarezza l’itinerario del rapporto fra fede e ragione nella modernità, concentrandosi sul magistero di Benedetto XVI. Indicando l’Assoluto e il Fondamento, la teologia può aiutare le altre discipline ad “allargare” i confini della propria razionalità; ma, di converso, la teologia stessa sente il bisogno, nel proprio lavoro, delle altre discipline (filosofia, storia, scienze naturali…) allo scopo di allargare anch’essa la sua razionalità, adoperandosi di andare più a fondo nel Mistero. Alla teologia interessa tutto il creato, nulla escluso.
La Summer School includeva anche un breve laboratorio di neuroscienze tenuto da Mirko Di Bernardo (con un intervento dal titolo “La sfida dell’Epigenetica: come il linguaggio cambia il DNA”) e da Ivan Colagè (che ha parlato di “Come funziona l’apprendimento neurale? Ultime novità”). Il dialogo costante tra le discipline non è stato dunque solamente auspicato ma realmente attuato, seppur nel breve tempo a disposizione.
Ma i partecipanti alla Summer School hanno portato con sé anche il ricordo di inaspettate serate sotto le stelle. Non è forse il cielo, l’osservazione del cosmo, il luogo più naturale ove ha preso corpo nei secoli il dialogo fra le discipline finalizzate all’unità del sapere? Attrezzati con veri e propri telescopi, Marco Vanzini e Giuseppe Tanzella-Nitti, direttore della SISRI, hanno invitato i partecipanti a godere delle bellezze dell’universo, raggiungendo con lo sguardo gli anelli di Saturno, i crateri della Luna, i satelliti di Giove, gli ammassi globulari e le stelle più lontane. «Che bello!» diceva qualcuno. «È l’opera del più grande degli artisti», ribatteva prontamente qualche altro, quasi ripercorrendo l’intero itinerario della Scuola, che intendeva spingere l’unità del sapere verso la ricerca del fondamento ultimo, che è ricerca di Dio. Tutti gli ambiti scientifici dialogano nella ricerca della Verità, e anche le distanze cosmiche e il freddo spazio siderale, erroneamente considerate prova dell’insignificanza dell’essere umano, aprono in realtà l’accesso al Mistero, in qualche modo lo percepiscono.
A partire dall’Accademia platonica, la condivisione intellettuale ha sempre avuto bisogno di spazi idonei, di tempi adeguati. Vedersi ogni mattina a colazione e ritrovarsi a discutere su Aristotele e Cartesio, su Darwin e Galileo, è stato un esempio di come questa condivisione possa realizzarsi anche ai nostri giorni. Una condivisione di grande importanza anche per gli stessi fini scientifici, come ha mostrato la libera discussione fra partecipanti e docenti. Le circostanze potevano essere diverse, ma comune il desiderio di scambio di esperienza e, perché no?, anche di un certo entusiasmo: il commento dopo la visione di un film serio di fantascienza, una passeggiata verso il Corno Piccolo, la lettura di libri che insegnano davvero qualcosa. La giornata dedicata all’escursione sul Gran Sasso, in particolare, ha fatto sì che tutti stringessero un contatto diretto con la natura, al punto che una simile esperienza è diventata materiale per le discussioni intorno all’organicità del sapere e allo sguardo sapienziale che riesce a cogliere l’ordine trascendente nella bellezza del creato.
Un’esperienza intellettuale e formativa altamente positiva, per i partecipanti e per gli stessi docenti; questi ultimi hanno manifestato la loro intenzione a contribuire agli sviluppi della missione della SISRI raccogliendo i loro interventi alla Summer School in un volume. Il progetto di una ragione allargata è una sfida importante. Ne siamo adesso un po’ più consapevoli.