Il rapporto tra Scienza e Fede appare nel contesto della cultura moderna e postmoderna come gravemente condizionato da una impossibilità di relazione (tutta apparente): la fede si muove in un contesto che non può assurgere alla chiarezza e alla distinzione della scienza, ai suoi principi fondamentali, alle sue metodologie, e per questo è vista quasi come una povera superstizione; essa percorre la strada, tutto sommato “mitologica”, che non ha nessuna possibilità di essere ricondotta (anche in termini di confronto) all’altezza del pensiero scientifico. Tale impostazione ideologica – purtroppo – non è la descrizione di un involuto approccio lontano nel tempo come quello dei tempi bui dei “lumi”, quanto piuttosto caratteristica, troppo diffusa, della nostra illuminata contemporaneità.
Questa ir-relazione, o contrapposizione, penalizza non solo la fede, ma anche la scienza. Ha penalizzato la fede cristiana perché le ha impedito di misurarsi con i problemi reali della vita degli uomini ed è indubbio che abbia penalizzato la scienza favorendone il degrado quando in ideologia, quando in strumento di politica, e spesso, in entrambi i casi, proprio in aperto contrasto con la Chiesa cattolica.
L’individuazione di una via di riappacificazione concreta e reale, la dobbiamo al saggio e limpido contributo di s. Giovanni Paolo II – oggi quasi dimenticato nonostante la prossimità cronologica del suo pontificato – che ha riproposto la problematica in termini nuovi e realistici, specialmente con la pubblicazione della Fides et Ratio, della quale ricorrono in questi giorni 20 anni dalla pubblicazione, avvenuta il 14 settembre 1998. L’enciclica è destinata, in modo particolare, a tutti i vescovi della Chiesa cattolica. L’individuazione di questo privilegiato destinatario, tra gli altri, già ci parla degli obiettivi dello scritto. Questa specifica destinazione, sembra voler esprimere la necessità che il contenuto di questo documento magisteriale, divenisse la linea guida di una nuova educazione della gerarchia perché il popolo di Dio potesse riappropriarsi di un corretto rapporto tra vera Fede e vera Ragione, non più ritenendo la questione della ragione un appannaggio esclusivo della Scienza.
L’enciclica ci presenta una scienza chiamata ad andare fino in fondo alla sua vocazione, utilizzando con ampiezza e rigore tutte quelle metodologie che non rinnegano la spinta etica, il rispetto per la vita umana in ogni suo momento, la libertà degli individui. Anzi la stessa fede spinge la scienza, così inquadrata, ad andare fino in fondo a perseguire ciò che le è proprio e specifico: la ricerca della conoscenza del significato particolare dalla realtà – particolare come ambito, particolare come contenuto, particolare come problematiche. Una ragione libera, anche religiosa, chiede alla scienza le risposte che, nella via umana e ordinaria, solo la scienza può dare. Essa si rivolge alla scienza perché sia lei a rispondere alla domanda sul “come”.
D’altro canto però, la ragione libera non può accettare che sia la scienza a curarsi del problema del “senso”. Il senso rappresenta un tipo di obiettivo e indica una metodologia di competenza specifica che esula dalle competenze della scienza pur accettandone, in alcuni ambiti ben definiti, il contributo come strumento a suffragio di una ragionevolezza. La scienza va alla ricerca di significati particolari, li individua, li registra, li riordina. Consente che questo tipo di conoscenza e questi suoi metodi possano interferire positivamente e (nella migliore delle ipotesi) si avvicina al problema del senso ultimo delle cose, ma non può pretendere di inserire il senso ultimo della vita e della realtà come un ulteriore aspetto della ricerca scientifica. Rinnegherebbe ad esempio la struttura antropologica dell’uomo contraddicendone la sperimentata e provatissima condizione di creatura libera: se la scienza fosse la via della scoperta del senso ultimo della vita, allora scopriremmo che l’uomo non sarebbe pienamente libero di poterlo accogliere o rinnegare, accettare o combattere.
D’altro canto però, è proprio indagando su cosa significhi per la scienza la conoscenza di contenuti e significati particolari che l’intelligenza del cuore umano recupera la sua naturale tensione a porsi e a tentare di risolvere il problema della vita e del suo senso. S. Giovanni Paolo II capì che la scienza era un linguaggio e costituiva una serie di interessi strutturali per la vita dell’uomo postmoderno, espressione di un umanesimo laico e non necessariamente laicista. Ha aiutato i cattolici a guardare nuovamente alla scienza senza quelle diffidenze dovute talvolta ad alcune ferite della storia. Non possiamo dimenticare, infatti, che fra i più grandi scienziati della storia vi sono assai spesso stati degli ecclesiastici e comunque dei credenti, non perché storicamente i più colti, ma soprattutto perché l’amore della verità è nel cuore dell’uomo cristiano un motore potentissimo. D’altra parte però, provocando l’uomo a riprendere coscienza della necessità di dover fare i conti con la fede, s. Giovanni Paolo II, ha saputo riaprire la sfida a vivere in modo positivo questo dialogo come un incontro/confronto, piuttosto che come uno scontro tra realtà ritenute inconciliabili.
Fides et ratio ha consegnato al pensiero cattolico e al pensiero umano in genere un’intuizione folgorante: la fede si arricchisce se si apre alla considerazione dei problemi scientifici e tenta di recepirne tutte le stimolazioni, sia dal punto di vista dei contenuti, sia dal punto di vista del metodo e degli obiettivi. Che la scienza vada fino in fondo alla sua vocazione non esclude la fede dalla realtà, non la chiude in un abito di impenetrabile alterità, ma lancia la scienza nell’ambito della cultura come un fattore che deve assumersi la responsabilità di dialogare con tutte le altre forme di conoscenza, con tutti gli altri obiettivi, con tutte le altre metodologie. Ecco allora che si formula in modo nuovo questo dialogo: è possibile iniziare un dialogo – o meglio riprendere un dialogo – in cui la fede, confrontandosi con la ricerca scientifica, deve porsi il problema di come formulare i suoi contenuti, di come comunicarsi (o meglio) di come incrementare la coscienza della fede (vera teologia) in un mondo così complesso come quello contemporaneo.
Questo dialogo, però, non può essere fatto senza la consapevolezza della distinzione dei fattori: non c’è confusione fra scienza e fede, ma non ci deve essere neanche omologazione. La fede e la scienza percorrono due strade autonome, fiere della loro identità, ed è in questo cammino che esse si confrontano e si provocano positivamente. Io credo che si possa dire così: oggi la Chiesa cattolica – ma anche il mondo culturale più serio e libero – nel capire che la scienza non può essere ignorata, deve anche riconoscere che questa non può essere considerata in modo scientista, come l’ambito unico ed esclusivo di una conoscenza pienamente razionale.
Il dialogo tra scienza e fede non solo è pienamente razionale e umano, ma è anche pienamente fruttuoso per entrambe le parti che, nella relazione reciproca, si arricchiscono senza confondersi nella ricerca della Verità, all’interno dei loro ambiti. Secondo me gli scienziati che sono davvero tali – che non si chiudono cioè in una posizione pregiudiziale – desiderano questo confronto con la fede, quindi con la teologia; e così la fede e la teologia non possono non desiderare il confronto con la scienza, per rendere sempre più ragionevole e coerente la trasmissione della Verità della parola di Dio. La scienza infatti, offre alla fede, e quindi alla Chiesa, campi e metodi di conoscenza, obiettivi e risultati importantissimi, nella misura in cui non vengono assolutizzati. Contestualmente la fede viene aiutata dalla scienza sia ad aprirsi ad una più profonda conoscenza della realtà, sia a ricevere quelle conoscenze strumentali che le consentono un esercizio sempre più libero e maturo.
Il nesso tra fede e scienza è nel cuore della verità della ragione dell’uomo che, quando libera dall’ideologia, si rende capax fidei, scoprendo che l’umana ragionevolezza è sigillata dalla mano di un unico Creatore, autore sia della legge naturale che di quella rivelata.