Un profilo spirituale di Niels Steensen

Tommaso Bernard Vinaty

 

Non possiamo dare per scontato che chiunque abbia un profilo spirituale particolare, e nemmeno che si possa per tutti parlare di «profilo spirituale». Alcuni presentano un profilo mondano o sociale ben determinato, altri hanno un caratteristico profilo intellettuale. Si potrà, invece, parlare di profilo spirituale a proposito di qualcuno che abbia avuto propriamente una vita spirituale. E, in una cultura cristiana, per vita spirituale si intende non tanto una vita interiore, cioè raccolta e non dispersa in varie e molteplici attività, bensì una vita veramente religiosa, ossia guidata dallo Spirito Santo di Dio.

Niels Stensen ricevette fin dagli anni della prima infanzia una solida formazione umanistica greco-latina. Ora, uno dei temi maggiormente valorizzati dall'Umanesimo era la delimitazione dei legami che intercorrono fra destino e fortuna nel tessere la vita di ognuno. Il destino, che riassume tutte le necessità di un'esistenza umana, in particolare quelle di nascere, di crescere, di invecchiare e di morire, forma la trama del tessuto; mentre la fortuna, costituita dagli incontri casuali che segnano il corso di una vita individuale, forma l'ordito. Entrambi i fili del destino e della fortuna si intrecciano in innumerevoli nodi, secondo un reticolo che presenta i disegni più vari.

Niels Stensen aveva ricevuto una formazione spirituale in seno alla comunità danese di confessione luterana. Per lui, l'analogia della vita con il tessere una stoffa conveniva soltanto entro certi limiti e probabilmente non gli sarebbe nemmeno tanto piaciuti. Poi, difatti, a vita conclusa, le vicende dei 49 anni trascorsi da Niels Stensen (1638-1686) appaiono di un'eccezionale linearità, sebbene lascino anche l'impressione di un'apparente incompiutezza, sicché vediamo delinearsi una sorta dì itinerario assai preciso nel corso della sua biografia . Lo stesso Stensen si era progressivamente convinto che la sua vita era stata condotta, più che da scelte e decisioni proprie, da un disegno della Provvidenza di Dio; aveva quindi intuito con molta chiarezza e consapevolezza che, per vie previste e preparate, Dio lo voleva predisporre e condurre, lui Niels Stensen, ed altri per mezzo di lui, alla santità evangelica.

Il credente, discendente biblico di Abramo, concepisce la propria vita come un dialogo e, talora, persino come una lotta fra il suo spirito e lo Spirito di Dio. Comunque, non v'è dubbio che per Stensen la Provvidenza, cioè il nome proprio di Dio che si prende cura dell'uomo, e la vocazione alla santitàsiano due pensieri primari e rincorrenti, e diciamo, i due motivi conduttori della spiritualità stenoniana.

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L’Itinerario di un «pellegrino del mondo»

In che modo una vita di viaggi e di studio si è trasformata in un itinerario spirituale?

Una delle prime letture di Niels Stensen di cui abbiamo conservato traccia fu un libro edificante scritto da un predicatore gesuita bavarese, Geremia Drexler, Josephus Aegypti Prorex descriputs et morali doctrina illustratus. Potrebbe sorprendere la circostanza che un giovane luterano abbia trovato gusto ed interesse nella lettura di un'opera narrativa nello stile allegorico prediletto dell’epoca barocca e, per di più, redatta da un cattolico papista. Il fatto è che la letteratura moralista e spirituale circolava nell'Europa del Nord più liberamente che non le idee confessionali e politiche. Quale nutrimento ne ha ricavato Niels Stensen? La vita di Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe, è costituita dalle avventure e disavventure di un «trapiantato» eccezionalmemte dotato che, dopo esser stato rigettato, sopporta le prove dello sradicamento e dell'esilio, perseverando fino alla ricompensa e al riconoscimento della sua grandezza morale. Il suo trionfo consiste nell’estrema liberalità della sua beneficenza verso color che l’avevano perseguitato per invidia. Forse sarebbe esagerato dire che la storia di Giuseppe (Genesi, capitoli 37-50) ha svolto nella vita di Niels Stensen il medesimo ruolo paradigmatico che la storia di Edipo assume nella nostra odierna cultura psicoanalitica. Nondimeno, curiosamente Niels adolescente vi ha letto come il presagio del suo destino.

A vent'anni, in un quaderno di appunti che portò sé e che è stato rinvenuto nelle sue carte depositate alla Biblioteca Nazionale di Firenze (intitolato «Chaos» per via della prima parola che vi è scritta; «Quaderno caotico», è un'espressione - indovinata per designare uno zibaldone) egli scrive queste sorprendenti riflessioni: «Ricordati di essere dovunque un pellegrino. La partenza è necessaria a tutti i pellegrini. Siamo di casa dappertutto, e in nessuna pane lo siamo, finché siamo fuori del regno dei cieli... La vita dei giusti è travagliata, la loro morte preziosa».

Forse furono buttate giù appena dopo la partenza da Copenhagen, e può anche darsi che si tratti di citazioni, più o meno implicite; ma è già di per sé sintomatico che, appena uscito dall'adolescenza, Niels Stensen le abbia fatte sue.

Quali motivi potevano spingerlo a riconoscere nel destino di Giuseppe un'anticipazione del proprio destino? Presto Niels Stensen conobbe i tre flagelli dei tempi biblici: le carestie, la peste e le guerre. Vide la peste decimare la popolazione della capitale danese 3 e lambire l'uscio di casa sua. Di salute assai cagionevole, attraversò, però, tutte le insidie delle malattie. Fu afflitto tuttavia da ripetuti lutti familiari.

Sua madre si sposò quattro volte, sempre con degli orafi della capitale. Ella stessa apparteneva ad una famiglia di gioiellieri. Niccolò nacque dalle seconde nozze, come poi la sorella Anna, che risiederà sempre a Copenhagen e alla quale resterà legato da affetto profondo fino agli ultimi giorni. Non parlò mai della madre, cosa che fece ritenere ad alcuni che fosse stato un bambino trascurato. Sembra invece che la madre fosse una donna volitiva e fattiva, che curò gli interessi della famiglia con eccezionale tenacia.

La gioventù di Niccolò coincide con le ultime fasi della Guerra dei Trent'Anni (1618-1648). Basta ricordare che la popolazione della Germania diminuì da 16 milioni a 6 milioni per convincersi che questa famigerata guerra fu probabilmente il conflitto più cruento e calamitoso di tutte le guerre europee, prima delle due Guerre Mondiali del nostro secolo. Le miserie e le conseguenze della Guerra dei Trent'Annicondizionarono profondamente, come vedremo, lo svolgimento delle attività di Niels Stensen durante l'ultimo decennio della vita.

L'assedio delle truppe svedesi davanti a Copenhagen pose fine ai suoi tre primi anni di studi universitari. Arruolato in un reggimento di studenti, resistette agli invasori. Nella notte dal 10 all’11 febbraio 1659 assistette sulle mura della capitale all'ultimo assalto vittorioso degli Svedesi. Fece appena in tempo a fuggire verso l'Olanda.

Gli anni olandesi ad Amsterdam, poi a Leida, furono decisivi nella sua evoluzione intellettuale e spirituale. Lì assaporò l’entusiasmo delle sue prime scoperte anatomiche, anche se non gli furono risparmiate amarezze dovute a gelosie accademiche e a «baronie» di cattedratici. Lì, anzitutto, incontrò una cultura fiorente e di respiro europeo, in una società effervescente. Nell'Olanda del Seiecento, tutte le confessioni cristiane si contendevano il campo, con la prevalenza ufficiale dei riformatori calvinisti. Descartes, morto in Svezia dieci anni prima dell'arrivo di Stensen in Olanda ,- aveva lasciato numerosi discepoli in varie cerchie e persino Università olandesi; Spinoza aveva appena lasciato il suo rifugio di Rijinsburg, presso Leida, per sistemarsi presso Voorburg, vicino all’Aia, ed entrare a far parte del mondo culturale.

Per un giovane luterano, pio e convinto, la frequentazione di comunità calviniste suscitava la stessa diffidenza e avversione che quellea delle chiese cattoliche. Gli evangelici luterani contavano fra i loro avversari non soltanto i cattolici, idolatri e papisti, ma anche i riformatori e calvinisti, ai quali rimproverano di aver abbandonato ogni pratica sacramentale e di aver rinunciato ad ogni teologia sacramenterai. A partire da quegli anni, grazie ad accenni nella sua corrispondenza, vediamo Niccolò preoccupato di osservare e di riflettere in materia di culto eucaristico.

Nel 1663, ad esempio - all’età di 25 anni-, annota le sue impressioni dopo aver assistito con i suoi compagni di viaggio nel Belgio, alla processione eucaristica del Corpus Dominia Lovanio.

Si trovò tuttavia coinvolto in maniera più radicale nella scoperta del razionalismo cartesiano. Una domanda l'accompagnò tutta la vita ed ebbe una notevole rilevanza nella sua vita personale, sia di ricercatore, sia di cristiano impegnato nella vita spirituale. Questa domanda sorgeva assai naturalmente in lui, già virtuoso della dissezione, provetto nelle preparazioni anatomiche, discepolo di un maestro in anatomia e metodologia, Sylvius de La Boé, e quindi assertore del metodo sperimentale. Ora la frequentazione dei discepoli di Descartes lo costringeva a confrontarsi con il problema: «Da dove proviene la certezza razionale? Conviene definirla in termini di sperimentazione, o piuttosto di analisi concettuale secondo l'ordine delle ragioni?». Niels Stensen ci pensò molto, forse esitò pure sulla risposta da dare; comunque, presto provò molte perplessità di fronte al sogno cartesiano di ricondurre tutte le certezze alla sola evidenza intellettuale. In conclusione del «Quaderno caotico» leggiamo questo appunto impietoso, come impietosi sanno essere i più giovani quando sono intelligenti: «Colpito di febbre in Svezia, Cartesio volle curarsi secondo le regole della sua filosofia, e quindi si spense a forza di troppo bere acqua» [Appunto del Quaderno Caotico].

È come dire: Descartes è morto di eccesso di cartesianismo! Come spiegare poi che Mgr. Cioni, canonico fiorentino e biografo di Stensen, abbia potuto affermare che la sua gravità, seppure affabile, non gli consentiva l'umorismo? Non è, d'altronde, la sola battuta spiritosa rintracci abile nei suoi scritti.

La teoria cartesiana della certezza razionale aveva precise implicazioni filosofiche e teologiche. La famosa regola dell'evidenza: «Ora­ mai riterrò per certo soltanto ciò che mi apparirà evidente (intendete: intellettualmente evidente)» stava, per Descartes, al servizio di una rivendicazione in favore dell'assoluta autonomia della ragione. "Ricerca della verità per mezzo del lume naturale, che, senza nulla mutuare dall'aiuto né della religione né della filosofia, determina le opinioni che conviene all'uomo onesto professare»: tale era il titolo di uno scritto ritrovato nelle carte del filosofo, alla sua morte, e che riassume assai fedelmente l'essenza del suo pensiero. Certo, Descartes era stato un credente sincero che teneva sempre con sé un estratto del suo atto di battesimo; aveva, nondimeno, ridimensionato la fede ad una semplice adesione confessionale, sancita dalla tradizione sociale e familiare. In ciò, Descartes non si discostava poi tanto dai suoi contemporanei che con il Trattato di Vestfalia conclusero una pace religiosa (1648) sulla base dell'assunto: «Cuius regio, eius religio».

Le convinzioni luterane di Niels Stensen erano messe a dura prova dalla filosofia cartesiana. Ma, da una parte, Stensen non tardò ad accorgersi che la filosofia cartesiana reggeva male un serio confronto con l'esperienza nelle cose fisiche e morali; d'altra parte, l'esperienza della vita spirituale, della preghiera in particolare, lo faceva insorgere contro l'idea che la fede potesse ridursi ad un assenso negoziabile in vista di raggiungere un accordo che garantisse la pace civile e pubblica. Tutta la formazione luterana di Niels Stensen gli faceva strenuamente sostenere che la fede in Gesù Cristo è essenzialmente teologica e non politica: essa consiste in un rapporto personale della coscienza con Dio. Egli, abitualmente così affabile, non nasconderà mai la sua avversione nei confronti di coloro che chiamava i «cristiani politici».

Dopo aver traversato un periodo, avvertibile ma non agevolmente delimitabile, di crisi religiosa e spirituale, cominciava il lento percorso, direi quasi l'interminabile cammino che doveva avvicinarlo alla fede cattolica. Dobbiamo, in ossequio all'equità storica, rilevare che mai come nella seconda metà del Seicento si contano le conversioni di tutti i generi. Proprio a Leida, in Olanda, aveva preso inizio il viaggio del Pellegrino Cherubico,Iohannes Scheffler (1624-1677): anch'egli si distaccò dal luteranesimo per raggiungere il cattolicesimo. Non fu un caso unico, ma non mancarono nemmeno gesuiti e francescani che passarono in quegli anni al luteranesimo o al calvinismo. Sempre a Leida, dal 1660 al 1664, Niels Stensen, Jan Swam­merdam e Regnier de Graaf frequentarono insieme le lezioni di Francesco Sylvius de la Bee e di Johannes van Home; orbene, dieci anni più tardi, i tre compagni di studio si ritrovavano geograficamente e spiritualmente dispersi: mentre Niels Stensen si convertiva al cattolicesimo a Firenze nel 1667, ad Amsterdam Jan Swammerdam, in preda all'irrequietezza, si smarriva su una via travagliata che lo portava a seguire Antoinette Bourignon, la mistica esaltata; Regnier de Graaf, a Delft, vedrà la sua carriera universitaria intralciata e la successione alla cattedra di van Home gli sarà rifiutata in ragione delle sue convinzioni cattoliche.

Il soggiorno parigino e francese di Niels Stensen (1664-1665) vien soprattutto ricordato per il rivoluzionario Discours sur l'Anatomie du Cerveau, tenuto a casa di Melchisédech Thévenot. Sono da menzionare, inoltre, le visite a persone di intensa vita spirituale, quali la Contessa Edvige Maria Elisabetta Rantzau, superiora del convento dell’«Annonciade», della nipote del suo ospite e mecenate, Marie Perriquet e del Gesuita Jean de La Barre. Oramai il corso degli anni sarà costellato da incontri con Gesuiti, impegnati nella direzione spirituale.

Invitato dal Granduca Ferdinando II, Niels Stensen approdò nel marzo 1666 in Toscana, che divenne la sua terra d'adozione come l'Egitto lo era stato per Giuseppe. Oramai Niels Stensen diventa il Sig. Niccolò Stenone. Vi arrivava preceduto dalla fama di scienziato affermato; circondato da stima e da riguardi, non scevri da gelosie, faceva parte della Corte Medicea, come altri Accademici del Cimento. In meno di un anno, la sua conversione alla Chiesa cattolica, a lungo maturata, si concluse e fu registrata il 2 novembre 1667 a Firenze. Non narrerò qui le circostanze di questo passo importante ma tenterò piuttosto di rispondere all’obiezione sollevata da alcuni storici, che dicono: Se c'è del miracoloso nella conversione dello Stenone, sta nel fatto che si sia convertito a Firenze, nella Corte granducale!».

Indubbiamente, Palazzo Pitti, la Corte e la città erano in parte divisi fra bigottismo e corruzione, ma la Firenze del tempo custodiva anche gelosamente come un tesoro la tradizione spirituale e mistica dei suoi conventi e delle sue confraternite . Niccolò volse sulla vita di corte uno sguardo realista, ma più discreto che curioso. Annota semplicemente: «La vita di corte, Rev.mo Padre, è pericolosa, ma per un religioso è pericolosissima. Non è quindi senza motivo il pensiero di uno, morto in fama di santità, che diceva: ogniqualvolta un religioso è stato alla corte, ci vogliono otto giorni di ritiro per restituire a Dio l'anima nello stato in cui era prima» [9]. Sarà stato probabilmente addentro ai segreti di molte passioni sregolate e di situazioni inestricabili; e quando sarà scelto per essere precettore di un figlio di Cosimo III, avrà quasi certamente raccolto le confidenze del fallimento matrimoniale del Granduca. Come avrebbe potuto non essere al corrente delle stranezze e delle escandescenze della coppia disastrata formata da Cosimo III de' Medici e da Margherita Luisa d'Orléans, nipote di Luigi XIV di Francia, se tutti a Firenze e dintorni ne mormoravano?

Per contrasto, la morigeratezza di Niccolò aveva colpito tutti a corte. «Credetemi, caro Sig. Valerio, il Sig. Niccolò è veramente un angiolo di costumi, oltre lo essere quel gran filosofo, e quel gran anatomista, e gran matematico che egli si è» Niccolò ebbe il privilegio dei casti, quello di una straordinaria limpidezza e scioltezza in amicizia e, in genere, nei suoi sentimenti. Aveva, forse per tradizione familiare, il tratto particolarmente affabile, e la sua conversazione era ricercata e apprezzata. La sua vita sentimentale resta, però, completamente avvolta da riserbo, anche se sappiamo da una confidenza giovanile che non aveva affatto escluso la prospettiva di sposarsi".

Ciò detto a commento della vita cortigiana durante i suoi anni fiorentini, non possiamo che ribadire quanto egli stesso ha testimoniato ripetutamente: a Firenze scoprì l'amicizia spirituale, che è il vero frutto di una carità cristiana vissuta con coerenza. Annovera questa scoperta come il terzo e più decisivo motivo della sua conversione al cattolicesimo. Come abbiamo visto, il primo motivo era stato la pratica cattolica del culto eucaristico che aveva osservato e sulla quale aveva riflettuto - e lo spettacolo della festa del Corpus Domini, il 24 giugno 1666, a Livorno, ravviva e rilancia il corso dei suoi pensieri; il secondo, spiega egli stesso, fu l'allontanamento dal razionalismo cartesiano, dai suoi presupposti e dalle sue implicazioni.

Due figure femminili rimarranno impresse nei ricordi della sua conversione: Suor Maria Flavia del Nero, monaca del monastero detto di Annalena, e la Sig.ra Ambasciatrice Lavinia Felice Cenami Arnolfini, moglie dell'Ambasciatore della Repubblica di Lucca presso il Granduca di Toscana. La prima, con la freschezza e la disinvoltura ingenua ché si trovano soltanto nei conventi di clausura, si intrattenne quasi casualmente in parlatorio con Niccolò che veniva a comprare unguenti e preparati della drogheria del monastero. Suor Maria Flavia invitò questo luterano danese sulla trentina a recitare Angelus con lei, senza troppo preoccuparsi dell’imbarazzo nel quale le parole cattoliche aggiunte al saluto dell'Angelo potevano mettere l'ospite. Un'altra volta, senza mezzi termini, gli disse che la sua eresia le dava grande fastidio e che, se non si fosse ravveduto in tempo, sarebbe finito nell'inferno. Niccolò non s'alterò mai, osserva Suor Maria Flavia. Ma quando ella gli rappresentò che Lutero era stato cattivo e ribelle, la riprese. Quante ne ha combinate questa monaca affettuosa e testarda! Tra il divertito e l'imbarazzato, Niccolò Stenone ascoltava le sue rimostranze, commosso soprattutto dal suo interessamento e dalla sua preghiera.

Della seconda, Lavinizia Arnolfini, Niccolò Stenone, parlerà sempre in seguito come della sua «madre spirituale». Entriamo nel segreto di una rara intimità spirituale che, vista in termini mondani, poteva imbarazzare e apparire equivoca.

Quando ricevette lo Stenone a casa sua, era madre di quattro figli ed aveva 35 anni, mentre il marito ne aveva 62, e il suo ospite non aveva ancora raggiunto la trentina. Le loro conversazioni non erano probabilmente appartate; gli echi che ci sono pervenuti risuonano ancora di una misteriosa intensità spirituale. Quando Niccolò sentì all'improvviso Lavinia dichiarargli «darei la mia vita per vedervi convertito alla fede cattolica», fu sconvolto. Strane parole, ben lontane dalla retorica pia o dal sentimentalismo. Poco tempo dopo, la stessa Lavinia gli sbatterà quasi la porta in faccia, rimproverandogli la sua irrisolutezza. Mezz'ora dopo, Niccolò le mandava a dire che aveva firmato l'atto della sua conversione davanti al P. Emilio Savignani, il gesuita confessore di Lavinia.

Contrariamente ad un'opinione assai diffusa, Niccolò Stenone non abbandonò le sue indagini scientifiche dopo la conversione. È vero che le sue principali idee in anatomia umana e in anatomia comparata relativamente alle secrezioni delle ghiandole esterne, alla circolazione linfatica, alla natura e alla funzione dell'ovaia nella riproduzione vivipara, all'anatomia cerebrale, come anche alla contrazione muscolare, erano già fissate quando arrivò alla Corte Medicea. Ma durante il periodo fiorentino nacquero e si . svilupparono gli interessi geologici di Niccolò Stenone. La richiesta del Granduca di eseguire la dissezione della testa di una grossa !arnia pescata da una tartana francese allargo di Livorno, tra la Gorgona e la Meloria, gli pervenne nei mesi precedenti la conversione, e fu il caso fortunato che gli diede l'occasione di esporre la sua interpretazione della natura dei fossili, in quanto vestigia organiche. Identificò in certi subfossili rintracciabili in Toscana, i resti, in particolare denti, di squali". I viaggi all'Isola d'Elba, nelle Colline Metallifere e nel Volterrano, nonché le escursioni nelle Prealpi Tridentine e Lombarde ebbero luogo negli anni successivi alla conversione. Prepara vano la redazione progettata della storia geologica della Toscana, di cui lo Stenone fece in tempo soltanto a stendere l'introduzione nell'importantissima dissertazione De solido intra solidum naturali ter contento (Dei corpi solidi naturalmente contenuti in altri corpi solidi). Vi espone le conclusioni delle sue indagini stratigrafiche e cristallografiche, che dovevano servire da principi alla sua ricostiruzione delle tappe della formazione dei monti e delle colline in Toscana. Questa dissertazione fu pubblicata a Firenze, nel 1669.

«Le benedizioni di tuo padre sono superiori
alle benedizioni dei monti amichi,
alle attrattive dei colli eterni.
Vengano sul capo di Giuseppe
e sulla testa del principe tra i suoi fratelli!» (Genesi 49,26)

Il ritorno di Niccolò Stenone al paese fu ostacolato come quello di Giuseppe, e assunse un senso simbolico ed escatologico, inaspettatamente diverso da una serena vecchiaia fra i suoi. Dopo un lungo viaggio attraverso l'Europa Centrale, si diresse verso la Danimarca, ripassando per l'Olanda e per Amsterdam. Lì ritrovò l'ambiente dei suoi primi studi mutato e in rapida trasformazione. Arrivato ad Amsterdam nei primi mesi del 1670, appena qualche settimana dopo la pubblicazione del Tractatus theologico-politicus, assistette allo scalpore suscitato nell'opinione dalle tesi sostenute da Baruch Spinoza 19 e vi lesse le avvisaglie del Pre-illuminismo europeo. Nei primi giorni di giugno, gli pervenne la notizia della morte del suo benefattore, il Granduca Ferdinando II. Fece ritorno a Firenze per il funerale. Ancora sotto l'impressione della lettura delTractatus, scrisse a Spinoza, che aveva incontrato quasi dieci anni prima, una lunga lettera, molto significativa, su libertà civile e libertà religiosa. Non si sa se la lettera fu ricevuta da Spinoza, né se fu veramente spedita.

Invitato dal Re Christian V - il rescritto reale porta la data del 24 febbraio 1672 -, Niccolò Stenone si recò a Copenhagen per svolgervi le mansioni di «Anatomico Reale». Non si trattava dell'ambita cattedra di Professore di Anatomia all'Università, che Niccolò Stenone non riuscirà ad ottenere, ma dell'incarico di «Dimostratore» pubblico e ufficiale del Teatro Anatomico della capitale . Nei tre anni successivi Niccolò conobbe la sorte nostalgica degli esiliati che, di ritorno in patria, si scoprono «spaesati» perfino fra i parenti prossimi; la sorella Anna era la sola sopravvissuta alla quale poteva ricongiungersi.

Propongo l'ipotesi che la decisione di presentarsi all'ordinazione sacerdotale sia maturata in quel tempo, perché Niccolò Stenone avvertiva la nuova congiuntura intellettuale e spirituale che si era creata in Olanda e in Danimarca. Fu la seconda svolta decisiva della sua vita che l'allontanò in modo praticamente definitivo dalla ricerca scientifica: ricevette l'ordinazione sacerdotale e celebrò la sua prima Messa nel giorno di Pasqua 1675, nella chiesa fiorentina della Santissima Annunziata. Aveva 37 anni. Impegnò i suoi primi anni sacerdotali in un ministero di confessioni e di direzione spirituale, e Cosimo III, che era succeduto a Ferdinando II, gli affidò l'educazione del Principino Ferdinando che doveva morire prima del padre e che lascerà la successione a Giangastone. Niccolò Stenone era troppo in vista per restare a lungo riservista di complemento: chiamato a Roma da Papa Innocenza XI, venne consacrato vescovo dal santo Cardinale Gregorio Barbariga e dal missionario Mgr. François Pallu, il 19 settembre 1677, nella Cappella de Propaganda Fide, a Piazza di Spagna, in Roma, e immediatamente inviato a Hannover come Vicario Apostolico presso la Corte del Duca Giovanni Federico. Cominciavano i 9 ultimi straordinari anni della vita di Niccolò: Giuseppe, savio e erudito in Corte, finiva ministro del Re. Dopo la ricerca della verità, quella della carità in un'unica santità. Per tre anni fu vicario apostolico ad Hannover; per un altro triennio vescovo ausiliare di Munster; il triennio finale fu vicario apostolico di Amburgo e di Schwerin: mai come in questo periodo lo zelo pastorale spinto fino allo strazio manifesta le virtualità insospettate della spiritualità dello Stenone.
Esausto come una candela troppo presto bruciata, si spegne a Schwerin, circondato da luterani, ai quali confessa i suoi peccati e con i quali prega.. invocando:

«Jesus, sis mihi Jesus» - «Gesù , sii per me Gesù».

 


Il presente testo è un estratto parziale (pp. 73-86) dell'articolo:
B.T. Vinaty, Il profilo spirituale di Niels Stensen, «Quaderni di Niccolò Stenone», 1 (1991) pp. 73-96.