“Profana a sacris non excludenda”[1]
Il De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus (Prodromo a una dissertazione sui solidi naturalmente contenuti in altri solidi) – pubblicato la prima volta a Firenze nel 1669, e dedicato a Ferdinando II de’ Medici, Granduca di Toscana – è una delle opere più note di Niccolò Stenone (Niels Steensen in Danese; Nicolaus Stenoni in Latino), poliedrico scienziato danese, poi eletto vescovo cattolico, che visse tra il 1638 e il 1686. La fama del Prodromus è forse seconda solamente al suo Discorso sull’anatomia del cervello.
Il Prodromus è spesso considerato come l’atto di fondazione della geologia moderna, e comunque come una delle pietre miliari della letteratura geologica. I chimici e gli esperti in scienze dei materiali conoscono quest’opera come il luogo in cui è stata formulata la cosiddetta Legge di Stenone, la quale stabilisce che gli angoli tra due corrispondenti facce dei cristalli di ogni specie solida chimica o minerale sono costanti e sono una caratteristica della specie.
Quale fu la novità tecnica che Stenone introdusse in geologia grazie al Prodromus? Per rispondere a questa domanda è necessario concentrarsi bene sul titolo dell’opera. “Solidi naturalmente contenuti in altri solidi”: dal momento che ci si riferisce a solidi, non è scontato capire come essi possano essere naturalmente contenuti in altri solidi, specialmente se si ha in mente solidi così intimamente contenuti in altri solidi quali i fossili di sostanze organiche incastonati nelle rocce che li conservano. Con le parole di Steven J. Gould (uno dei maggior biologi evoluzionisti del secolo scorso), si può dire:
“Porre un problema in maniera sorprendente e innovativa è un prerequisito alla grande scienza. Il genio di Stenone sta nell’aver riconosciuto che la soluzione al problema generale di come dei corpi solidi vengano ad essere contenuti in altri solidi poteva fornire un criterio per svelare la struttura e la storia della terra.” [2]
Una volta in possesso di tale intuizione fondamentale, il Prodromus offre tre criteri alla base della geologia moderna. Il primo è noto come il “principio di conformazione” (principle of molding), secondo il quale si può sostenere che il solido (p. es. una conchiglia) che imprime la sua forma in un altro solido (p. es., una roccia sedimentaria) avrà solidificato prima di quello su cui ha impresso la sua forma. Il secondo principio – talvolta detto “principio di sovrapposizione” – sancisce che gli strati geologici inferiori sono più antichi di quelli più superficiali. Questi due principi permettono di stabilire una cronologia delle entità geologiche: una storia della crosta terrestre. Il terzo principio – che stabilisce un criterio di somiglianza tra cause a partire dalla somiglianza tra effetti – è formulato con grande chiarezza all’inizio della seconda parte del Prodromus:
“Se una sostanza solida è in ogni aspetto simile ad un’altra tale sostanza, non soltanto per le condizioni della sua superficie, ma anche per l’organizzazione interna delle sue parti e componenti, essa sarà simile all’altra anche riguardo al modo e al luogo della sua produzione” [3]
Stabilendo tali criteri, di fatto, Stenone ha gettato le basi per la geologia moderna (ed ha anche introdotto l’idea che la geologia sia una scienza storica, come vedremo meglio a breve).
Da dove proviene una simile rivoluzionaria idea? Stenone fu principalmente un anatomista. Come visto altrove, egli era convinto che comprendere la (neuro-)anatomia umana richiedesse anche studi comparativi sull’anatomia di altri animali. Per tale ragione, egli era avvezzo a sezionare diverse creature, tra le quali gli squali attiravano sua speciale attenzione. In quell’epoca, era in corso un dibattito a proposito delle cosiddette “glossipetrae” (lingue di pietra). Queste erano in realtà denti di squalo fossilizzati, ma al tempo di Stenone – anche a causa della diffusa interpretazione letteraria delle Sacre Scritture che influenzavano anche le visioni teologiche – le glossipetrae erano interpretate sì come pietre in tutto simili ai denti di squalo, ma comunque come vere e proprie pietre create da Dio come tali (e create pochi millenni prima, secondo la cronologia all’epoca attribuita alla creazione). Sezionando una testa di squalo che egli ricevette per i suoi studi da Livorno, Stenone riuscì a provare empiricamente la stretta somiglianza tra i denti che egli osservava nella bocca del suo squalo e le glossipetrae. Così, concluse che le glossipetrae – comprese quelle che “potevano esser raccolte a barili, soprattutto a Malta”[4] – fossero effettivamente dei veri denti di squalo fossilizzati. Quindi, il principale caso di “solidi naturalmente contenuti in altri solidi” che permise a Stenone di gettare le fondamenta della geologia moderna, erano in effetti le glossipetrae.
Al di là dell’interesse specifico per la storia della geologia, cosa rende il Prodromus un testo prezioso anche dal punto di vista interdisciplinare? Due temi meritano di essere menzionati, in conclusione. Il primo è che il Prodromus di Stenone definì la geologia come una scienza storica, vale a dire, una disciplina che riguarda sequenze di eventi nel tempo, le quali possono essere ricostruite grazie alle tracce (“vestigia”) che quegli eventi hanno lasciato. Stenone accomuna esplicitamente la geologia come scienza storica alla storia come studio del passato dell’umanità, affermando anche che – dal punto di vista epistemologico – entrambe le discipline trovano la loro guida metodologica nell’inferenza alla miglior spiegazione possibile, grazie alla quale è possibile proporre cause passate per tracce rinvenute nel presente. (Per inciso, è proprio questo aspetto che attirò, tre secoli dopo, l’attenzione di Gould, il quale, da esperto biologo evoluzionista, vedeva la sua stessa disciplina, fondamentalmente, come una scienza storica). Stenone aggiunge poi che il tipo di tracce su cui si può costruire una geologia (vale a dire, “solidi dentro solidi”) sono di gran lunga più affidabili delle tracce (cioè, documenti o artefatti di umana produzione) da cui si può ricostruire la storia. Queste ultime, infatti, sono solo “segni”, che possono anche esser prodotti con inesattezze intrinseche, volute ambiguità, o anche per ingannare; le prime, al contrario, sono “vestigia”, tracce delle cose stesse esenti, per così dire, da mediazioni o convenzioni umane[5]. In sostanza, dunque: la natura non mente!
Il secondo punto da sottolineare riguarda la conversione al cattolicesimo di Stenone, che alcuni studiosi considerano essere la ragione per il suo abbandono della ricerca scientifica. Una diversa interpretazione scorge invece una forte continuità tra le ragioni che indussero Stenone a intraprendere la ricerca scientifica, e quelle soggiacenti la sua conversione: l’ammirazione e la lode per l’opera di Dio. Collegando il Prodromus con alcuni passaggi di Chaos (1659), una sua precedente opera[6], alcuni commentatori affermano che secondo Stenone “Lo studio della geo-morfologia, ad esempio, non è un allontanamento dalla riflessione sul divino, quanto piuttosto una sua declinazione”[7]. Pertanto, come recita l’esergo a questo documento, “Profana a sacris non excludenda” (le cose profane non devono essere escluse da quelle sacre).
[1] N. Stenone, Chaos, col. I, fol. 28r–v. Citato in Cf. J.E.H. Smith, “Thinking from Traces: Nicolas Steno’s Palaeontology and the Method of Science”, in Steno and the Philosophers, eds. R. Adrault and M. Laerke (Brill, Leiden and Boston 2018) pp. 177-200, qui p. 197.
[2] S.J. Gould, Hen’s Teeth and Horse’s Toes. Further reflections in natural history, W.W. Norton & Company, New York & London 1984/19942 (Orig. 1983), p. 70.
[3] N. Stenone, De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus, Florence: Ex typographiae sub signo Stellae 1669, p. 16. Testo latino originale: “Si corpus solidum alij corpori solido, non modò quà superficiei conditiones, sed etiam, quà intrisecam partium particularumque ordinationem per omnia simile fuerit, etiam quà modum, & locum productionem illi simile erit.”
[4] S.J. Gould, Hen’s Teeth and Horse’s Toes., cit., p. 71.
[5] Cf. J.E.H. Smith, “Thinking from Traces”, cit., spec. p. 189.
[6] Per uno studio sintetico su quest’opera e sul suo significato, si veda G.D. Rosenberg, “Nicholas Steno’s Chaos and the shaping of evolutionary thought in the Scientific Revolution”, Geology 34 (2006): 793-796.
[7] Cf. J.E.H. Smith, “Thinking from Traces”, cit., p. 197.