La riscoperta e lo studio dell’enciclica Humanae vitae, di cui abbiamo recentemente ricordato il 50° anniversario della pubblicazione (25 luglio 1968) torna utile anche al dialogo tra sapere teologico, filosofico e tecno-scientifico. In particolare, vogliamo qui ricordare la riflessione di un importante filosofo del Novecento, Max Horkheimer (1895-1973), il quale accolse favorevolmente le istanze mosse da san Paolo VI, benché egli fosse di ispirazione marxista e appartenente alla Scuola di Francoforte, che riuniva autorevoli accademici quali Hebert Marcuse e Theodor von Adorno, accomunati dalla spassionata critica radicale alla società plasmata dal capitalismo.
Humanae vitae tradendae munus gravissimum (il gravissimo dovere di trasmettere la vita umana): è questo l’incipit più esteso che esprime la chiave di lettura di tutta l’enciclica, ovvero il compito che i coniugi hanno di trasmettere la vita umana, quindi la loro vocazione e missione a essere liberi e responsabili collaboratori di Dio Creatore nel donare la vita. L’incipit riprende l’insegnamento già contenuto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II: «I coniugi sappiano essere cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria» (n. 50). Definita enciclica coraggiosa e profetica, Humanae vitae sintetizza la dottrina della Chiesa sulla genitorialità responsabile, sul valore della vita umana e sulla bontà dell’amore coniugale. Trattando della vocazione ad essere genitori, il documento sembra voler mettere in guardia dai limiti della tecnica, che non può da sola risolvere i problemi dell’uomo; ricorda la necessità morale del sacrificio e i pericoli dell’egoismo; in linea con l’insegnamento della Chiesa condanna l’aborto e, più in generale, critica la mentalità anti-natalista; infine, fa intravvedere la gravità dei rischi introdotti dal consumismo.
Alla luce di tale contenuto, Horkheimer riflette sulla portata dell’enciclica e, in un libro-intervista, La nostalgia del totalmente Altro, esprime in maniera esplicita l’attenzione che egli dimostra nei confronti della religione e della teologia. Muovendo le proprie considerazioni dal documento del Pontefice egli afferma che «ogni morale, almeno nei paesi occidentali, si fonda sulla teologia, con buona pace di tutti gli sforzi per prendere le dovute distanze dalla teologia» (Queriniana, Brescia 1990, p. 74). Per Horkheimer la teologia è fonte di speranza di fronte all’ingiustizia che caratterizza il mondo, affinché l’ingiustizia stessa non abbia l’ultima parola. A tal proposito egli dichiara che la teologia è «espressione di una nostalgia, di una nostalgia secondo la quale l’assassino non possa trionfare sulla sua vittima innocente» (p. 75).
Entro tale ampia argomentazione si inserisce la giustificazione, da parte di Horkheimer, del giudizio di Humanae vitae nei confronti dell’uso dei contraccettivi, visti come l’eclissi dell’eros. L’amore, infatti, fondandosi sulla nostalgia della persona amata, non è libero dalla dimensione sessuale, bensì «quanto più grande è la nostalgia dell’unione con la persona amata, tanto più grande è l’amore. Se si toglie il tabù della dimensione sessuale, cade la barriera che produce continuamente la nostalgia, e così l’amore perde la sua base» (p. 87). L’enciclica, dunque, è secondo Horkheimer una dichiarazione implicita su come l’umanità debba intendere il progresso, centrato sulla persona e sul rispetto della sua integrità, non sul semplice impiego di quanto la tecno-scienza potrebbe mettere a disposizione dell’essere umano.
Dalla dialettica costruttiva tra Horkheimer e Paolo VI si evince come quest’ultimo abbia sempre cercato con rispetto il confronto con uomini di scienza e di cultura, attraverso la messa in questione di temi considerati “forti”. Al capitolo 24 dell’enciclica, il Papa esprime il suo incoraggiamento agli uomini di scienza, per il contributo che essi possono dare per una migliore soluzione del problema della regolazione della procreazione umana delle nascite, affinché dimostrino con i fatti che non si dà contraddizione tra le leggi che il Creatore ha impresso nella natura umana e quelle che favoriscono un autentico amore coniugale. In una visione cristiana del mondo e della vita, scienza, fede e morale non possono contraddirsi. La scienza, con le sue applicazioni tecnologiche, ha leggi proprie, dettate dall’autonomia della natura; tuttavia l’attività scientifica, in quanto attività umana, non può essere indipendente dalla norma etica. Le applicazioni della tecnica (e la scienza che le ha rese possibili) non sono un assoluto a cui tutto possa o debba essere subordinato o sacrificato. Il senso dell’enciclica sta proprio qui: la suprema dignità della persona umana contro ogni pretesa di riduzione e subordinazione dell’umano alla logica del tecnicamente possibile.
A cinquant’anni dalla sua pubblicazione, Humanae vitae rappresenta un avvenimento certamente non concluso, tanto che le questioni poste in essere sono ancora oggi oggetto di analisi, studio e riflessione, non solo per gli esperti in materia di etica o bioetica, ma per ogni essere umano che guarda al dono e alla trasmissione della vita. Le risposte che l’enciclica offre si possono individuare focalizzando la condizione dell’uomo contemporaneo, tripartito al suo interno tra l’esercizio del potere tecnico-scientifico, l’esercizio della volontà di migliorare la propria condizione e, infine, il desiderio, ovvero la nostalgia del totalmente Altro verso cui tendere. L’equilibrio tra queste tre dimensioni dell’umano (potere – volontà – desiderio), senza prevaricazioni di una parte sull’altra, esprime in fondo l’intima vocazione dell’uomo a cercare la felicità. C’è da augurarsi che il sentimento della nostalgia del vero e del buono, di cui Horkheimer si rendeva interprete, si faccia prima o poi sentire anche in altri intellettuali, fino al ritrovamento della ragione oggi debole e frammentata, necessaria propedeutica all’accoglienza della fede.