"Briciole" dai Diari

Nei Diari di Kierkegaard si ritrova tutta la vita di Kierkegaard: fisica, affettiva, spirituale, intellettuale, politica, letteraria, sociale; vita sperata e pregata, sofferta e angosciata, una vita perfino “normale”. Di seguito ne offriamo un rapidissimo assaggio. La segnatura dei brani ricalca l’edizione danese, mantenuta nella traduzione italiana (Morcelliana, Brescia, IV edizione, 2010-2017): dopo la data, il numero romano indica il volume e l’eventuale apice il tomo, la lettera maiuscola la sezione e il numero arabo il progressivo. Questa edizione recente mantiene come base la prima traduzione dei Diari ad opera di Cornelio Fabro.

1.   Considerazioni sul proprio stato emotivo-esistenziale

Tutta l’esistenza mi angoscia, dal più piccolo moscerino ai misteri dell’Incarnazione; tutto mi riesce inspiegabile, me stesso soprattutto; tutta l’esistenza mi è appestata, soprattutto io stesso. Vasto è il mio dolore, senza confini; nessuno lo conosce se non Dio nel cielo, ed Egli non vuole consolarmi; nessuno può consolarmi se non Dio nel cielo, ed Egli non vuole avere pietà di me. – Giovane, adolescente, tu che sei ancora ai primi passi verso la meta, se ti sei smarrito, oh! ritorna, volgiti a Dio e alla sua scuola attingerai in te una giovinezza, rafforzerai il cammino della maturità. ma ti toccherà sentire quanto bisogna soffrire, quando si son sperperati la forza e il coraggio della propria giovinezza nel ribellarsi a Lui; si deve poi, affranti e disfatti, incominciare una ritirata attraverso paesi distrutti e provincie rovinate, circondati dovunque dall’orrore delle devastazioni, dalle città bruciate e dalle macerie fumanti di speranze deluse, da opulenza infranta e da grandezza abbattuta, un ritirata lenta come un’annata di sventura, lunga come un’eternità, interrotta da questo ripetuto sospiro: queste giornate non mi piacciono!

12 maggio 1839, II A 420

Io non ho voglia di niente, non ho voglia di camminare – ciò mi stanca; non ho voglia di sdraiarmi, perché o dovrei rimanere a lungo disteso e ciò non mi va, o dovrei alzarmi subito ed anche questo non mi va – non ho voglia di cavalcare, è un esercizio troppo duro per la mia patia; io trovo gusto soltanto a girare in vettura; comodamente, si fa strada sbatacchiando e mi lascio scivolare davanti una moltitudine di oggetti, mi soffermo su ogni bel paesaggio, solo per sentire la mia spossatezza. – Idee e sogni sono per me infecondi come l’eccitazione di un eunuco – invano io vado in cerca di qualcosa che mi possa scuotere – neppure il linguaggio polposo del Medioevo saprebbe fugare il vuoto che regna in me. – Io sento ora veramente l’importanza di ciò che voleva dire Cristo: «le mie parole sono vita e spirito» (Gv 6, 64). – In breve: io non ho voglia di scrivere ciò che ho scritto, e neppure ho voglia di cancellarlo.

II A 637

Io sono nel senso più profondo un’individualità infelice, che fin dai primissimi anni è stata inchiodata costantemente a qualche sofferenza confinante con la pazzia, che deve avere la sua più profonda ragione in una sproporzione fra la mia anima e il mio corpo; poiché (e questa è la cosa strana nonché il mio conforto infinito) ciò non sta in alcun rapporto al mio spirito, che anzi forse per la tensione del rapporto tra anima e corpo ha conseguito una forza espressiva che è rara […] da quel momento io ho scelto. Quella tragica sproporzione, con tutte le sue sofferenze (che indubbiamente avrebbero portato al suicidio la maggior parte di quelli che avessero ancora abbastanza spirito per capire tutta la miseria del tormento) io l’ho ritenuta la mia “spina nella carne” (2Cor 12,7), il mio limite, la mia croce; io ho pensato che fosse questo il caro prezzo con cui Dio nei cieli ha voluto vendermi una forza di spirito senza pari tra i contemporanei. Questo non mi gonfia, perché io tuttavia sono stritolato, il mio desiderio è pertanto divenuto il mio quotidiano amaro dolore e umiliazione. Senza fare appello a rivelazioni o a cose simili, io ho capito me stesso nel voler avvalorare, in un tempo traviato e demoralizzato, il “generale”, e renderlo amabile e accessibile per tutti gli altri, che fossero capaci di realizzarlo, ma che dal tempo sono stati sviati per andare a caccia dell’eccezionale, dello straordinario. Come colui, il quale per suo conto divenne infelice, qualora abbia amore per gli uomini, desidererà precisamente di aiutare gli altri come possano diventare felici, così io ho inteso il mio compito.

Marzo 1846, VII A 126

 

2.   La realtà del Cristianesimo

La realtà oggettiva della Redenzione di Cristo, anche prescindendo dalla stessa soggettività della sua appropriazione, è espressa con molta chiarezza nella storia del miracolo dei 10 lebbrosi (Lc 17, 11 ss.). Tutti, è vero, furono guariti ma solo del decimo, che tornò indietro riconoscente per rendere gloria a Dio, sta scritto: «la tua fede ti ha salvato»!

18 settembre 1838, II A 263 

“Il Singolo”: con questa categoria sta e cade la causa del Cristianesimo

VIII1 A 482

In generale due sono le devianze decisive in rapporto al cristianesimo: 1) il Cristianesimo non è una dottrina, ma una comunicazione-di-esistenza. (Vennero poi tutte le esagerazioni dell’ortodossia, con discussioni su questa o quella cosa, mentre l’esistenza rimane completamente immutata, così che si discute su ciò che è il Cristianesimo come di ciò che è la filosofia platonica e simili). […] 2) Di conseguenza (poiché il Cristianesimo non è una dottrina), in rapporto ad esso non è come in rapporto ad una dottrina indifferente, dove chi la espone deve unicamente (obiettivamente) dire il giusto. No, Cristo non ha istituito docenti – ma imitatori. Se il Cristianesimo (appunto perché non è una dottrina) non si reduplica in chi lo espone, allora costui non espone il Cristianesimo; perché il Cristianesimo è una comunicazione-di-esistenza e può essere esposto soltanto – con l’esistere. Insomma questo è in fondo esistere in esso, esprimerlo esistendo, etc.: questo è reduplicare.

IX A 207

 

3.   Preghiere

Padre nei cieli! Non allontanare più a lungo da me il Tuo Volto (Sal 26,9)! Torni esso a splendere di nuovo davanti a me, affinché segue la tua via e non mi smarrisca più lontano da Te, dove la Tua parola non mi potrebbe più raggiungere. Oh! Risuoni per ma la Tua voce e fa’ che io l’ascolti! Anche se, spaventandomi, essa mi dovesse raggiungere sui sentieri della perdizione, dove alato e macchiato nello spirito vivessi segregato e solo, lungi dalla comunione con Te e dalla comunità degli uomini! O mio Signore Gesù Cristo, Tu che sei venuto al mondo per salvare quelli che s’erano perduti (Lc 19,10), che lasciasti le 99 pecorelle per andare in cerca di quella smarrita (Mt 18,12), vieni in cerca di me sui sentieri dei miei traviamenti, ove io mi nascondo a Te e agli uomini. Fa’, o Pastore nuove, che senta la Tua voce soave, fa’ che la riconosca, fa? che la segua. Tu o Santo Spirito intercedi anche per me con gemiti inenarrabili (Rm 8,26), prega per me come Abramo per Sodoma corrotta (Gen 18, 16ss). E se c’è in me soltanto un unico pensiero puro, un sentimento più buono, che il tempo della prova mi possa essere prolungato come per l’albero sterile (Lc 13,6ss.). O venerabile Spirito Santo! Tu che fai rinascere i morti e ringiovanisci i vecchi, rinnova anche me e crea in me un cuore nuovo (Sal 50, 12): Tu che con le cure di una madre difendi tutto ciò in cui c’è ancora scintilla di vita. Oh! Tienimi sempre più saldamente stretto a Lui, il mio Salvatore e Redentore, perché una volta guarito io non Lo dimentichi, come quei 9 lebbrosi, ma torni indietro da Lui, come quell’unico lebbroso (LC 17, 15ss.), a Colui che mi ha dato la vita e presso il quale soltanto si può trovare la beatitudine. Sì, santifica le mie opere e i miei pensieri così che possa dirmi Suo servo, ora e per tutta l’eternità.

16 agosto 1839, II A 538

 

4. Aforismi, spunti, motti, brevi considerazioni

Come mette i brividi leggere che Cristo, il Maestro dell’amore, è tradito – con un bacio (Mt 26,49).

1847, VIII1 A 343

Cristo non volle saperne di scrivere – Egli ha scritto solo sulla sabbia (Gv 8,6).

2 ottobre 1837 , II A 675

Tutti i fiori del mio cuore finiscono col divenire fiori di gelo.

II A 641

Io sono un Giano bifronte: con un volto io rido, con l’altro io piango.

II A 662

Ma l’humour è anche la gioia che ha vinto sul mondo.

II A 672

 

5.   Riflessioni, meditazioni

Non è una considerazione sofistica credere che ogni istante nella propria anima alla possibilità che Dio in questo istante ancora può volgere ogni cosa in bene. Chi non vi crede realmente, si fiacca cadendo in disperazione e non è in grado di ricevere il bene neppur quando è realmente offerto.

IV A 131

Ed era il Suo un abbassamento sul serio. Non era come quando il Papa lava i piedi ai poveri e tutti sanno che è il Papa, così che ha il doppio vantaggio: oltre quello della considerazione di esser Papa, anche quello dell’umiltà.

VIII1 A 345

Ecco ancora uno dei punti più importanti del rapporto a Dio. Se uno potesse avere una certezza verosimile che Dio vuol servirsi di lui come strumento (al pari di un re un ministro) – come non gli sarebbe facile allora poter sopportare tutto con qualsiasi sacrificio. Ma è possibile avere una certezza verosimile, o anche semplicemente immediata di un rapporto con Dio? Dio è spirito. Con uno spirito non è possibile avere altro che un rapporto di spirito; ma un rapporto di spirito è eo ipso dialettico. – Come allora un Apostolo percepisce di essere chiamato con una rivelazione e qualcosa di simile, e coll’avere una certezza immediata, che non sarebbe affatto dialettica? Questo io non lo comprendo – ma si può credere.

IX A 32

Il Cristianesimo non è di certo malinconia; al contrario è la buona novella – per i malinconici. Per i leggeri non è certamente la buona novella, perché prima li vuole rendere seri.

VIII1 A 341

 

S. Kierkegaard, Diari, Morcelliana, Brescia, Quarta edizione riveduta e ampliata: I (2010); II (2014); III (2017).