Discorso ai partecipanti della conferenza "New Frontiers for University Leaders"

 

Magnifici Rettori e stimati Docenti,

benvenuti a questo incontro, in occasione del convegno della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche sul tema “Nuove frontiere per i leader delle università. Il futuro della salute e l’ecosistema dell’università”. Saluto cordialmente la Presidente, prof.ssa Isabel Capeloa Gil, [in spagnolo] e la ringrazio per la cortesia di aver parlato in castigliano, e tutti i presenti, mentre ringrazio la Federazione per questo impegno di studio e di ricerca.

Oggi il sistema delle università si trova dinanzi a sfide inedite che provengono dallo sviluppo delle scienze, dall’evoluzione delle nuove tecnologie e dalle esigenze della società che sollecitano le istituzioni accademiche a fornire risposte adeguate e aggiornate. La forte pressione, avvertita nei vari ambiti della vita socio-economica, politica e culturale, interpella dunque la vocazione stessa dell’università, in particolare il compito dei docenti di insegnare e di fare ricerca e di preparare le giovani generazioni a diventare non solo qualificati professionisti nelle varie discipline, ma anche protagonisti del bene comune, leader creativi e responsabili della vita sociale e civile con una corretta visione dell’uomo e del mondo. In questo senso oggi le università si devono interrogare sul contributo che esse possono e devono dare per la salute integrale dell’uomo e per un’ecologia solidale.

Se queste sfide riguardano tutto il sistema universitario, le università cattoliche dovrebbero avvertire con ancora maggiore acutezza queste esigenze. Con la vostra apertura universale (appunto da “universitas”), potete fare in modo che l’università cattolica sia il luogo dove le soluzioni per un progresso civile e culturale per le persone e per l’umanità, improntato alla solidarietà, venga perseguito con costanza e professionalità, considerando ciò che è contingente senza perdere di vista ciò che ha un valore più generale. Le problematiche antiche e nuove vanno studiate nella loro specificità e immediatezza, ma sempre entro un’ottica personale e globale. L’interdisciplinarità, la cooperazione internazionale e la condivisione delle risorse sono elementi importanti perché l’universalità si traduca in progetti solidali e fruttuosi a favore dell’uomo, di tutti gli uomini ed anche del contesto in cui essi crescono e vivono.

Lo sviluppo delle tecnoscienze, come già si può constatare, è destinato ad influire in modo crescente sulla salute fisica e psicologica delle persone. Ma poiché esso incide anche sulle modalità e sui processi degli studi accademici, oggi più che in passato occorre ricordare che ogni insegnamento implica anche un interrogarsi sui “perché”, cioè richiede una riflessione sui fondamenti e sui fini di ogni disciplina. Una educazione ridotta a mera istruzione tecnica o a mera informazione, diventa un’alienazione dell’educazione; ritenere di potere trasmettere conoscenze astraendo dalla loro dimensione etica, sarebbe come rinunciare a educare.

È necessario superare l’eredità dell’illuminismo. Educare, in genere, ma in particolare nelle università, non è soltanto riempire la testa di concetti. Ci vogliono i tre linguaggi. È necessario che i tra linguaggi entrino in gioco: il linguaggio della mente, il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani, così che si pensi in armonia con quello che si sente e si fa; si senta in armonia con quello che si pensa e si fa, si faccia in armonia con quello che si sente e si pensa. Un’armonia generale, non separata dalla totalità. È pertanto necessario agire anzitutto partendo da un’idea di educazione concepita come un processo teleologico, cioè che guarda al fine, necessariamente orientato verso un fine e, quindi, verso una precisa visione dell’uomo. Ma occorre avere anche un’ulteriore prospettiva per affrontare il tema dei perché – cioè della sfera etica – nel campo educativo. Si tratta del suo carattere tipicamente epistemologico che riguarda tutto l’arco dei saperi, e non solo quelli umanistici ma anche quelli naturali, scientifici e tecnologici. Il collegamento tra conoscenza e finalità rimanda al tema della intenzionalità e al ruolo del soggetto in ogni processo conoscitivo. E arriviamo così ad una nuova episteme; è una sfida: fare una nuova episteme. L’epistemologia tradizionale aveva sottolineato tale ruolo ritenendo il carattere impersonale di ogni conoscenza come condizione di oggettività, requisito essenziale dell’universalità e della comunicabilità del sapere. Oggi, invece, numerosi autori mettono in risalto come non esistano esperienze totalmente impersonali: la forma mentis, le convinzioni normative, le categorie, la creatività, le esperienze esistenziali del soggetto rappresentano una “dimensione tacita” della conoscenza ma sempre presente, un fattore indispensabile per la accettazione del progresso scientifico. Non possiamo pensare a una nuova episteme di laboratorio, non va, ma della vita sì.

In questo orizzonte, l’università ha una coscienza, ma anche una forza intellettuale e morale la cui responsabilità va oltre la persona da educare e si estende alle necessità di tutta l’umanità. E la FIUC è chiamata ad assumersi l’imperativo morale di adoperarsi per realizzare una comunità internazionale accademica più unita, da una parte affondando con più convinzione le proprie radici in quel contesto cristiano dal quale le università ebbero origine e, dall’altra, consolidando la rete tra le università di antica nascita e quelle più giovani, per sviluppare uno spirito universalistico finalizzato ad accrescere la qualità della vita culturale delle persone e dei popoli. L’ecosistema delle università si costruisce se ogni universitario coltiva una particolare sensibilità, quella datagli dalla sua attenzione per l’uomo, per tutto l’uomo, per il contesto in cui vive e cresce e per tutto ciò che contribuisce alla sua promozione.

La formazione dei leader raggiunge i propri obiettivi quando riesce ad investire il tempo accademico con lo scopo di sviluppare non solo la mente, ma anche il “cuore”, la coscienza, e le capacità pratiche dello studente; il sapere scientifico e teorico va impastato con la sensibilità dello studioso e ricercatore affinché i frutti dello studio non siano acquisiti in senso autoreferenziale, solo per affermare la propria posizione professionale, ma siano proiettati in senso relazionale e sociale. In definitiva, così come ogni scienziato ed ogni uomo di cultura ha l’obbligo di servire di più, perché sa di più, così la comunità universitaria, soprattutto se di ispirazione cristiana, e l’ecosistema delle istituzioni accademiche devono rispondere nel loro insieme al medesimo obbligo.

In tale prospettiva, il cammino che la Chiesa, e con essa gli intellettuali cattolici, devono compiere, è sinteticamente espresso dal Patrono della FIUC, il neo-canonizzato Cardinale Newman, in questo modo: «La Chiesa non ha paura della conoscenza, ma essa purifica tutto, essa non soffoca alcun elemento della nostra natura, ma coltiva il tutto» (J.H. Newman, The idea of University, 1852).