Giovanni Monastra
Avvicinandoci alle religioni non cristiane, occorre esaminare brevemente per primo l’Islam, fornendo alcuni elementi di documentazione. Già nel Corano si trovano numerosi passi in cui la natura viene indicata come il luogo in cui cercare il volto di Dio. L’ordine armonico del mondo è un segno per chi è saggio e sa percepire a fondo le cose, cogliendo l’essenza al di là delle apparenze (sura 30,22; 44,3-5). Secondo lo studioso islamico Seyyed H. Nasr la natura, «considerata come un testo è un complesso di simboli che devono essere letti in accordo al loro significato. Il Corano è la controparte di tale testo in parole umane; i suoi versetti sono chiamati ayat (“segni”), esattamente come i fenomeni della natura. Sia la natura sia il Corano esprimono la presenza e la venerazione di Dio» (1). Come un libro sacro, essa può aiutare nella via della salvezza spirituale: anche per questo va tutelata. L’ordine divino della creazione non è toccato dal problema della teodicea. Secondo la rivelazione coranica, all’uomo è stato affidato il compito di governare la terra in nome di Dio (sura 35,39). L’uomo deve preoccuparsi che vengano conservate le risorse naturali necessarie alla vita e che la terra non venga depredata dalla sete di potere e di possesso. Così la responsabilità dell’uomo verso il mondo comprende tutta la creazione, non solo gli altri uomini, ma anche gli animali, le piante e tutta la terra. Nel Roseto mistico, opera di Mahmud Shabistari, la realtà fisica, vista come struttura olografica, è illuminata dalla trascendenza immanente del Principio Supremo: «Sappi che il mondo è uno specchio da capo a fondo, in ogni atomo ci sono cento soli fiammeggianti. Se spacchi il cuore di una goccia d’acqua, ne usciranno cento puri oceani. Se esamini attentamente ogni granello di sabbia, potrai vedere in esso mille Adami. E benché il centro del cuore sia piccolo, è una dimora che può ospitare il Signore di entrambi i mondi», intesi come la sfera del Divenire e quella dell’Essere (2).
Gli antichi egizi e persiani, prima dell’affermarsi della civiltà islamica, manifestarono una eguale sensibilità. L’ordine del cosmo veniva considerato in Egitto generato e sostenuto dalla Divinità. Gli elementi della natura erano visti come forze che disvelavano entità soprannaturali, incarnazioni di un principio trascendente. Per la religione di Zaratustra, originatasi tra il 1000 e il 600 a.C., che ancora conta un sia pur ridotto numero di seguaci in Persia e India, la Terra era l’incarnazione di un Angelo, quindi parte della gerarchia angelica, che rivestiva un ruolo centrale nella antica sapienza iranica. L’intero cosmo era soggetto alla Legge divina (Asha) e ogni cosa terrena aveva una sua controparte celeste, che la dignificava e ne sanciva il diritto all’esistenza. Pure nell’Induismo, troviamo il concetto di ordine cosmico (rta) permeato da una “trascendenza immanente”. Ne abbiamo un esempio nella Chandogya-upanishad (6, XIII), dove il giovane Svetaketu viene ammaestrato dal padre circa la presenza dell’Essere soprannaturale nella stessa natura, usando l’esempio dell’acqua in cui è stato sciolto del sale. Infatti il suo sapore è rinvenibile ovunque nel liquido: ciò significa che la sua “essenza” è rimasta integra, senza che, però, sia possibile separare il sale dall’acqua. Così l’Essere è onnipresente pur non identificandosi con la natura. «Tutto quanto esiste è animato da questa essenza sottile; essa è l’unica realtà, essa è l’atman». Come è noto, questa anima che pervade tutto è una espressione del supremo Brahman, il Principio Assoluto, puramente metafisico, trascendente. Sempre in ambito indù ricordiamo che secondo la concezione tantrica del mondo una serie di “potenze” di ordine metafisico, analoghe ai “numi” dei romani, sono presenti nei molteplici aspetti della natura, di cui costituiscono le vere radici.
In un testo sapienziale come l’I Ching, base del pensiero cinese, non solo taoista, troviamo riaffermato il concetto che la natura riproduce i modelli trascendenti, per cui il mondo è uno specchio del divino. Infatti vengono menzionate le “immagini primigenie”, ossia gli “archetipi”, portate a compimento con l’atto creativo (3), che dalla non-dualità del Principio Supremo, attraverso una serie “mutamenti”, espressi da numeri simbolici, conduce al mondo manifestato, concepito come “ordine intellegibile”. Non diversamente ci dice la sapienza della Kabbalah ebraica: «Tutto ciò che esiste nel cielo e sulla terra si trova eternamente nei dieci aspetti primordiali di Dio. Tutto ciò che è perituro è semplicemente un analogo dell’Imperituro e dell’Eterno, da cui promana» (4). Questa visione archetipica, che alcuni credono essere un’invenzione di Platone, risulta anche evidente leggendo la Tavola di Smeraldo ermetica: «Il più basso è simile in tutto al più alto e il più alto è simile in tutto al più basso, e questo perché si compiano i miracoli di una sola cosa»; o l’Aitareya Brahmana dell’Induismo, che afferma «Come è in alto, così è in basso». Ogni ente della natura ha quindi la sua “ragione” essenziale che lo fonda e ne giustifica l’esistenza in modo non contingente, ma assoluto, almeno rispetto al volere umano.
Secondo la metafisica taoista il cosmo, figura fisica di una Realtà metafisica, radicato nel Tao (analogo all’asha zoroastriano o al rta indù), si è formato mediante l’azione congiunta di due forze. Parliamo della “unione armonica” dei due princìpi, categorie o poli apparentemente opposti, ma in realtà complementari, Yang e Yin, Forma e Sostanza, che stanno in un piano subordinato rispetto al Principio Assoluto, scaturigine degli Archetipi. Nella natura, dunque, c’è armonia, determinata dall’equilibrio di queste due polarità contrapposte e complementari. Il disordine, sia a livello macrocosmico, sia a livello microcosmico, deriva dalla rottura di tale equilibrio. È interessante notare, in questo contesto, che il ruolo dell’uomo rispetto all’ambiente, nella Cina tradizionale, era quello di mediatore tra Cielo e Terra, ma non “misura di tutte le cose”. Doveva mantenere stabile l’equilibrio e l’armonia fra yin e yang. Nel Taoismo la natura viene presa come esempio di un agire senza sforzo, unitario e spontaneo in senso superiore: è la “metafora dell’azione perfetta”. Idee analoghe si trovano anche nel buddhismo (5) e nello shintoismo (6).
(1) Cfr. AA.VV., Scienza e civiltà dell’Islam, Milano 1977, p. 2.
(2) Cfr. S.H. NASR, Scienza e civiltà nell’Islam, Milano 1977, p. 281.
(3) Cfr. I Ching, Libro II, sez. 1, cap. V, § 7.
(4) Cfr. L. SCHAYA, L’uomo e l’assoluto secondo la Cabala, Milano 1976, p. 133.
(5) Cfr. D.T. SUZUKI, La Natura nel buddhismo Zen in La terra madre e dea, Como 1989.
(6) Cfr. S. BHANTE, Lo Shintoismo, Milano 1984.
Da G. Monastra, Natura, in Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2002, pp. 1036-1037.