Sul valore sapienziale della matematica

 

Spesso si legge sulla stampa che la matematizzazione rischia di banalizzare l’Universo, riducendo fatti qualitativi a fatti quantitativi; invece mi pare che la ricerca matematica, cercando di esplicitare le relazioni esistenti tra gli oggetti dell’Universo, ne riconosce in primo luogo le proprietà qualitative. Penso che questi fatti dovrebbero essere ricordati ai nostri studenti di Facoltà di tipo applicativo che potranno trarre beneficio dalla matematica solo tenendo conto di questi caratteri, non banali, di una disciplina che non è una macchina da utilizzare ciecamente, ma un interlocutore ideale con cui confrontare costantemente la propria visione dei fatti e dei problemi.

A tale visione il matematico apporta contributi importanti; si accorge per esempio che per riuscire a trattare alcuni problemi pratici occorre immergerli in un quadro ideale molto vasto. Un semplice esempio ci viene dall’aritmetica: nessun calcolo numerico utilizzerà numeri con un milione di cifre, in realtà tutti i calcoli si arrestano molto prima; tuttavia è impossibile fare una teoria della aritmetica semplice, pratica e coerente in cui non vale il teorema “esistono infiniti numeri primi”. La matematica è in un certo senso costretta ad immergere la realtà finita e visibile in un quadro infinito sempre più esteso; per esempio passare dalla considerazione degli infiniti numeri naturali allo studio degli infiniti e infinitesimi dell’analisi; l’ordine delle cose può essere concepito solo come un intreccio di relazioni tra enti materiali ed ideali che nel loro complesso formano una rete infinita.

Questo quadro presenta non pochi problemi anche per il matematico. Molti di noi, anche solo per sentito dire, conoscono i famosi teoremi di Kurt Gödel (1906-1978); sanno in sostanza che non è possibile dare, con un numero finito di postulati, una descrizione perfetta delle più note strutture infinite di cui possiamo avere solo descrizioni per loro natura incomplete.

In questa prospettiva si possono collocare alcuni problemi insoluti che coinvolgono la matematica e le altre scienze: il nostro è l’unico universo possibile oppure uno dei tanti; le varie costanti fisiche sono più o meno fortuite o sono in qualche modo necessarie; quali sono i parametri liberi nel mondo fisico e quali quelli necessariamente legati da precisi vincoli matematici; qual è nel nostro mondo il giuoco delle necessità e quale il giuoco del caso (l’eterno dibattito tra deterministi ed indeterministi).

Uno dei problemi discussi dai matematici che sono a mezza strada tra matematica, scienze sperimentali, filosofia — in Italia è stato affrontato con molta originalità da De Finetti (1906-1985) (1) — è quello di definire la probabilità. Questa può esser definita assiomaticamente come “misura”, cioè come funzione di insieme avente certe proprietà (ad es. additività) e così si perviene ad una teoria assiomatica, da cui tra l’altro si possono dedurre le formule tradizionali del gioco dei dadi e quelle meno tradizionali della meccanica statistica. Da un punto di vista filosofico la probabilità viene definita da alcuni come misura delle nostre attese, cioè dell’incertezza su ciò che avverrà; essa esisterebbe più nella mente dell’uomo che nella natura. Altri concepiscono la probabilità come inerente all’universo in sé e non solo inerente all’uomo che lo osserva.

Il matematico può contribuire alla più larga “ricerca della Sapienza” anche in altro modo. Pur riconoscendo i limiti delle proprie conoscenze su molti argomenti, riesce ad esprimere la parte essenziale di ciò che pensa con delle proposizioni abbastanza semplici e brevi, che possono facilmente essere confrontate con proposizioni analoghe espresse da altri; se questo sistema di proposizioni è ben scelto, da esso si deducono moltissime conseguenze interessanti. Tale metodo di procedere può essere chiamato in senso largo “metodo assiomatico” e la radice ultima di tale metodo è la fiducia nella possibilità di esprimersi in modo semplice e chiaro e nel fatto che da affermazioni apparentemente abbastanza ovvie si possono ricavare, con ragionamenti semplici e coerenti, conseguenze di grande interesse.

Ciò appare chiaro quando si pensa agli assiomi fondamentali della geometria o della aritmetica, da cui discendono tante conseguenze ugualmente importanti sia sul piano teorico che su quello pratico: fuori dal campo matematico si possono citare molti altri “sistemi assiomatici” che hanno profondamente influenzato tutta la storia dell’umanità: basta pensare ai Dieci Comandamenti, al Credo, alle Dodici Tavole, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10.12.1948.

D’altra parte, proprio l’applicazione del metodo assiomatico ha permesso all’intelligenza umana di avventurarsi nel “mondo dell’infinito” senza smarrirsi, superando difficoltà e paradossi. È difficile descrivere in breve il cammino che ha permesso di superare tali difficoltà: dal paradosso di Achille e la tartaruga, alle antinomie di Burali-Forti e Russell, ai teoremi di Gödel, ecc. Possiamo dire che oggi nel mondo degli enti matematici vi è tutta una scala di infiniti e che la considerazione di oggetti infiniti sembra necessaria alla coerente descrizione degli stessi “oggetti finiti”.

Se poi pensiamo al ruolo della matematica nelle scienze, nelle arti e nella tecnica, alla sua importanza nella descrizione delle realtà più diverse, mi sembra che essa suggerisca un’idea assai larga del concetto di “realtà” in cui realtà visibili ed invisibili, finite ed infinite sono legate da relazioni assai complesse, in gran parte misteriose.

La forza del metodo assiomatico risiede nella capacità di descrivere con chiarezza ciò che pensiamo di una realtà in gran parte sconosciuta, una specie di bussola che ci consente di navigare attraverso mari sconosciuti. Certamente neanche le più grandi scoperte di questo secolo, le più ardite teorie fisico-matematiche, la relatività generale, il Big Bang, il principio di indeterminazione, gli spazi a infinite dimensioni di Hilbert e Banach, i teoremi di Gödel, danno una risposta alle domande fondamentali riguardanti il mondo, Dio, l’uomo. Tuttavia tali scoperte e teorie hanno avuto un grande merito: hanno liberato lo spirito umano da una concezione troppo angusta della realtà, dalle paure di tutto ciò che appare inatteso e paradossale, hanno confermato in larghissima misura le parole di Amleto «Vi sono più cose tra cielo e terra di quante ne sogna la vostra filosofia» (2).

 


 

(1)   Cfr. B. De Finetti, Teorie delle probabilità, 2 voll., Einaudi, Torino 1970.

(2) Cfr. W. SHAKESPEARE, Hamlet, atto I, scena V.

 

 

Da E. De Giorgi, Matematica, in Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2002, pp. 843-845.