«Sono nato a una nuova vita ogni volta che una mia sovrastruttura mentale fatta di pregiudizi, di insegnamenti obsoleti e di credenze accettate acriticamente si è spezzata e io ne sono uscito come liberato da una prigione. Sono nato a nuova vita ogni volta che, osservando il mondo da insospettati punti di vista, la mia mente si è allargata a nuove comprensioni».
Inizia così l’autobiografia di Federico Faggin, inventore italiano del microprocessore e grande innovatore nel campo dell’informatica e delle nuove tecnologie. E in effetti la vita di questo fisico e imprenditore contiene così tanti avvenimenti, scoperte, e cambiamenti, da poter essere difficilmente racchiusi in una sola esistenza.
L’autore si definisce rinato più volte, e racconta lo svolgersi del suo percorso dividendolo in quelle che chiama “le sue quattro vite”: la sua infanzia e prima età adulta in Nord Italia, il trasferimento in California e lo sviluppo di nuove tecnologie per la INTEL, la decisione di diventare imprenditore e uomo d’affari, fino ad arrivare al presente, in cui si occupa della Fondazione Federico ed Elvia Faggin, da lui creata assieme alla moglie, e all’interesse per lo studio della natura della coscienza.
Si tratta di una lettura inaspettata, contenente non solo i dati biografici dell’autore, ma anche numerosi dettagli tecnici sulle sue innovazioni e invenzioni, che permettono di comprendere l’evoluzione delle tecnologie che hanno portato alla moderna informatica. Ma l’aspetto più interessante e per molti versi sorprendente è rappresentato dalle riflessioni più intime e profonde sulla natura della coscienza, che emergono in vari passi del testo ad arricchire la lettura e stimolare la riflessione.
Faggin, dopo aver esplorato per tutta la sua vita questo tema, è infine arrivato alla conclusione che la coscienza non possa essere ridotta alla pura attività elettro-chimica del cervello, ma debba risiedere altrove, e che, per questa stessa ragione, non sarà mai possibile costruire una macchina cosciente, questione che ha discusso anche in diverse conferenze. L’esplorazione di questo tema è strettamente connessa, in Faggin, con la riscoperta di una dimensione religiosa, per lunghi anni accantonata in favore di una visione materialistica del mondo, e con un vero e proprio viaggio spirituale che lo porta a quella che egli stesso definisce un’“Illuminazione”.
Grazie a questo percorso, il testo si conclude con il racconto di una consapevolezza e di una felicità finalmente ritrovate, e con una riflessione profonda sul senso sella vita e dell’essere umani, che lo portano infine ad affermare, a chiusura dell’opera e come monito per il futuro «Noi non siamo macchine!»