Homo premium. Come la tecnologia ci divide (Laterza 2018) è un agile saggio divulgativo di Massimo Gaggi, giornalista del Corriere della Sera negli Stati Uniti d’America. Il testo considera alcuni effetti nefasti delle mutazioni interne al mondo lavorativo, politico e sociale contemporaneo. Mutazioni provocate soprattutto dalle innovazioni e dalle trasformazioni scientifico-tecnologiche nel corso del ventunesimo secolo. Il libro, composto da un’introduzione e dieci capitoli, espone la tesi secondo cui una porzione ristretta del genere umano avrebbe intrapreso un cammino che conduce a un nuovo stadio evolutivo della specie: l’homo premium. Gaggi introduce questa ipotesi di lettura del mondo contemporaneo riferendosi al romanzo distopico Piano meccanico di Kurt Vonnegut (1952; tr. it. Feltrinelli, Milano 2004). In quest’ultimo, lo scrittore statunitense descrive un’ipotetica società futura in cui il lavoro è interamente affidato alle macchine e la conseguente polarizzazione della popolazione mondiale in una ristretta classe benestante, composta dagli ingegneri e dai programmatori delle macchine, e una crescente classe povera. Con homo premium Gaggi indica dunque la condizione di quella parte della popolazione mondiale che trovandosi oggi «sulla sponda migliore del fiume in un mondo di enormi e crescenti diseguaglianze di reddito e di conoscenza» (p. 96), può godere di ricchezza, istruzione, salute e aspettative di vita maggiori e migliori rispetto alla parte restante dell’umanità. È la parzialità di questa condizione di benessere a costituire il perno teorico attorno cui ruota l’intera indagine. Le disuguaglianze del mondo contemporaneo, infatti, sembrano acuirsi progressivamente, giorno dopo giorno. Gli esempi considerati dall’autore sono numerosi: vanno dal continuo accrescimento dei grandi monopoli della Silicon Valley californiana (in mano a un numero più che esiguo di aziende e individui) alla progressiva sostituzione del lavoro manuale da parte dell’intelligenza artificiale. In merito al primo di questi due aspetti, Gaggi osserva come la proliferante “economia della condivisione” (composta da multinazionali del calibro di Airbnb, Facebook e Uber solo per citarne alcune), lungi dal permettere una reale condivisione delle ricchezze, acuisce il divario fra homini premium e non. L’organizzazione di queste società si basa, infatti, sulla gig economy, modello economico basato «sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative» (Vocabolario Treccani online). Tale impostazione incide negativamente su numerosi aspetti qualitativi del mondo lavorativo, ad esempio sulla «durata media degli impieghi […], sui livelli retributivi, oltre che sulle tutele sociali, pressoché scomparse» (p. 78). In merito al secondo aspetto, invece, Gaggi sottolinea come l’intelligenza artificiale e il progresso tecnologico stiano lentamente ma inesorabilmente trasformando non solo la sfera del lavoro manuale ma anche quella del lavoro cognitivo-intellettuale. La globalizzazione e il dilagare della tecnologia cancellano ogni giorno «una quota rilevante di posti di lavoro senza rimpiazzarli con altri impieghi» (p. 150). D’altronde, come rimarcano perlopiù i capitoli conclusivi, questa situazione è anche figlia della lentezza politica di fronte alla rapidità delle trasformazioni lungamente descritte dal testo. Nel mondo digitale, infatti, le cose «cambiano alla velocità della luce mentre la politica osserva ma non agisce» (p. 134) e appare inerme di fronte agli impressionanti mutamenti del lavoro, della società e, in fin dei conti, dell’uomo stesso all’interno del mondo contemporaneo.