Dante e il movimento del sole
Dante ha sempre subito il fascino del movimento circolare del sole ed è utile ancora una volta interrompere l'esposizione dei fatti per esaminare la descrizione che egli fornisce di esso e per analizzare alcuni brani del Paradiso in cui volge l'attenzione all'«oblico cerchio» della eclittica e alle conseguenze che questa inclinazione provoca sulla terra.
II lungo quinto capitolo del terzo libro del Convivio ha la forma di un excursus che chiarisce il verso di una delle canzoni scritte da Dante in lode di Madonna Filosofia, in cui si parla de « ... 'l sol che tutto il mondo gira».
Dopo aver spiegato concetti fondamentali come il polo celeste e il polo geografico, la posizione dell'equatore, il corso obliquo dell'eclittica che, incontrandosi con l'equatore celeste, forma due semicerchi l'uno sopra e l'altro sotto la linea equatoriale, Dante invita il lettore ad immaginare come apparirebbe il sole a chi si trovasse su uno dei poli terrestri o sull'equatore. Durante gli equinozi l'osservatore collocato sull'equatore vedrebbe il sole sorgere e passare perpendicolarmente: Dante ne paragona il corso a quello della ruota di un veicolo dall'asse orizzontale e dalla rivoluzione limitata al piano verticale. L'osservatore collocato al Polo Nord non vedrebbe il sole dal prima giorno dell'anno fino all'equinozio di primavera del 21 marzo; quel giorno vedrebbe la parte superiore del sole, tagliato a metà dall'orizzonte, compiere intorno a lui un circolo di 360° completi. In questo caso Dante paragona il corso del sole a quello di una mola che ruota sul piano orizzontale attorno a un asse verticale. Poi per 91 giorni e 1/4, dice Dante, il sole sarebbe visibile senza interruzioni salendo a spirale sempre più in alto nel cielo, e al solstizio d'estate, dopa aver raggiunto una altezza di 23° 1/2, apparirebbe all'osservatore non diverso da come si presenta alle latitudini dell'Italia nel solstizio d'inverno. Dopo aver raggiunto l'acme, riprenderebbe a scendere con moto elicoidale (sempre visibile completamente) per 91 giorni e 1/4 scomparendo poi del tutto nei sei mesi che seguono l'equinozio d'autunno. Durante questi sei mesi un osservatore collocato al Polo Sud vedrebbe esattamente lo stesso fenomeno, a parte che il sole girerebbe da destra a sinistra invece che viceversa.
Il Polo Sud e il Polo Nord hanno giorni e notti eguali di sei mesi di durata, spiega Dante, mentre l'equatore gode sempre di giorni e notti della durata esatta di dodici ore. Tutti gli altri luoghi della superficie terrestre hanno giorni e notti di durata proporzionalmente variabile in rapporto alia latitudine e alla stagione. Ma nel corso di un anno intero tutti i punti della superficie terrestre avranno un egual numero di ore di luce e di oscurità.
Il capitolo termina con un'appassionata esclamazione di meraviglia e di gratitudine per il provvidenziale disegno divino:
Per che vedere omai si puote, che per lo divino provedimento lo mondo è sí ordinato che, volta la spera del sole e tomata a uno punto, questa palla dove noi siamo in ciascuna parte di sé riceve tanto tempo di luce quanto di tenebre. O ineffabile sapienza che così ordinasti, quanto è povera la nostra mente a te comprendere! E voi a cui utilitade e diletto io scrivo, in quanta cechitade vivete, non levando li occhi suso a queste cose, tenendoli fissi nel fango de la vostra stoltezza! (Convivio, III, V, 21-22).
Questi temi e questi accenti commossi ritomano nel proemio al canto X del Paradiso, che segna l'inizio di una nuova importante fase nella struttura della cantica. Nei canti precedenti si descrive l'arrivo sul pianeta Venere e l'incontro – di cui si e parlato nel capitolo IV – con Carlo Martello, Cunizza, e il vescovo-trovatore Folco da Marsiglia. II canto IX si chiude bruscamente con le ultime parole della violenta imprecazione di Folchetto contro quella inversione dei valori che induce il Papa, capo spirituale dell'umanità, ad abbandonare la Terra santa agli infedeli mentre conduce una piccola «crociata » contro i suoi compagni di fede e di patria.
Seguendo la stessa sequenza di idee del capitolo del Convivio, disposte però in ordine inverso, Dante inizia il canto X con quello che costituisce un breve inno alla Trinità e all'ordine che rivelano i cieli in movimento:
Guardando nel suo Figlio con l'Amore
che l'uno e l'altro ettemalmente spira,
lo primo e ineffabile Valore
quanto per mente e per loco si gira
con tant' ordine fé, ch'esser non puote
sanza gustar di lui chi ciò rimira.
(Paradiso, X, 1-6)
Poi Dante con un'apostrofe diretta invita il lettore a levare gli occhi ai cieli rotanti dritto al punto in cui i due contrari movimenti del cielo si intersecano: dove cioè l'eclittica taglia l'equatore celeste.
Leva dunque, lettore, a l'alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l'un moto e l'altro si percuote.
(Paradiso, X, 7-9)
Da questo punto, continua Dante, parte l'obliquo cerchio dell'eclittica che porta i pianeti per esaudire le preghiere del mondo:
Vedi come da indi si dirama
l'oblico cerchio che i pianeti porta,
per sodisfare al mondo che li chiama.
(Paradiso, X, 13-15)
Nell'ultimo verso citato («per sodisfare ... ») Dante si volge a considerate le ragioni dell'inclinazione dell'eclittica, senza pero dirle esplicitamente, insistendo invece su un paradosso. Nella vita morale la strada migliore è sempre quella dritta – la «diritta via » dei primi versi della Commedia, quella deviata (la «strada torta) porta a «il mar de l'amor torto» e alla dannazione. Ma il corso del sole e degli altri pianeti deve «torcersi», perché altrimenti molti luoghi della terra sarebbero privi della loro luce, del calore e degli influssi (virtù) , che esisterebbero invano perché molti animali e piante potenziali – o molte delle loro potenziali facoltà – rimarrebbero inattualizzate e spente. E se questa inclinazione fosse minore o maggiore, l'ordine stesso dell'universo ne sarebbe menomato sia nei cieli sia sulla terra:
Che se la strada lor non fosse torta,
molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
e quasi ogne potenza qua giù morta;
e se dal dritto più o men lontano
fosse 'l partire, assai sarebbe manco
e giù e sú de l'ordine mondano.
(Paradiso, X, 16-21)
Ma il lettore è invitato a rimanere «sovra'l suo banco » per meditate da solo sull'argomento mentre Dante passa velocemente oltre per dedicarsi al sole. Cinque idee vengono presentate in rapida successione: la preminenza del sole sulle altre stelle, la diffusione del suo valore nel mondo, la sua funzione regolatrice del giorno e della notte, la sua posizione nell'equinozio di primavera e il movimento a spirale che lo porta ogni giorno più in alto nell'emisfero boreale. Paradosso e ammonizione sono messi da parte. Informazione, celebrazione, e descrizione si fondono in versi di sublime solennità come quelli delle terzine iniziali, per poi cedere il posto alla narrazione, che riprende inattesa con le semplici parole: « e io era con lui ».
Lo ministro maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo imprenta
e col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte che su si rammenta
congiunto, si girava per le spire
in che più tosto ognora s'appresenta;
e io era con lui ...
(Paradiso, X, 28-34)
Le parole « con quella parte che su si rammenta/ congiunto » si riferiscono al verso 8 e anche al Paradiso, dove la narrazione dell'intera cantica ricomincia dopo l'iniziale dichiarazione del tema e l'invocazione ad Apollo. La supremazia zia del sole era lì espressa con una sola metafora sonante: la «lucerna del mondo». Da altre metafore si apprende che, al momento del viaggio, il sole aveva raggiunto il punto in cui meglio «tempera» la «mondana cera» e meglio la «suggella », perché è congiunto con « migliore stella » e compie un « miglior corso ». Tutti questi dettagli indicano l'equinozio di primavera, come viene confermato in altri passi del poema. Ma Dante sceglie anche di determinare il momento in termini puramente astronomici: è il momento in cui il sole nasce da un punto «che quattro cerchi giunge con tre croci ».
Durante i due equinozi il sole taglia la circonferenza dell'equatore nel suo corso annuale lungo l'eclittica formando cosi due cerchi e una croce. Per definizione il «coluro equinoziale» è la circonferenza longitudinale che passa attraverso i poli e taglia l'equatore nei punti equinoziali: tre cerchi e due croci. II quarto cerchio è l'orizzonte, cioè l'orizzonte astronomico che è la circonferenza massima in ogni punto equidistante dallo zenit dell'osservatore e la terza croce si trova nel punto in cui l'orizzonte taglia l'equatore. Questi quattro cerchi possono intersecarsi nello stessopunto soltanto agli equinozi di primavera e di autunno.
I dettagli di questa interpretazione non sono esenti da obiezioni, ma non c’è dubbio che vi sia intesa una precisa configurazione astronomica. Dante non era un pasticcione e queste non sono parole di un abracadabra cabalistico. Nello stesso tempo vi è certamente una sorta di fascinazione in questo unirsi di quattro cerchi e di tre croci, che dà ai versi un certo incanto ancor prima che si riesca ad intenderli. Del resto non v'è dubbio che il «cerchio» e la «croce» come numeri «quattro» e «tre» hanno una connotazione simbolica che ha una grande rilevanza nella globalità del poema. E pur se non ci si può fermare per analizzarli, anche il ritmo e la sintassi, o le metafore e gli echi di Virgilio e della Bibbia danno un contributo essenziale a questi splendidi versi. In breve la geometria astronomica di questi vasti e invisibili cerchi non crea di per sé la poesia ma nemmeno la distrugge. Non vi è contraddizione. La narrazione del Paradiso si apre con versi suggestivi e precisi, esatti e al di là della parafrasi, che si rivolgono come sempre all'orecchio, all'immaginazione e all'intelletto:
Surge ai mortali per diversi foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.
(Paradiso, I, 37-42)
[…]
L'orologio cosmico: la luna
Passiamo ora dal primus motus del primum mobile a «li altri moti ... mensurati da questo», e dalle «radici» dell'albero alle sue «fronde», cioè dai problemi della spazio e del moto a quelli della sua misurazione.
Fra le conseguenze della scelta di Dante di raccontare realisticamente la storia delle sue avventure vi sono i molti riferimenti precisi al trascorrere temporale nel viaggio attraverso l'Inferno e il Purgatorio che spesso alludono variamente al «quadrante» e all'«indice» dell'orologio cosmico. II modo più semplice per sapere l'ora del giorno è guardare la posizione del sole: si è visto nel primo capitolo che Dante nota con insistenza la direzione e l'altezza dei raggi del sole nel corso della giornata trascorsa nell'Antipurgatorio, dai primi barlumi luminosi sulla spiaggia prima dell'alba, fino al cadere dell'oscurità sulle pendici della montagna. Anche l'ora della notte si può dedurre dalla posizione della luna e, con un po' più d'esperienza, dalla posizione delle costellazioni della Zodiaco. Noi ci limiteremo alla luna.
Come quello del sole e delle stelle fisse, il cielo della luna ha due distinti movimenti: quello giornaliero «passivo» attorno ai poli celesti e la rivoluzione periodica «propria» da Occidente verso Oriente su di un piano vicino all'eclittica. La luna riceve la maggior parte della sua luce dal sole; è «nuova» quando è direttamente allineata col sole ed è «piena» quando gli è diametralmente opposta. É quindi chiaro che la luna piena sorge sempre quando il sole tramonta. Ora, il periodo della rivoluzione siderea lunare è di 27 giorni e 8 ore. Possiamo quindi calcolare che ogni giorno la luna «rimane dietro alle stelle» di circa (360÷27 1/3=) tredici gradi e che quindi sorge, in media, circa cinquanta minuti più tardi ogni giorno.
Così se sappiamo che sono passati tre giorni dalla luna piena, dopo il tramonto ci aspetteremo una fitta oscurità, perché la luna si farà attendere ancora per due ore e mezzo. Questa è la spiegazione realistica delle circostanze in cui avviene l'ultimo degli incontri di Dante nell'Antipurgatorio. Come si ricorderà, l'aria diviene così scura che Nino Visconti non riesce a capire che Dante compie il suo viaggio col corpo terreno. L'inizio dell'episodio che segue, opportunamente riferisce che Dante si è poi addormentato al levarsi della luna, due ore e mezzo dopo il tramonto. Ma l'informazione conferma semplicemente quello che già era stato detto implicitamente con riferimenti precedenti all'«ora della notte» e alle stagioni dell'anno nell'Inferno.
Per intenderli (poiché ben illustrano la forma mentis di Dante e la sua abilità di narratore) bisogna ricordare che l'ora indicata dal sole, dalla luna e dalle stelle è sempre «locale», e, come si è visto nel capitola IV, Dante si preoccupa sempre di sottolinearne la relatività. Grazie alla loro collocazione strategica a distanza di 90°, il sole sorge a Gerusalemme quando si trova perpendicolarmente alle foci del Gange; è dunque il tramonto sulla montagna del Purgatorio e mezzanotte a Cadice. Ne deriva che e sempre necessario specificare per quale luogo – cioè, per quale longitudine – il sole si leva o tramonta. Ne deriva anche che se ci trovassimo a Gerusalemme in una notte nuvolosa e sapessimo che il sole è appena tramontato a Cadice, ne potremmo dedurre che è appena passata mezzanotte secondo l'ora locale. Il che sarebbe non diverso dalla situazione di Dante nell'Inferno, dove l'ora locale è quella di Gerusalemme. Dante come personaggio non può vedere nessun astro quando si trova nel mondo sotterraneo, ma Dante come poeta è onnisciente e attribuendo a Virgilio la stessa onniscienza, raggiunge effetti davvero notevoli.
Nel primo riferimento all'orologio lunare, Virgilio dice al suo pupillo che la luna era piena la notte precedente, che ora tocca le onde oltre la costa della Spagna e deve quindi essere sorta la sera prima – alla longitudine di Gerusalemme e alla latitudine dell'equatore – circa cinquanta minuti dopo il tramonto del sole. Poiché più oltre si dice che l'azione del poema si svolge a breve distanza dall'equinozio, si può stabilire l'ora del tramonto qualche minuto più tardi delle sei del pomeriggio – poniamo alle sei e cinque. Considerando il fatto che il movimento proprio durante la notte ha ritardato il tramonto della luna di altri venticinque minuti, si può dedurre che nell'Inferno, e a Gerusalemme, sono all'incirca le sette e venti del mattino.
Dopo nove canti Virgilio rivela a Dante che «già la luna è sotto i nostri piedi » (Inferno, XXIX, 10), il che significa che la luna si è mossa, trascinata dall'impulso delprimum mobile, ancora di novanta gradi dal meridiano di Cadice a quello del Purgatorio. Questo a sua volta significa che sono trascorse altre sei ore cui bisogna aggiungere altri dodici minuti del ritardo causato dal movimento proprio della luna: l'ora locale, nell'Inferno e a Gerusalemme è circa l'una e trentacinque del pomeriggio.
Dopo altri cinque canti (Inferno, XXXIV, 68) i compagni di viaggio raggiungono il centro dell'universo e si fermano alla presenza di Lucifero. Prima di iniziare la faticosa discesa e salita al di là del centro di gravità, come si è visto nel brano esaminato nel capitolo II, Virgilio sollecita Dante dicendogli che «la notte risurge». Poiché sappiamo che la «notte» in questa senso è il punto opposto al sole e poiché il sole è tramontato presumibilmente a Gerusalemme alle sei e dieci, sono circa le sei e venti del pomeriggio.
Dopo la dura ma relativamente breve discesa lungo le villose coste di Lucifero, Virgilio dichiara all'improvviso che « ... il sole a mezza terza riede». La sorpresa è doppia: innanzitutto Virgilio si riferisce alla posizione del sole invece che alla luna o alla notte, in secondo luogo «mezza terza» significa che sono le sette e mezzo del mattino. Come è possibile, chiede il pellegrino, che il sole sia passato dalla sera alla mattina in così breve tempo? E allora Virgilio spiega all'incredulo Dante che oramai è «sotto l'emisperio giunto / ch'è opposito a quel che la gran secca/ coverchia ... Qui è da man, quando di là è sera ... ». In breve, ora che si trova sull'emisfero australe Dante deve adeguarsi all'ora locale che è quella del Purgatorio. La scalata su Lucifero è durata soltanto un'ora, ma ha, per così dire, «messo indietro l'orologio» di dodici ore.
E diviene evidente a questo punto che l'intera serie dei riferimenti alla luna era stata meticolosamente congegnata in preparazione a questo momento di sconcerto e di chiarificazione, di dubbio e di risoluzione. Ma è anche chiara l'intenzione simbolica di Dante nell'indicare l'«ora infernale» in riferimento alla luna, alle stelle o alla notte. E se ci chiediamo perché, basterà ricordare la «profezia» di Farinata degli Uberti per cui Dante scoprirà com'è difficile «l'arte» di ritornare dall'esilio prima che «cinquanta volte fia raccesa/ la faccia della donna che qui regge». Nella mitologia classica la dea della luna, Diana, si identifica con Ecate, dea degli Inferi, è lei la donna che qui regge. La luce pallida e indiretta è anche un simbolo della privazione di tutte le anime nell'Inferno, come il sole è simbolo della grazia che rafforza e illumina le anime penitenti nel Purgatorio.
da P. Boyde, L’uomo nel cosmo, Il Mulino, Bologna 1984, pp. 256-262 e 269-272