L'impianto concettuale adottato è nell'insieme di tipo aristotelico: alle opere del Filosofo e alle sue affermazioni (o alla sua autorità) Dante riconduce le proprie prese di posizione sulla scienza. Cominciamo con l'unica occorrenza dell'aggettivo «scientifico», che indica la virtù o capacità umana di conoscere le cose necessarie, delle quali solamente si ha scienza: «sì come dice lo Filosofo massimamente nel sesto de l'[Etica]», nella più alta parte dell'anima, la mente, «è una vertù che si chiama scientifica, e una che si chiama ragionativa o vero consigliativa» (Convivio III, II, 15). Secondo Aristotele, alla mente in quanto capacità di conoscere le cose necessarie compete la virtù o abito dianoetico della «scienza»; in quanto capacità che verte sul contingente in quanto tale, invece, ad essa competono le virtù o abiti dell'arte e della prudenza (al di sopra di tutti si collocano l'abito dei principi, o intelletto, e quello detto «sapienza»).
Ma la scienza è definita, sempre con riferimento all'Etica Nicomachea, come ciò che mediante procedimento razionale (ragione) dà conto pienamente (perfetta) delle cose fondandosi sulla certezza (certe cose) di ciò che costituisce il suo oggetto: «lo Filosofo nel sesto dell'Etica [ ... ] dice la scienza essere perfetta ragione di certe case» (Convivio IV, XII, 12). Nel discorso sulla scienza, secondo Dante che segue Aristotele, bisogna perciò aver riguardo a tre aspetti fondamentali: il soggetto conoscente, il procedimento razionale, l'oggetto conosciuto. Cominciamo dal procedimento adottato, che è l'aspetto più propriamente qualificante della scienza: giacche si può avere conoscenza di qualcosa in molti modi, e a molti livelli; ma la conoscenza sarà scientifica solo se ottenuta nelle debite forme, e cioè con procedimento sillogistico che, partendo da principi, giunga a conclusioni. I principi, per essere tali, non devono essere ottenuti a mo' di conclusione d'una argomentazione sillogistica, ma ricavati dall'esperienza sensibile («sensu et inductione» ), come è detto nel primo libro dell'Etica Nicomachea. In generale, Dante afferma, rifacendosi questa volta al primo libro della Fisica d'Aristotele, che non si deve disputare con coloro che negano i principi. I principi devono essere veri e certi, giacche verità e certezza dei principi fondano verità e certezza delle proposizioni assunte successivamente, e devono essere sufficienti a consentire di pervenire alla conclusione. Il procedimento di deduzione sillogistica che muove da principi veri e certi è detto propriamente dimostrazione.
Quanta all'oggetto conosciuto, o «soggetto» della scienza, Dante riprende un'affermazione, anch'essa aristotelica, secondo cui la scienza (ciascuna scienza) non dimostra né prova il proprio oggetto, ma lo assume o «suppone » (Convivio II, XIII, 3), sicché l'oggetto è presupposto a mo' di principio, mentre la dimostrazione verterà su di esso e sulle sue proprietà. E ancora con esplicito riferimento ad Aristotele, Dante afferma che, mentre la certezza della scienza dipende dalla fermezza delle sue conoscenze, la nobiltà di essa dipende da quella del suo oggetto («sì come dice Aristotile nel cominciamento de l'Anima, la scienza è alta di nobilitade per la nobilitade del suo subietto e per la sua certezza»), di modo che le varie scienze possono essere ordinate in gerarchia secondo la maggiore o minore nobiltà del rispettivo oggetto e secondo la certezza ch'è possibile conseguire in ciascuna.
Infine, quanto al soggetto conoscente, abbiamo già visto che Dante con Aristotele pone nella mente dell'uomo una particolare capacita («virtù scientifica») di cogliere l'oggetto della scienza, capacità perfezionata dall'abito (acquisito come risultato di ripetuti atti) della scienza. Ma il Poeta, ancora con Aristotele, radica nell'umano desiderio di conoscere la possibilità dell'acquisizione della scienza:
Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere. La ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da providenza di prima natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti.
(Convivio I, I, 1)
Per Dante, l'uomo può avere una duplice perfezione: la prima lo costituisce nell'essere sostanziale mediante la generazione; l'altra si ha con la realizzazione della nostra facoltà propria, quella razionale, mediante l'acquisizione della scienza; la mancata realizzazione della perfezione dell'uomo secondo la facoltà che lo differenzia dagli altri animali ne rappresenterebbe il difetto maggiore. L'uomo, dunque, è naturalmente disposto alla vita secondo ragione; la perfezione della vita a lui propria è indotta e causata dalle scienze: acquisito l'abito di queste, noi possiamo «la veritade speculare, che è ultima perfezione nostra, sì come dice lo Filosofo nel sesto de l'Etica, quando dice che 'I vero è lo bene de lo intelletto» (Convivio II, XIII, 6). Identificato il vero con il bene dell'intelletto, Dante può affermare che vivere nella speculazione della verità è suprema perfezione dell'uomo. Ogni indagine razionale da lui condotta è perciò presentata come una ricerca della verità intorno a un problema.
Come si vede, l'impianto della concezione della scienza è dal Poeta esplicitamente ricondotto all'autorità d'Aristotele e alle sue opere, tra le quali è specialmente utilizzata l'Etica Nicomachea, da cui Dante ricava l'idea del primato della vita contemplativa. I testi d'Aristotele sono spesso mediati dai commenti medievali, specie quelli di Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, e talora da florilegi e da più lunga tradizione filosofica.
A. Maierù, Sull'epistemologia di Dante, in P. Boyde, V. Russo, Dante e la scienza, Longo Editore, Ravenna 1995, pp. 157-172, qui pp. 157-159