Discorso in occasione dell'incontro “Fede e Scienza verso COP26”

Capi e Rappresentanti religiosi,
Eccellenze,
cari fratelli e sorelle!

Grazie a tutti per esservi qui radunati, mettendo in luce il desiderio di un dialogo approfondito tra di noi e con gli esperti di scienza. Mi permetto di offrire tre concetti per riflettere su questa collaborazione: lo sguardo dell’interdipendenza e della condivisione, il motore dell’amore e la vocazione al rispetto.

Voi avete la trascrizione di questo che io devo dire adesso e per non usare del tempo che è necessario perché tutti parlino, lascio nelle vostre le mani le trascrizioni, voi potete leggerle, e così andiamo avanti in questa celebrazione. Grazie.

1. Tutto è collegato, nel mondo tutto è intimamente connesso. Non solo la scienza, ma anche le nostre fedi e le nostre tradizioni spirituali mettono in luce questa connessione esistente tra tutti noi e con il resto del creato. Riconosciamo i segni dell’armonia divina presente nel mondo naturale: nessuna creatura basta a sé stessa; ognuna esiste solo in dipendenza dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio l’una dell’altra. [1] Potremmo quasi dire l’una donata dal Creatore alle altre, perché nella relazione di amore e di rispetto possano crescere e realizzarsi in pienezza. Piante, acque, esseri animati sono guidati da una legge impressa da Dio in essi per il bene di tutto il creato.

Riconoscere che il mondo è interconnesso significa non solo comprendere le conseguenze dannose delle nostre azioni, ma anche individuare comportamenti e soluzioni che devono essere adottati con sguardo aperto all’interdipendenza e alla condivisione. Non si può agire da soli, è fondamentale l’impegno di ciascuno per la cura degli altri e dell’ambiente, impegno che porti al cambio di rotta così urgente e che va alimentato anche dalla propria fede e spiritualità. Per i cristiani, lo sguardo dell’interdipendenza sgorga dal mistero stesso del Dio Trino: «La persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da sé stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature. Così assume nella propria esistenza quel dinamismo trinitario che Dio ha impresso in lei fin dalla sua creazione». [2]

L’incontro di oggi, che unisce tante culture e spiritualità in uno spirito di fraternità, non fa che rafforzare la consapevolezza che siamo membri di un’unica famiglia umana: abbiamo ciascuno la propria fede e tradizione spirituale, ma non ci sono frontiere e barriere culturali, politiche o sociali che permettano di isolarci. Per dare luce a questo sguardo vogliamo impegnarci per un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità.

2. Questo impegno va sollecitato continuamente dal motore dell’amore: «Dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro». [3] Tuttavia, la forza propulsiva dell’amore non viene “messa in moto” una volta per sempre, ma va ravvivata giorno per giorno; questo è uno dei grandi contributi che le nostre fedi e tradizioni spirituali possono offrire nel facilitare questo cambio di rotta di cui abbiamo tanto bisogno.

L’amore è specchio di una vita spirituale vissuta intensamente. Un amore che si estende a tutti, oltre le frontiere culturali, politiche e sociali; un amore che integra, anche e soprattutto a beneficio degli ultimi, i quali spesso sono coloro che ci insegnano a superare le barriere dell’egoismo e a infrangere le pareti dell’io.

È questa una sfida che si pone di fronte alla necessità di contrastare quella cultura dello scarto, che sembra prevalere nella nostra società e che si sedimenta su quelli che il nostro Appello congiunto chiama i “semi dei conflitti: avidità, indifferenza, ignoranza, paura, ingiustizia, insicurezza e violenza”. Sono questi stessi semi di conflitto che provocano le gravi ferite che infliggiamo all’ambiente come i cambiamenti climatici, la desertificazione, l’inquinamento, la perdita di biodiversità, portando alla rottura di «quell’ alleanza tra essere umano e ambiente che dev’essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino». [4]

Tale sfida a favore di una cultura della cura della nostra casa comune e anche di noi stessi ha il sapore della speranza, poiché non c’è dubbio che l’umanità non ha mai avuto tanti mezzi per raggiungere tale obiettivo quanti ne ha oggi. Questa stessa sfida si può affrontare su vari piani; in particolare ne vorrei sottolinearne due: quello dell’esempio e dell’azione, e quello dell’educazione. In entrambi i piani, noi, ispirati dalle nostre fedi e tradizioni spirituali, possiamo offrire importanti contributi. Sono tante le possibilità che emergono, come d’altronde mette in evidenza l’Appello congiunto, in cui si illustrano anche vari percorsi educativi e formativi che possiamo sviluppare a favore della cura della nostra casa comune.

3. Questa cura è anche una vocazione al rispetto: rispetto del creato, rispetto del prossimo, rispetto di sé stessi e rispetto nei confronti del Creatore. Ma anche rispetto reciproco tra fede e scienza, per «entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità». [5]

Un rispetto che non è mero riconoscimento astratto e passivo dell’altro, ma vissuto in maniera empatica e attiva nel voler conoscere l’altro ed entrare in dialogo con lui per camminare insieme in questo viaggio comune, sapendo bene che, come ancora indicato nell’Appello, «ciò che possiamo ottenere dipende non solo dalle opportunità e dalle risorse, ma anche dalla speranza, dal coraggio e dalla buona volontà».

Lo sguardo dell’interdipendenza e della condivisione, il motore dell’amore e la vocazione al rispetto. Ecco tre chiavi di lettura che mi sembrano illuminare il nostro lavoro per la cura della casa comune.

 



[1] Cfr Laudato si’, 86.
[2] Ibid., 240.
[3] Fratelli tutti, 88.
[4] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 50.
[5] Laudato si’, 201.